LETTI QUASI PER CASO, SCRIBACCHIATI PER UNA QUALCHE NECESSITÀ: Filippo La Porta, “Come un raggio nell’acqua. Dante e la relazione con l’altro”

Rubrica senza cadenza e scadenza ovvero Fustino letterario di Lucio Lontano*.

L’idea di questa rubrica birichina sta nel titolo e sottotitolo della stessa, che non necessitano di ulteriori spiegazioni, a nostro avviso. L’unica cosa che val forse la pena precisare è che si è pensato di far leggere lo scarabocchio – prima ancora che venga pubblicato – all’autore del libro da cui si parte, dando a quest’ultimo la possibilità di aggiungere, in coda, anche solo qualche riga, una parola, un’ipotesi di dialogo.

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A partire da: Filippo La Porta, Come un raggio nell’acqua. Dante e la relazione con l’altro, Salerno Editrice («Piccoli Saggi», 75), Roma (febbraio) 2021, 144 pp., 16 euro.

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di Lucio Lontano*

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L’ultimo saggio pubblicato da Filippo La Porta è una laica preghiera critica ed è l’opera di un pensatore, libero e metodico a un tempo, ancorato, come tutte e tutti noi, a una «generazione», a una storia (e Storia), ma senza pregiudiziali forti di natura ideologica né accademica. Certo, lo dice che è della sua generazione ma non lo fa pesare, almeno non qui, e anzi chiede scusa quando si fa prendere la mano da qualche digressione. Una, molto bella, tra le altre, tutte felici, è quella «cinematografica», raccolta in due dense pagine in cui l’Empireo di Dante è accostato a Odissea nello spazio (1968) di Stanley Kubrick: l’idea che la sottende è la sospensione della comprensione a tutti i costi, ovvero di quell’esorcismo del «giudizio» che la stessa vuole proporre a ogni verso, a ogni fotogramma, come se non potesse farne a meno. Si consiglia la lettura, la visione di un dormeur évéillé che rispetti e salvaguardi una «traccia di esperienza conoscitiva» resa libera dalla cultura tutta. E si cerca quindi di far capire che la letteratura – pure quella che ci appare più lontana – ha conquistato libertà non solo per fini didattici o estetici ma per trasmettercene il DNA, finanche attraverso le rivisitazioni che altre arti ne hanno fatto lungo i secoli e fino ai nostri giorni. Se la intendiamo davvero come tale, la letteratura, forse possiamo ancora essere liberi, anche noi, anche oggi, e dirci davvero tali, senza far pagare dazio all’alterità di una rappresentazione che ci sfugge e che soprattutto sfugge a quel «nostro io, infaticabile e indispensabile artefice, impegnato a praticare il bene full time», ovvero anche procedendo per paradigmi etico-conoscitivi coatti, predicanti l’obbedienza.

Chi è questo «io»? Siamo, per l’appunto, «noi», non intesi come comunità ma come «uno+uno+uno…», non come storia (e Storia) ma come individui in fuga da tutto e cui tutto sfugge. Quando? Quasi sempre, a dir il vero: specie quando non si riesce a lasciare in pace l’altro (pensate a programmi televisi di degenerata inchiesta, cioè a quell’apostolato del bene che è tale solo quando è sbandierato alla stessa ‘bassezza’ del male, in fin dei conti: il bene del popolo, il bene del paese, dal milite ignoto all’ultima figlia/moglie scomparsa).

Pare un discorso eminentemente intellettuale, apocalittico ed egoistico, e invece no! La «scommessa etica» e comunitaria (alla «base della polis») che La Porta trova nel Paradiso – e, a ben leggere, non solo, anche in virtù delle sue precedenti escursioni dantesche per cui si veda pure, dello stesso autore, Il bene e gli altri. Dante e un’etica per il terzo millennio, Bompiani («PasSaggi»), Milano, 2018) – consiste nel «riuscire a stabilire una relazione simmetrica con l’altro, in cui ci si influenza e ci si trasforma reciprocamente – come è [suggerirei: dovrebbe essere] inevitabile – ma senza che questa trasformazione sia premeditata o risponda a un nostro “progetto” più o meno esplicito». Insomma, il Paradiso non è visione per opportunisti e potenti né cantica per troppo diafane e anonime presenze, come sovente si è detto, ma, ad esempio, per una donna come Piccarda Donati, che nella «vita terrena […] passa dal buio del convento al matrimonio coatto» e ora invece, nel cielo della Luna, non deve più «fuggire da niente», essendo «ricongiunta alla sua verità più profonda»: verità che le permette di aprirsi volentieri, «pronta e con occhi ridenti», all’altro che è Dante.

La Porta mostra poi di possedere non solo una buona conoscenza di Dante, della Commedia e della critica dantesca (via note sempre puntuali e rinvii quasi sempre di prima mano), ma esibisce con composta ironia un serbatoio di letture che stima ancora mezzo vuoto. Perché? Perché è un pensatore pratico, impara da tutte e tutti, e non può dire: «questo o quella, io non li leggo». Quindi continua a riempire il suo serbatoio mezzo vuoto per fare andare avanti un pensiero che brucia energie per tradurre e ‘intruppare’ nell’altolocata critica dantesca di casa nostra (e non solo) dantiste e «dantisti (quasi) involontari», da Edith Stein a Maria Zambrano, da Hannah Arendt a quel «quasi intruso» che è Emmanuel Levinas, il più difficile da leggere e capire, forse il più facile da pensare e intuire come ‘fatto a immagine e somiglianza’ di padre Dante.

Mobilitazione eccessiva? Residuo di quell’ausilio involontario che Simone Weil dava a La Porta nel saggio dantesco del 2018 sopra citato? O magari frutto di un anniversario per cui ‘chi non ha peccato scagli la prima pietra’? Non credo. Credo che si cerchi di partecipare per davvero, una volta di più ma con altri argomenti e stimoli, a un pensiero che da Dante a Levinas produce una mise en abyme etica in virtù della (e in seno alla) quale confessiamo che «anche conoscere è violare». Di conseguenza, prestiamo realtà all’altro senza cercare «autoconferme». Oggi, un selfie continuo sfuma parecchio tale capacità di confessione e prestito, in un senso che è negativo e che ci parla sovente, per di più, di eroi, sacrifici, vittime, un po’ come negli anni Venti e Trenta del secolo scorso. Tuttavia – è giusto dirlo – non è colpa di un banale autoritratto o autoscatto che sia: l’umanesimo è da sempre ben più ambigio e molto meno nutrito di ironia e pratica, di – mi piacerebbe dire – sorridente disponibilità all’apprendistato, all’interrogazione di sé e insieme alla formazione condivisa: «La cultura è una forza critica solo a patto che la mettiamo in relazione con l’esperienza. I libri possono emanciparci solo se accettiamo di venirne interrogati (Hitler leggeva solo come autoconferma)».

In questa prospettiva, Filippo La Porta, insieme a Dante e a tante altre pensatrici e molti altri pensatori del nostro immaginario, muove alla ricerca dell’imperativo morale più alto e tuttavia più astratto e pericoloso, il famoso «aiutare il prossimo […] assistere i bisognosi», in qualunque forma si manifesti e/o si smentisca grazie alla gettonata ‘bugia del bene’, cui pretendiamo spesso di partecipare dal nostro salotto buono con un sms. Da uomo mite – e prima di tutto dalla «mitezza della Commedia», che la parola «mitezza» non usa ma «mite» sì –, La Porta cerca miti conclusioni e, con Norberto Bobbio, quella mitezza che «è esattamente “lasciar essere l’altro quello che è”». Ci si gioca, in fin dei conti, in seno a questa parola, a questo concetto (non ‘mansueto’), un’invasione (dell’uomo sull’uomo, di una razza su un’altra razza) per un inveramento, fors’anche per inverare (e quindi dare e dire «storicamente») il bel titolo del saggio: «Per Dante una pace stabile, intesa come amicizia universale, coincide storicamente con la pace provvidenzialmente e miracolosamente assicurata – sia pure con la forza – dall’Impero romano al mondo conosciuto: un clima di concordia, di fiducia e rispetto reciproci, unica possibilità di lasciare essere davvero gli altri quello che sono. L’acqua, ricevendo il raggio di luce, resta unita». Certo, non arriviamo ingenui e sguarniti a questo approdo, perché il centrale capitolo II del libro aveva già un titolo parlante in tal senso ed era il segno evidente di una riscrittura che ad Apocalypse Now preferiva e preferisce Paradise Now.


Filippo La Porta: «Che dire di una recensione così generosa, ben costruita, direi simpatetica? Dichiararmi d’accordo è superfluo e potrebbe perfino generare diffidenza nei lettori. Particolarmente felice la metafora del serbatoio mezzo vuoto, che ogni giorno tento di riempire nei miei quadernini.

Certo Paradise now mi attrae più di Apocalypse now. La mia regola di vita è racchiusa in questa frase di una lettera di Benjamin, riferita a un tale che rappresenta un ideale di vita vicino al suo: “in lui la mancanza quasi assoluta di illusioni e una radicale diffidenza per il corso del mondo non conducono né al fatalismo morale né all’amarezza, ma a un’arte di vivere tanto perfetta da permettere di strappare alla sventura le possibilità che essa implica”. Ad ogni inferno si dovrebbero strappare le “possibilità” di paradiso che esso pure implica».


* Al secolo Luciano Curreri (1966-?), che ha sempre recensito poco e quasi sempre altrove, tanto da essere disperso e perso in vari siti oltre che in: «Ariel», «Chichibìo», «C4», «ConTEXTES», «domani.arcoiris.tv», «Ermeneutica letteraria», «Filologia e critica», «Franco-Italica», «ilcorsaronero», «Il giornale storico della letteratura italiana», «Incontri», «L’indice», «mentelocale», «Mixed Zone – Chronique de littérature internationale – Site Culture ULIEGE», «Rassegna dannunziana», «Rassegna europea di letteratura italiana», «Rendiconti», «Reti di Dedalus», «Retroguardia 2.0», «Revue d’histoire littéraire de la France», «Stilos», «Studi buzzatiani», «tellusfolio.it», «Textyles», «TODOMODO», «vibrisse»…

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Pubblicato da retroguardia

Docente e critico letterario. Dirige la rivista di critica letteraria "RETROGUARDIA". Si è occupato in particolare della narrativa di Guido Morselli e Gesualdo Bufalino. Altri interessi di ricerca riguardano anche la poesia contemporanea, la teoria della letteratura, il romanzo fantastico e comico, la metrica italiana. Suoi interventi critici sono apparsi in rete (Musicaos.it, Retroguardia, La poesia e lo spirito, ecc) e su alcune riviste di letteratura (Tabula rasa, Narrazioni, ecc). Socio fondatore dell’associazione culturale e membro del comitato di lettura di vibrisselibri, redattore de “La poesia e lo spirito” dal 2007.