In balia di Dante e Pinocchio

Stefano Jossa e Luciano Curreri, In balìa di Dante e Pinocchio. Seguito da: Il viaggio di Pinocchio nell’aldilà dantesco di Bettino d’Aloja, Ediz. illustrata da Fabio Magnasciutti, Mauvais Livres, 2022, 4 voll., 180 pp., € 35,00

di Luigi Preziosi

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Esce presso la giovane e coraggiosa editrice Mauvais livres un pregevole cofanetto, composto di quattro piccoli libri il cui insieme viene sintetizzato nel titolo In balia di Dante e Pinocchio. Al più corposo dei quattro hanno posto mano Stefano Jossa, docente all’Università di Palermo, a cui si deve la prefazione A braccetto, e Luciano Curreri, ordinario di Lingua e letteratura italiane presso l’Università di Liegi, autore della postfazione Un’altra idea di Dante a partire da Pinocchio?

La particolarità di questa edizione consiste nell’affiancare ai due saggi i tre albi, Pinocchio l’inferno, Pinocchio nel Purgatorio, Pinocchio nel Paradiso, che compongono Il viaggio di Pinocchio nell’aldilà dantesco di Bettino D’Aloja, originariamente uscito negli anni Trenta presso la casa editrice fiorentina Nerbini. Questo particolare assemblaggio consiglia agli autori la gustosa nota finale, in cui si insiste sul carattere “dadaista” del libro, “perché vorrebbe essere per ragazzi, per adulti, per accademici, per amanti del pop, per innamorati di Dante, Pinocchio e dell’Italia, per curiosi e per oppositori,… perché potete farne quello che volete: scorporarlo in due, o anche in quattro libri, godervi le illustrazioni… e ignorare il testo in tutto o in parte (di chiunque), o viceversa, fare entrambe le cose in tutte le combinazioni possibili….”.

Si tratta di un esperimento, pienamente riuscito, che consiste, più e prima ancora che in uno studio storico letterario in senso stretto, in un esercizio di analisi critica della cultura italiana, con lo scopo di verificare “sul campo” le possibilità e le modalità di coesistenza di questi due archetipi della nostra cultura letteraria. A prima vista, l’accostamento appare arbitrario: uno è autore dell’opera maggiore della nostra letteratura, nonché padre della lingua (e per certi versi e per certe letture storiche, anche padre della patria), l’altro è personaggio di un romanzo minore, l’uno è attivo con successive e sconfinate riletture, attualizzazioni e interpretazioni lungo tutto l’arco della storia della nostra letteratura ad oggi, l’altro inizia a collocarsi nella memoria collettiva da fine Ottocento.

Eppure una certa tradizione in materia si può attestare ben prima che a Firenze si inauguri, nel 2019, quel “Dantocchio”, museo dal percorso virtuale che “avrebbe voluto essere”, secondo Jossa, “un invito alla lettura attraverso video, audio e installazioni, dei due grandi classici che più rappresentano la cultura della città che lo ospita: Le avventure di Pinocchio di Carlo Collodi e la Divina Commedia di Dante Alighieri.”

Per quanto riguarda, in particolare, la sopravvivenza di Pinocchio ben oltre l’originaria pubblicazione delle sue Avventure (nessun dubbio ovviamente potrebbe esserci circa la sopravvivenza al suo tempo dell’altro protagonista dei due saggi di cui trattiamo…), Curreri approfondisce ed orienta sulla direttrice della relazione con Dante, e quindi con la tradizione “alta”, e non solo strettamente letteraria, gli studi sul personaggio collodiano esposti sia nei testi di accompagnamento dell’antologia Pinocchio in camicia nera. Quattro “pinocchiate” fasciste (Cuneo, Nerosubianco, 2008, seconda edizione 2011) a sua curatela, sia nel volume Play it again, Pinocchio. Saggi per una storia delle pinocchiate (Bergamo, Moretti&Vitali, 2017). In essi, l’autore riporta alla luce, prima ricuperandoli dall’oblio in cui giacevano, e poi, con il secondo volume, sistematizzandoli all’interno di una storia letteraria minore, una serie di testi che, iniziando dalla fine dell’Ottocento e lungo tutto il Novecento, hanno ripreso il protagonista del libro di Collodi, adattandolo via via alle contingenze, certo non tutte strettamente narrative, di volta in volta maggiormente pressanti sugli autori che si sono cimentati con la materia.

Le “Pinocchiate”, categoria alla quale si iscrivono a pieno titolo anche i tre libretti di D’Aloja commentati in In balia di Dante e Pinocchio, sono, avverte Curreri, esercizi di attualizzazione assai sui generis del personaggio, visto che nei testi che lo riguardano ricompare sballottato a volte nelle più diverse contestualizzazioni. Ciò che interessa maggiormente è il complesso di relazioni tra questa letteratura, sicuramente minore, e i momenti storici in cui le storie del burattino ricompaiono.

Ma, in tema di riuso in termini di sviluppo “promozionale” di un certo côté politico e anche più genericamente culturale, maggior significatività assume la metamorfosi fascista del burattino. Lungo tutto l’arco del Ventennio si susseguono testi che ne accompagnano, trasponendoli nel mondo parallelo di Pinocchio, gli episodi di attualità più rilevanti, in un evidente sforzo di coinvolgimento dei giovani e giovanissimi lettori nelle vicende del regime: si vedano, tra gli altri, titoli assai eloquenti come Avventure e spedizioni punitive di Pinocchio fascista, Pinocchio fra i balilla, Pinocchio istruttore del Negus. Le imprese fasciste vengono proposte con un sostanziale travisamento del senso dell’avventura che connota, sin dal titolo, il Pinocchio originale: viene compresso il senso un po’ anarchico e picaresco che promana dalle pagine di Collodi, per affermare una concezione di avventura come impresa, finalizzata a scopi ben definiti ab initio, per quanto discutibili o aberranti possano essere.

L’apice di questi riusi si constata proprio in Il viaggio di Pinocchio nell’aldilà dantesco, in cui Pinocchio raggiunge Dante nell’empireo dell’italianità.

L’accostamento poteva anche non essere così scontato: nelle diverse metamorfosi tardo ottocentesche, primo novecentesche e poi di inizio fascismo, il burattino collodiano tendeva ad assurgere piuttosto al rango di maschera nazionale, per la sua disponibilità a sintetizzare in sé alcuni caratteri e atteggiamenti ricorrenti nel nostro costume, un compendio perfetto di popolaresca ingenuità e di ribalda buffoneria, di comico e grottesco, di refrattarietà all’epica con evidente adeguamento alla medietas della commedia (dell’arte o meno che sia).

Ma la propaganda del regime riesce a rendere plausibile l’associazione tra Pinocchio e Dante, e ad inserirla a pieno titolo nel canone dell’educazione nazionale. Il primo, scrive Jossa, “diventava presto un perfetto balilla, mentre il secondo assurgeva a simbolo della grandezza etnica e nazionale come i fascisti l’intendevano e promuovevano”. A differenza delle precedenti o coeve “pinocchiate”, Pinocchio non agisce più da solo. E’, invece, coprotagonista di una narrazione in cui l’epica incarnata da Dante (o meglio una sua lontana eco) auspicabilmente produttiva su un piano storico – politico di un forte senso patriottico, convive con lo spirito picaresco originario del personaggio collodiano, incanalandone gli aspetti anarchici in una comunque permanente disponibilità a gesti di ardimento, a cui la politica dell’educazione di regime dava un peso non indifferente.

Ma stabilire una corrispondenza biunivoca e motivata tra i due personaggi può bastare sul piano ideologico, non necessariamente su quello narrativo. “La trovata geniale di D’Aloja – scrive Jossa – sta nel capovolgere i ruoli, perché è Dante a riconoscere ed omaggiare Pinocchio in rima, ben prima che possa avvenire il contrario”. I due si riconoscono come simili (ma è Dante che per primo parla nelle terzine di D’Aloja) per vicinanza fisiognomica (“Li nostri nasi fonderemo insieme;/ L’adunco mio, col tuo cotanto acuto!”), per fama (entrambi sono “sommi”…) e per fiorentinità, che Pinocchio riconosce al suo interlocutore (“A quello di Fiorenza il benvenuto!/ A lui la mano stringo con affetto/ Perché al par di me è ovunque conosciuto.”)

Dopo il primo incontro su un piano di paradossale parità, il rapporto tra i due nel corso del viaggio è altalenante. Inizialmente, Dante si pone come novello Virgilio nei confronti del burattino, con scoperti intenti pedagogici nei confronti delle sue monellerie, tanto da presentarlo così ad un angelo portinaio all’ingresso del Purgatorio: “La sua scostumatezza, deh perdona! / Di legno è il corpo e lo cervel di legno; /Dal dì che vide il sol non mai ragiona”. Dante rivendica espressamente la sua funzione educatrice: “Purificarti deggio ad ogni costo / Pria che sia dato uscir da questo regno”. Col procedere nel viaggio, e soprattutto attraverso rapidissime scambi di battute, cresce l’intransigenza del Dante dalojano e cresce anche l’oltranza birbonesca del suo Pinocchio, fino alla sfacciataggine suprema : “Tienla per te la tua sapienza, che anche senza questa sono riuscito ad immortalarmi facendomi conoscere dalle centinaia di milioni d’abitanti del globo terracqueo!” A mano a mano che si procede nel viaggio oltremondano, i ruoli gradualmente si invertono: “se Pinocchio è un monello, Dante è greve e noioso, al punto che il vitalismo del primo sembra lezione più simpatica … rispetto al moralismo del secondo” (Jossa): sarà azzardato intravvedere nelle due posture dei personaggi di D’Aloja le ombre grottescamente deformate di due anime del regime, quella originaria rivoluzionaria e quella di governo saldamente conservatrice? Comunque sia, nel Paradiso continuano vivaci i battibecchi tra i due, tanto che il basso stile, a dispetto del luogo, regna sovrano. Dante, di cui in una prima scena si dice che “amava sentirsi fare il pizzicorino sul proboscidone”, non fa molti sforzi per contenere la sua ira ad ogni impertinenza del burattino: “Se l’ospite non fossi, Pinocchiaccio / … T’ammaccherei di colpo lo grugnaccio!” o ancora: “Più che stufato io son, scemo Pinocchio, / Per la qual cosa chiudi lo tuo becco / Se no ti schiaccerò come un pidocchio!”. Nel finale, la farsa, già in precedenza presente neanche tanto sotto traccia a mano a mano che i due avvicinano all’Empireo, finalmente esplode in forma di zuffa a suon di spintoni e scapaccioni tra il burattino e il Sommo Poeta.

L’avvicinamento tra il Poeta e il burattino continua anche in epoca più recente, e nell’ultimo periodo si riscontrano chiare tendenze verso una loro elezione ad icone pop (operazione forse ancor più avvertibile per Dante in occasione del centenario dello scorso anno, tesa a sottrarlo ad una fin troppo ingombrante monumentalità, e renderlo più fruibile). Si sfrutta così, per fini latamente pubblicitari, una delle caratteristiche salienti della nostra letteratura: la disponibilità all’incontro tra alto e basso, tra sublime e popolare, “all’insegna dei due grandi valori, dell’essere ideale, al di sopra di noi, eppure a portata di mano, accanto a noi”( Jossa).

Al tempo stesso, proprio questo genere di operazione tende a sviarci dal campo puramente letterario, per introdurci in ambiti culturali diversi. Sono fin troppo noti i riusi risorgimentali di Dante, su cui l’Italia unita ha poi nutrito la propria indissolubilità, e su cui il fascismo è tornato per edificare i propri miti di potenza. Jossa ce ne offre alcuni spunti significativi, giungendo fino alle celebrazioni dantesche del centenario richiamanti il padre della lingua in chiave più o meno esplicita di politica contingente, o comunque senza apparenti evoluzioni rispetto agli echi risorgimentali, quali quelle per lo più affidati alle commemorazioni istituzionali. In ciascuno di questi contesti storicamente definiti, d’altronde, l’elaborazione di un pensiero critico non sfugge alla regola generale per cui, per dirla con Curreri, “si tende a legittimare più facilmente un uomo, un personaggio, nel momento in cui si cerca, via questa simbolica legittimazione, un’ulteriore e non meno simbolica legittimazione per il proprio percorso”.

Sotto un diverso profilo, il nesso Dante – Pinocchio esalta la nozione di fiorentinità, in certo qual modo suggellato ai giorni nostri dalle reinterpretazioni di Roberto Benigni, attivo sia come autore di un film sul burattino collodiano sia come popolare protagonista di Lecturae Dantis televisive (e non solo). Il tutto, però, in coerenza con una ridefinizione dei due personaggi, che entrambi i saggisti concordano nel verificare come operante nel passaggio da una idea, ben consolidata in passato, di italianità tout court a quella più attuale e spendibile di iconicità italica, riferita ad una immagine meno stereotipata di altre da diffondere o già in via di diffusione nel mondo.

L’articolato excursus offerto da Curreri attraverso la cultura letteraria ed extra letteraria (e precisamente cinematografica e televisiva) degli ultimi decenni conferma sostanzialmente la presenza delle due figure, tenuto conto delle diverse forme di manifestazione e di intensità di ricorrenza nel tempo. Occorre aver riguardo soprattutto a un Dante rivisto da una prospettiva tendenzialmente “pinocchiesca”, come in fondo aveva prospettato, pur con alcune forzature figlie del suo tempo, D’Aloja novant’anni fa, tanto che non appare fuori luogo ancora oggi il suggerimento, dato ai piccoli e grandi lettori di allora, di “prendere Dante col sorriso scanzonato con cui prendevano Pinocchio e Pinocchio con la gravità educativa con cui prendevano Dante “(Jossa).

Una ricezione meno “pinocchiesca” di Dante si rileva ovviamente nelle letture – messe in scena di Gassman e di Carmelo Bene, condotte come sono con filologica precisione, ed anche nella Vita di Dante che la RAI approntò per il centenario dantesco (1965), con la regia di Vittorio Cottafavi e l’interpretazione di Giorgio Albertazzi, così come nella registrazione radiofonica integrale (1987) di Vittorio Sermonti.

Più variegata è invece la filmografia dantesca, ed alcuni riferimenti sono d’obbligo per cogliere l’abbraccio, anche solo sfiorato, con Pinocchio. Ombre dantesche sono percepibili con la lente della ribalderia pinocchiesca in Amarcord (1973), così come citazioni dantesche in contesti inaspettati, come in C’eravamo tanto amati (1974) o in Nell’anno del Signore (1969). Ma il cinema si è appropriato della figura di Dante fin dalle sue origini, e Curreri spazia agevolmente dai tentativi hollywoodiani degli anni ‘20, ai “feuilleton declinati già secondo canoni di un maturo cinema di genere “ come i film di Freda e di Matarazzo, fino a riletture psichedeliche (The dante quartet, 1987), o ad imprevedibili “anime” giapponesi. La filmografia dantesca è molto sfaccettata e del poeta si trovano citazioni indirette anche nei contesti narrativi più diversi, tra gli altri in polizieschi come Peur sur la ville (1975) di Henry Verneuil e in Seven (1995) di Daid Fincher. Nelle opere di Luigi Magni, che pure non trattano né di Dante né di Pinocchio, Curreri scorge però trecce di una particolare modalità di lettura della storia italiana, traguardando l’endiadi Dante – Pinocchio: molte sue narrazioni raccontano un momento alto e fondativo della storia nazionale (e l’ombra di Dante incombe naturalmente su scenari risorgimentali), con toni di commedia e di scanzonata bonomia “pinocchiesca”.

Correttamente, Jossa suggerisce nella “Nota” posta in conclusione al suo saggio una modalità di lettura dei testi che consideri che è solo in un apprezzamento dinamico che li porti “a venire continuamente manipolati, riusati e abusati che sta la loro esistenza nella storia, mentre qualsiasi ambizione alla fissità rischia di collocarli in una dimensione metastorica priva di vita e di energia”. La dinamica del rapporto, come s’è visto, costantemente mutevole, tra Dante e Pinocchio, illustra una parte della storia della cultura nazionale. Il percorso di lettura proposto, ricchissimo di suggestioni e illustrato con assoluto rigore argomentativo, è quindi (anche) un pretesto per dire altro, per contemplare da un punto di vista decentrato, ma ampiamente pervasivo, la nostra storia recente, letteraria, ma non solo, anche politica in senso ampio, del costume del Paese, del suo evolversi (o involversi), in una fittissima trama di relazioni, di connessioni, di rimandi ad altro, di allusioni a quello che siamo stati, per un breve periodo o per un secolo, anche per tentare (perché no?) di indovinare ciò che siamo.

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Pubblicato da retroguardia

Docente e critico letterario. Dirige la rivista di critica letteraria "RETROGUARDIA". Si è occupato in particolare della narrativa di Guido Morselli e Gesualdo Bufalino. Altri interessi di ricerca riguardano anche la poesia contemporanea, la teoria della letteratura, il romanzo fantastico e comico, la metrica italiana. Suoi interventi critici sono apparsi in rete (Musicaos.it, Retroguardia, La poesia e lo spirito, ecc) e su alcune riviste di letteratura (Tabula rasa, Narrazioni, ecc). Socio fondatore dell’associazione culturale e membro del comitato di lettura di vibrisselibri, redattore de “La poesia e lo spirito” dal 2007.