CRESTOMAZIA 12: Elegia giudeo-italiana

Elegia giudeo-italiana

La ienti de Sïòn plange e lutta;
dice: “Taupina, male so’ condutta
em manu de lo nemicu ke m’ao strutta”.

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La notti e la die sta plorando,
li soi grandezi remembrando,
e mo pe lo mundu vao gattivandu.

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Sopre onni ienti foi ’nalzata
e d’onni emperio adornata,
da Deo santo k’era amata.

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E li signori da onni canto
gìanu ad offeriri a lo templo santo,
de lo grandi onori k’avea tanto.

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Li figlie de Israel erano adornati
de sicerdoti e liviti avantati,
e d’onni ienti foro ’mmedïati.

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Li nostri patri male pinzaru,
ke contra Deo revillaru:
lu beni ke li fici no remembraro.

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Pi quisto Deu li foi adirato,
e d’emperiu loro foi caczato,
ka lo Soo nome àbbero scordatu.

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Sopre isse mandao sì grandi osti,
ki foi sì dura e ssì forti
ke roppe mura e ’nfranzi porti.

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Guai, quanta ienti foi mecïata,
ke tutta la terra gia ensanguinentata!
oi, Sïon, ke si’ desfigliata!

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Lo tempio santo àbbero desirtato,
ke ’n grandi onori foi ’deficato,
e foco da celo l’abbe afflambato.

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Sprecaro torri e grandi palaza,
e lo bando gia pe onni plaza:
“Fi’ a fonnamento si desfacza!”.

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Vidisi donni là desfare
e ientili omeni de grandi affari,
ke ’n nulla guisa si no pòi recitare.

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E ttri navi misero pi mare
çença rimo (entenda ki s’aiutare!),
e tutti a mare se prisero iettare.

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Altri ne vinnéro d’onne canto,
tutti çença non dere per quanto:
oi, ke farai, popolo santo?

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E li leviti e li sacerdoti
como bestiaglia foro venduti
e ’nfra l’altra iente poi sperduti.

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Tanto era dura loro signoria,
la notte prega Dio ke forsi dia,
la dia la notti, tanto scuria.

Ki bole aodire gran crudeletate
ke addevenni de sore e frate,
ki ‘n quilla ora foro gattivati?

Ne la prisa foro devisati:
ki abbe la soro e·cki lo frate;
e ‘n gattivanza foro menati.

Lo signore de la soro, mecïaro,
l’abbe venduta ad uno tavernaro,
ké de lo vino là l’embrïaro.

E lo frate fue tradato
ad una puttana pi peccato:
oi, popolo santo, male si’ guidato!

Venni una ora ke s’adunaro
quilla puttana e lo tavernaro,
e l’una e l’altro lo recitaro.

«Una donna aiu, bella quanto rosa,
bene crido k’è ienti cosa,
de la ienti trista e dolorosa».

Quilla respundi k’ «Io aio uno ‘nfanti,
ked è sì ienti ed avenanti,
plo ki la stilla da livanti ».

In quisto pinzaro parenteze a fari
e li loro figli asserventari
e bennerelli pe guadagnare.

Foro coniunti ad una caminata:
la donna da canto è svïata;
dece: «Trista, male foi nata!

De secerdoti io foi figliola,
signuri de lie e dde scola:
e mmo cu uno servo stao sola ».

Così lo ‘nfanti stava da canto:
facia lamento e grandi planto,
ka «Foi figlio d’uno omo santo.

Mo so’ adunato c’una sergente,
né dde mia lie né dde mia iente:
como faraio, tristo dolente?»

En quillo planto s’àbbero aoduti,
e l’uno e l’altro conosciuti:
«Soro e frati, ovi simo venuti?».

E l’uno e l’altro se abbraczaro,
e con grandi planto lamentaro,
fi’ ke moriro e pasmaro.

Quista crudeli ki aodisse,
ki grandi cordoglio no li prindisse
e grande lamento no ne facisse.

Ki pòi contare l’altri tormenti,
ke spisso spisso so’ convenenti,
plo dori ke flambi ardenti?

Santo Dio nostro Signore,
retorn’ a reto lo Too forore,
e no guardari a noi piccadori.

Pe lo Too nome santo e binditto,
lo nostro core aiusta a dderitto,
ke Te sirvamo in fatto e ‘n ditto.

E remembra la prima amanza,
e trai noi de quista gattivanza,
de quista tenebri e scuranza.

E lo nemico k’è tanto avantato,
ne lo Too furori sia deiettato,
da canto en canto desertato.

E cetto facza como ao fatto,
e sia strutto e ddesfatto,
ka fao rumpere la lie e lo patto.

E deriza stradi ‘n onni canto,
ad adunare en quillo santo
quillo popolo k’amasti tanto.

E lo santo templo k’è deguastato,
de la Toa mano sia ‘defecato,
lo Too prufeta come ao profetïato.

Leviti e secerdoti e tutta ienti
entro Sïòn stare gaoiente,
lo santo Too nome bendicenti

 

(fine del XII – inizio del XIII secolo)


 

“Dell’altra moltitudine che abbiamo di versi, quasi infinita, ha scelto ciò che gli è riuscito o più elegante, o più poetico, o anche più filosofico, e infine, più bello […]” (Tratto dalla Prefazione alla crestomazia italiana de’ poeti di Giacomo Leopardi)

Pubblicato da retroguardia

Docente e critico letterario. Dirige la rivista di critica letteraria "RETROGUARDIA". Si è occupato in particolare della narrativa di Guido Morselli e Gesualdo Bufalino. Altri interessi di ricerca riguardano anche la poesia contemporanea, la teoria della letteratura, il romanzo fantastico e comico, la metrica italiana. Suoi interventi critici sono apparsi in rete (Musicaos.it, Retroguardia, La poesia e lo spirito, ecc) e su alcune riviste di letteratura (Tabula rasa, Narrazioni, ecc). Socio fondatore dell’associazione culturale e membro del comitato di lettura di vibrisselibri, redattore de “La poesia e lo spirito” dal 2007.