Stefano Scrima, “Filosofia da divano”

Stefano Scrima, Filosofia da divano, Genova, il Melangolo, 2023, pp. 89, € 10,50


di Stefano Lanuzza

.

La libertà dell’uomo consiste nel non fare mai ciò che non desidera fare”

(Jean-Jacques Rousseau, Le fantasticherie del passeggiatore solitario, 1782)

 

Filosofo, io? Ma come ti permetti!” esordisce Stefano Scrima in Filosofia da divano (Genova, il Melangolo, 2023, pp. 89, € 10,50). L’autore non ci tiene a essere filosofo, ma lo è: magari nelle vesti casuali di un anomalo “metafisico” che non s’imbanca a spiegare cosa sia la “misteriosa disciplina” della metafisica, questo ‘a priori’ senza spazio per le contraddizioni della realtà e inadeguato a contribuire alla conoscenza di ‘ciò che è’ o a superare le pregresse credenze, le certezze, le arroganze, gli illusori dogmi oltre i quali domina l’inconsapevolezza coatta.

Così, fuoruscendo dai canoni e gravitando sul proprio divano condiviso col gatto di casa, Scrima elegge a proprio nume tutelare lo scrittore americano Charles Bukowski, “prototipo del divanaro” e “maestro di libertà” inteso “maestro di divaneria ribelle, o semplicemente di vita”: epigrafato, inevitabilmente in funzione parafilosofica, prima d’ognuno dei 15 capitoletti del libro l’uno più gustoso dell’altro.

Come Céline, di cui è un epigono riaggiornato, Bukowski non manca d’intercalare le sue narrazioni con essenziali spunti riflessivi opposti al senso comune e che Scrima adotta nel proprio discorso da cui sono banditi “i filosofi di oggi trincerati in accademia” o quelli, ancora più edificanti o fastidiosi, “invitati a esprimersi su qualsiasi argomento dei talk show” – e che “non si possono proprio sentire”.

Incapaci di riposo – inteso il dolce otium pervaso d’un probo disdegno per gli obbligati mansionari –, quegli infelici contenti non possono capire la diversa, inedita “metafisica del divano” di cui Scrima è fenomenologo stoico ed epicureo in spregio agli assatanati cultori di un ‘fare’ che, se non implica una scelta, conculca l’indipendenza dei soggetti nonché le incoartabili virtù dell’intelligenza ovvero della fantasia intrisa di estri sensazioni sentimenti e ispirata da una logica introspettiva come dalla critica.

Se il letto è fatto per dormire, il divano, soffice luogo di quiete, dell’immune ozio pervaso da feconde illuminazioni che rischiarano il mondo, è per pensare. Pensare al tempo che fugge, al passato e al cambiamento, alla vita breve, alla verità coi suoi drammi e all’errore, alle follie della storia e della politica, al sacro e al profano, alla religione e all’eterno silenzio dell’incognito Iddio che ‘gioca a dadi’, all’ordine delle cose insidiato dall’entropia, al progresso e alla risentita indifferenza della natura, all’angoscia e all’allegria, alle sorprese della gioia e alla nostalgia della bellezza… – e ancora e ancora: perché il pensiero, identificabile con lo spirito, è immenso e non decade.

L’ozio e il divano risanano l’animo stanco delle ambasce, rivelano l’Io profondo e fanno volare la mente, unico vero bene umano: né “sarà un caso che Freud individuò proprio nel divano lo strumento adatto ad accogliere i suoi pazienti in psicanalisi”. Allora, “padre di tutte le virtù” che trascendono i vizi indotti dal concentrazionario sistema di cose sia, col divano, l’ozio, succedaneo status ideale che, affrancando i soggetti dalla pervasività d’ogni potere costituito e affermando la loro autonomia, aiutano a trasvalutare la fiscale dialettica ‘servo-padrone’ della hegeliana Fenomenologia dello spirito (1807).

Oziando, opponendoti all’impositivo e molesto ‘tu devi’ kantiano all’origine di tanti pasticci (draps – detto con Céline) puoi pensare con libertà, prerogativa esclusa dalla retorica soffocante del lavoro: che, tiene a ribadire Scrima, “onestamente odio – ma non il mio in particolare, parlo proprio del concetto stesso di lavoro, ideologia in mano alla classe dominante utile a sottometterci e controllarci”. Relativamente al lavoro salariato s’ammetta che, senza dubbio, si è di fronte a “un aggiornamento della schiavitù”.

Olimpicamente pondera, il filosofo riottante, dal suo “sacro” divano presso cui convoca, in sodale corteo, intermediari fantasmi rivelatisi per compiacerlo e che, per una volta, non fanno domande ma danno fulminanti risposte su quel “lavorismo compulsivo” tanto nocivo all’umana specie. Ed è una grata compagnia quella degli sparsi mentori, taluni evocati altri irrompenti, che accorrono in folla nel buen retiro scrimiano: gli antesignani Lao-Tzu (571 a. C.) col suo Tao della ‘non azione’ e il filosofo latino Seneca dell’aureo De otio (62 d. C.). Seguono Jolyot de Crébillon col racconto Il sofà (1742), Xavier de Maistre che scopre il piacere del viaggio interiore… cioè nella propria camera (Viaggio intorno alla mia camera, 1794); il russo Nikolaj Brusilov che, trovandosi a San Pietrogurgo, mentre ostenterebbe di biasimare l’invenzione galeotta del divano ne fa buon uso insieme a una bella e languida fanciulla (Il mio viaggio ovvero le avventure di un giorno, 1803); il Goethe delle poesie di West-östlicher Divan (1819), Balzac (“Lo scopo della vita civile o selvaggia è il riposo” – Trattato della vita elegante, 1833), il filosofo eslege Giuseppe Rensi che non crede al ‘valore morale’ del lavoro (Contro il lavoro, 1923) e a questo oppone il gioco, lo storico e linguista olandese Johan Huizinga che in Homo ludens (1938) coniuga gioco e ozio, lo scrivano Bartebly dell’omonimo racconto (1853) di Melville (è con un invariabile “Preferirei di no” che Bartebly eccepisce a chiunque gli chieda di fare qualcosa), l’atarassico Oblomov del romanzo (1859) di Ivan Gončarov, tra i maestri del realismo russo; Nietzsche che in Umano, troppo umano (1878) loda la “saggezza dell’ozio”, Lafargue del libello Il diritto alla pigrizia (1883) scritto in prigione, Jerome coi suoi umoristici Pensieri oziosi di un ozioso (1886), l’artista e filosofo Kazimir Malevič (“Il lavoro dovrebbe essere maledetto […], mentre il non fare dovrebbe essere lo scopo essenziale dell’uomo” – L’inattività come verità effettiva dell’uomo, 1921), il parigino Paul Morand col suo persuasivo Elogio del riposo (1937)… Tutti possibilmente condivisi dal romanziere Stevenson e dal filosofo Bertrand Russell, elogiatori dell’ozio al pari di Hermann Hesse teorico dell’Arte dell’ozio (1911) da Scrima trasposta nella nobile ‘arte del divano’. Fino a García Lorca col Diván del Tamarit (1940), florilegio poetico legato alla tradizione arabo-andalusa; e fino all’inorridito dal lavoro Emil Cioran, che, senza trascurare la poltrona “promotrice della nostra ‘anima’” (Sillogismi dell’amarezza, 1952) ricerca l’Assoluto pure in un divano (Le crépuscule des pensées, 1940). Col pressoché dimenticato, pariniano ‘giovin signore’, giocatore ‘a perdere’, dandy e stilista letterario Tommaso Landolfi che le proprie assai laboriose scritture ebbe supremamente in uggia: “Ho mai amato il mio lavoro? No perdio: ho il piacere e il vanto di affermare che esso mi ha sempre disgustato” (Rien va, 1963).

_____________________________

[Leggi tutti gli articoli di Stefano Lanuzza pubblicati su Retroguardia 3.0]

_____________________________07

Pubblicato da retroguardia

Docente e critico letterario. Dirige la rivista di critica letteraria "RETROGUARDIA". Si è occupato in particolare della narrativa di Guido Morselli e Gesualdo Bufalino. Altri interessi di ricerca riguardano anche la poesia contemporanea, la teoria della letteratura, il romanzo fantastico e comico, la metrica italiana. Suoi interventi critici sono apparsi in rete (Musicaos.it, Retroguardia, La poesia e lo spirito, ecc) e su alcune riviste di letteratura (Tabula rasa, Narrazioni, ecc). Socio fondatore dell’associazione culturale e membro del comitato di lettura di vibrisselibri, redattore de “La poesia e lo spirito” dal 2007.