Il successo travolgente e planetario del Nome della Rosa, nei trent’anni che ci separano dalla sua apparizione, è stato anche un successo accademico. La bibliografia accumulatasi in tutto il mondo sul romanzo è ormai imponente, e ne ha indagato tutti gli aspetti: i rapporti con l’estetica post-moderna, le fonti e i modelli, le implicazioni teoriche e semiologiche, i risvolti attualizzanti. Anche il tema che qui ci interessa, quello della rivisitazione del Medioevo, è stato oggetto di numerosi studi, tanto che ben poco sembrerebbe possibile ancora aggiungere. Per tentare un ulteriore approfondimento, vorrei allora muovere da una questione in apparenza banale e poco pertinente, chiedendomi le ragioni che hanno fatto del Nome della rosa un best-seller mondiale, tradotto in più di quaranta lingue e capace di vendere, nei soli primi vent’anni (1980-2000), oltre sedici milioni di copie. Credo che le spiegazioni normalmente invocate, benché certamente valide, non siano però sufficienti: quelle, dico, che fanno capo al moderno revival del Medioevo, alle grandi doti narrative e affabulatorie dell’autore e alla sua notorietà presso il largo pubblico, al battage pubblicitario, o alla funzione di “traino” svolta dal film che Jean-Jacques Annaud liberamente trasse dal romanzo nel 1986 (e sul quale ritorneremo).