Leopardi e i costumi degli italiani

Giacomo Leopardi, Discorso sopra lo stato presente dei costumi degl’italiani, a cura di Vincenzo Guarracino, La nave di Teseo, Milano, 2021, pp. 416, € 17,10

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di Renato Minore

Qualunque sia la loro classe di appartenenza, le “classi superiori” non meno che il “popolaccio”, gli italiani sono oggi i più cinici del mondo. “Ridono della vita: ne ridono assai più, e con più verità e persuasione intima di disprezzo e freddezza che non fa niun’altra nazione”. “Il più savio partito è quello di ridere indistintamente e abitualmente d’ogni cosa e d’ognuno, incominciando da sé medesimo”, celando la propria disperazione dietro una maschera, se non di tetra indifferenza, almeno di dolente impassibilità e spaesamento, di fronte a un quadro disarmante di arretratezza. Si potrebbe continuare sulla stessa lunghezza d’onda: così la pensava Giacomo Leopardi nel Discorso sopra lo stato presente dei costumi degl’italiani, breve trattato di filosofia politica, in cui analizza qualità e vizi che contraddistinguono il nostro carattere nazionale. Vitaliano Brancati lo considerava un “piccolo capolavoro” paragonabile al Principe di Machiavelli,“ un modello di saggistica, di prosa vigile e acuta”.

Composto a Recanati tra la primavera e l’estate del 1824 e rimasto inedito fino al 1906, il Discorso è stato spesso più citato che letto, quasi rimosso da quanti non gli perdonavano la denuncia dei mali antichi dell’Italia, con giudizi a dir poco urticanti e crudeli. Ora una nuova edizione di quello che si può considerare un classico del pensiero è pubblicata da La nave di Teseo (Milano, 2021, pp. 416, € 17,10) con una introduzione di forte valore ermeneutico e con un monumentale commento di Vincenzo Guarracino che mette in luce le intuizioni profetiche che fanno delle pagine leopardiane un testo utile per capire gli italiani ancora oggi.

Il grandissimo Leopardi antropologo dei mali nazionali è ancora un’immagine che contrasta con il grandissimo poeta della luna e di Silvia. Quella sua Italia immersa in un Ottocento cupo, gli italiani che con disincanto egli non pensava neppure unificabili sotto una sola nazione, li conosceva non soltanto attraverso i libri e la letteratura. Ma anche, e soprattutto, attraverso la consuetudine e la “disperata speranza” della frequentazione: la sua esperienza fisica si svolse tra Recanati, Roma (dove maturò le sue riflessioni sul vivere sociale al centro del Discorso), Milano, Firenze, Bologna e poi Napoli, dove visse i tragici anni finali.

Con gli italiani il poeta dell’Infinito non è certo tenero. Che cosa ci rende tanto diversi dai francesi e dagli inglesi? Un Paese, il nostro, rimasto arretrato rispetto alle linee di sviluppo della civiltà europea, che non ne possiede i fondamenti morali e ha perduto quelli antichi, distrutti dalla stessa civiltà. A noi manca una società “stretta”, cioè coesa, capace di sentirsi come una rete ben ordita, in cui ognuno tiene in gran conto il giudizio e la stima degli altri, proprio perché si sente parte di una squadra. Ciascuno, arroccato e chiuso nel proprio individualismo, si arroga il diritto di sentirsi al di sopra dei vincoli sociali più profondi, cioè dei “costumi”, nel dilagare di una tolleranza mal intesa e nella mancanza di ogni spirito nazionale, producendo un atteggiamento di endemica abulia, di imbelle disfattismo, accettato da tutti in maniera pressoché indiscutibile. È cinismo, una vera e propria forma di cinismo sociale, riducendo la civile convivenza a passatempo, a puro svago, e la religione a superficiale espressione religiosa, con danni incalcolabili, e con élite politiche inefficienti se non inesistenti. È disprezzo, freddezza, indifferenza, superficialità, inettitudine, dissimulazione (con corollario di improvvisazione, disorganizzazione, provvisorietà, disordine, grettezza, pressappochismo), per tutta una serie di ragioni storiche e strutturali: “qualità tutte da ‘paese senza’, non di un popolo che voglia sentirsi ed essere nazione o patria”.

Insomma, quella leopardiana è anche una aperta e in parte ironica celebrazione del buon senso di un popolo che è abituato a non prendere sul serio neppure il proprio cinismo. Immorali e narcisi questi italiani sono uomini di mondo, conoscono la vanità dell’esistenza e l’inutilità di applicarsi ad essa. Si chiedeva Leopardi: vincerà l’italiano anche su sé stesso, sull’atavica corrosiva coscienza che gli deriva dalla sua natura e dalla sua storia e che lo fa sembrare sempre inadeguato alla sua rinascita, cioè all’accettazione vera, piena, definitiva della modernità?

In tempo di crisi come l’odierna, sanitaria, economica, sociale, l’interrogativo si ripropone proprio leggendo le pagine di Leopardi, “chiuso nella sua corazza” di intelligenza (come lo vedeva Walter Benjamin), capace non solo in questo testo di conoscenze e competenze che ne fanno uno dei più profondi pensatori che l’Italia possa vantare, dotato per di più di una capacità di modulare anche dal punto di vista formale il proprio pensiero, secondo cui “il sentimento che anima al presente è la sola musa ispiratrice del poeta”.

Guarracino presenta il testo con le opportune griglie filologiche e storiche, da studioso tra i maggiori del poeta dell’Infinito qual è. Nelle quasi trecento pagine di commento ne illumina la sua genesi e la sua realizzazione all’interno del laboratorio filosofico e letterario di Leopardi. Inguaribile “solitario” che vuole superare “l’individualismo e il cinismo che sono ancora oggi non meno di ieri, i tratti caratteristici del carattere degli italiani, aspirando ad una eticità nuova , a una visione della società e dell’interesse pubblico che porti ad una piena libertà dell’individuo”.

 

Pubblicato da retroguardia

Docente e critico letterario. Dirige la rivista di critica letteraria "RETROGUARDIA". Si è occupato in particolare della narrativa di Guido Morselli e Gesualdo Bufalino. Altri interessi di ricerca riguardano anche la poesia contemporanea, la teoria della letteratura, il romanzo fantastico e comico, la metrica italiana. Suoi interventi critici sono apparsi in rete (Musicaos.it, Retroguardia, La poesia e lo spirito, ecc) e su alcune riviste di letteratura (Tabula rasa, Narrazioni, ecc). Socio fondatore dell’associazione culturale e membro del comitato di lettura di vibrisselibri, redattore de “La poesia e lo spirito” dal 2007.