“La Volonté du roi Krogold” di Louis Ferdinand Céline (appunti di lettura) [Parte 3/3]

La Volonté du roi Krogold di Louis Ferdinand Céline (appunti di lettura)


di Luisa Crismani

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Sequenza VII (p.94-98)

E’ il testo di una lettera che l’indovino Excelras scrive al trovatore Tébaut, invitandolo a raggiungere lui e il Re a Christianie. Dalla lettera, oltre a ripetute attestazioni di affetto, sappiamo che Tébaut sta per raggiungere Rennes in Bretagna, che è un poeta che canta accompagnandosi col liuto, che è abile parlatore e intrattenitore, oltre che svelto nei giochi di mano, e Excelras gli racconta delle guerre che Krogold continua a combattere, non smettendo una che per cominciarne un’altra, che il suo desiderio è partire per una crociata.

Comunque la lettera sollecita a raggiungerli presto, prestissimo, prima di Pasqua, portando seco stormi di rondini che lui incanta colle sue musiche e che senza dubbio lo seguiranno.

Tutta la notte scrive Excelras, aiutandosi con una grossa lente, al freddo e alla fioca fumosa luce di un lucignolo. Termina all’alba, perché il Re ha dato ordine che i corrieri partano al mattino presto.

Sequenza VIII (p.99-101)

Cambia tutto. Un nuovo protagonista, Tébaut, un nuovo paesaggio, la Bretagna.

«Air de Bretagne, doux et [bleuant], chantant à la neuve saison d’essaims de ramiers au bocage, Et la rivière nommée Vilaine au détour du moulin bruissante, battant les arches à gros limons».

(Aria di Bretagna, dolce e [azzurrante] che canta alla nuova stagione con stormi di colombi nei boschetti ombrosi. E la riviera detta Vilaine rumorosa alla svolta del mulino, che batte le pale nella grossa rena.)

Céline descrive animali e piante, i tetti e i monumenti di Rennes, che Tébaut vede da lontano. Vasta e nobile e pia città, spesso meta di pellegrinaggi, che vengono dalle marche lontane e dall’Irlanda, durante l’Ascensione e nei periodi di digiuno. Nelle sere in cui si tiene Parlamento, una gigantesca processione riunisce tutta la città, e la illumina a giorno con le candele.

Tébaut pensa a tutto questo, mentre è indeciso se entrare subito, aspettare il favore delle tenebre, o addirittura rinunciare. Ma ha una piccola speranza, potrebbe forse trovare appoggio in città presso il suo antico compagno di scuola, Joad, figlio del procuratore Morvan, famiglia ricca e rinomata in città. Joad gli aveva descritto tutto, persone e casa, fin nei più piccoli particolari, tanto che a Tébaut sembra di conoscerli, genitori, amici che li frequentano, persino le servette seducenti.

Mentre pensa a tutto questo, stanco morto per il lungo viaggio, si addormenta vicino all’acqua, tra l’erba e il fango e sogna…

Sequenza IX (p. 102-116)

ma non si tratterà di un sogno piacevole, piuttosto di un incubo.

La sequenza si divida in due parti.

Céline inizia con un «Pauvre Tébaut, là gisant tout meurtri, tordu de fatigue […]» (Povero Tébaut, che giaceva là tutto pesto, curvo per la stanchezza […]) e conclude questa parte con la descrizione dell’angelo custode di Tébaut: «son ange gardien tout déchu perclus, effroi de chagrin loin de lui, retourné saignant au ciel, tout écharpé, morfondu». (il suo angelo custode deposto, impotente, angosciato dal dispiacere lontano da lui, tornato sanguinante in cielo, tutto massacrato, desolato.), e contiene uno di quei capolavori assoluti di Céline: la narrazione di un incubo.

Tébaut è stanco, si addormenta di colpo ma in posizione scomodissima, assediato da rumori assordanti in testa (Céline ne sa qualcosa) cui si aggiungono ben presto ricordi cupi e turbolenti dal suo passato… rimorsi per gli assassinii di cui è stato colpevole, con la complicità di Joad. Il racconto è spezzettato, sincopato, pullulano i tre puntini, ma è affascinante, coinvolgente, anche perché mentre descrive il sogno descrive anche il sognatore. Personaggi che appaiono e scompaiono per poi tornare, musiche di tutti i generi, dal minuetto alla quadriglia alle danze campestri, e strumenti flauti e viole e clarinetti, pifferi tamburini e ottoni fracassoni. Questi suoni e musiche e danze contrappuntano e accompagnano fatti di sangue, anche molto cruenti e sempre perfidi e malvagi, senz’altra motivazione che la violenza, violenza persino divertita, orge di sangue. Tébaut è senza dubbio un assassino, ma anche le guardie notturne non scherzano quanto a crudeltà. In un tempo senza tempo (passato e presente coesistono) e un luogo senza luogo (dove siamo adesso? a Parigi? o alle porte di Rennes?) E’ un’incubo, che termina quando suonano a distesa le campane della messa. Come non pensare a Una notte sul Monte Calvo di Mussorgskij?

Tèbaut si sveglia, si stiracchia, rimette gli stivali e sacco in spalla, per niente sconvolto, con un’idea perversa che gli viene in mente, si avvia fischiettando verso la darsena…

C’è un traghetto, per attraversare il fiume, e il passatore invita Tébaut a salire ma quando sa la tariffa Tébaut dice di non aver denaro. Se la conversazione all’inizio è improntata a ironia e leggerezza, adesso si arriva agli insulti, e alle mani. E’ questa la prima di quella che alcuni commentatori e critici di Céline chiamano la “poetica degli insulti”, qui ce ne sarà subito un’altra, con la prossima sequenza, ma i lettori di Céline ricorderanno certamente il battello La Publique in D’un château l’autre e la ridda d’insulti: da cancheri, fetori, carogne e simili, fino ai comici convolvoli, clematidi, giaggiolo! Qui gli insulti si sprecano, e le botte anche, a cominciare dal colpo in testa del passatore a Tébaut, che viene anche disarmato della sua spada. A più riprese i due si picchiano, tra le risa e le esortazioni degli astanti. L’intervento di una vecchia megera con tanto di civetta sulla spalla, che promette di predire il destino a quella gente, uno per uno sull’altra sponda, fa balenare al passatore la speranza di un grosso guadagno, per il trasporto di tante persone. La vecchia la porterà gratis! Il battello sovraccarico rischia di affondare ma infine approda. Il passatore chiede un altro scudo a ciascuno, minacciando di buttarli a fiume se non pagano. Polemiche, dispute, rabbia… ma il passatore è un pezzo d’uomo, muscoloso e armato di un tremendo arpione. Tutti pagano, tranne la vecchia e, naturalmente, Tébaut che ripete di non aver un soldo. Si offre, Tébaut di pagare col suo canto, ma il passatore si rifiuta e lo insulta ancora, l’arpione proprio accanto alla sua testa, pronto a vibrare il colpo. Tébaut implora la gente di aiutarlo, e canta per loro tre volte. Niente. Una bambina alla fine viene avanti, col volto rigato di lacrime, e gli butta uno scudo sulla sabbia. Con un balzo il passatore se ne impossessa. Tébaut approfitta della sua distrazione e scappa.

Sequenza X (p.117- 126)

Ci spostiamo a Rennes, sotto le porte Mordelaises, dove in una segreta, una prigione sotterranea, da dodici anni si trova incatenato al muro il bardo Gwenchalan. Figura che deriva da quella di Gwenc’hlan, profeta e poeta leggendario in Bretagna, accecato e imprigionato per aver rifiutato di convertirsi al cristianesimo.

Henri Godard scrive, nella prefazione agli inediti nella Pléiade, che «Céline è uno scrittore esigente. Ogni giudizio espresso su di lui, sia pure in orizzonte personale, esige dal lettore uno sforzo di chiarimento del proprio pensiero, di precisazione della propria scala di valori. In Céline due valori si confrontano e si affrontano: la morale e la sensibilità all’atto creativo». Questa sequenza, in tutto il romanzo, è quella in cui morale e atto creativo sono davvero in equilibrio: sono, la scrittura e la storia e i personaggi in un equilibrio che non minaccia mai di crollare, rasenta la perfezione, se non la raggiunge addirittura. Sarebbe interessante vedere il manoscritto, per capire quanto e come ci ha lavorato l’autore.

Gwenchalan è incatenato da dodici anni, in piedi, nudo, al muro e il suo aguzzino, il boia Jarlo, una volta la settimana, la domenica, viene a imboccarlo con un pezzettino di lardo e un cucchiaio di broda per cani, oltre a infliggergli il castigo, legnate e colpi di catena che gli lacerano le carni, fino a scoprire le vene, che gli penzolano gocciolando sangue.

Fra anatemi, bestemmie, ingiurie del bardo e colpi e ingiurie di Jarlo la giornata si consuma. Alla sollecitazione del carnefice a pentirsi, a recitare qualche preghiera a un santo che gli sia meno antipatico degli altri, Gwenchalan tace o risponde sdegnosamente di no.

Jarlo arriva a implorarlo, a chiedergli di aver pietà di lui, costretto a torturarlo da dodici anni, zimbello di tutti perché non è riuscito a convertirlo. Qui si raggiunge il paradosso. Non si ride. Neanche un po’. Perché la scena è davvero impressionante e perché ci rendiamo conto che non avrà mai fine.

«Sconvolto da lì dal fondo dell’oscurità gli sputava addosso il bardo lontano, pieno di rabbia, accanito nelle bestemmie, scrollando il muro a scossoni, furioso ai ferri, devastato nelle membra, sbreghi nella carne dappertutto. Il boia mentre saliva verso la luce, dall’abbaino là in alto urlava ancora verso Gwenchalan.

– Sei maledetto mostro! Il diavolo stesso ti rifiuta! Ti respinge agli inferi! Non ti vuole!

– Ti abbraccio boia! Ti abbraccio! un bacio dall’anima! Servo d’ostia! E sul tuo cibo ha da ridire la mia gola d’angelo! Per la puttana di Nazareth gloria al Demonio!

Dopo di che il boia se ne andò. »

Sequenza XI (p.125-128)

Tébaut in fuga dal passatore entra correndo a Rennes, gambe in spalla, senza fermarsi, senza guardare dove va. La gente gli grida di stare attento ma non li sente nemmeno, così voltato l’angolo incappa in una processione, ribalta preti, suore, candele, messali, reliquie, baldacchini, anche quello più alto. Tutto gli crolla addosso, e lui da sotto grida aiuto! Ma i fedeli vogliono linciarlo: è un sacrilego. Preso, picchiato, ridotto a un cencio, lo ammazzerebbero lì se non intervenisse un frate che li ammonisce di non farsi giustizia da soli, sarebbe peccato gravissimo, mortale, ma di farlo giudicare da un tribunale, poi, dato che non viene ascoltato, suggerisce di farlo portare dagli arcieri alla segreta… L’idea li persuade e spintonano e insultano Tébaut fino alle porte Mordelaises, dove il boia Jarlo lo prende e, aperta la botola, lo butta giù di schiena con un gran calcio nel ventre.

Ci ricordiamo tutti, no?, che arrivato in Bretagna, mentre guarda Rennes da lontano, Tébaut si sofferma anche sulla torre Mordelaise e pensa alle processioni che si tengono durante le sere che c’è Parlamento. Non poteva immaginare…

Nelle mie letture puntigliose ho notato che Céline scrive molto spesso Destino con la maiuscola.

Ma Jarlo non è ancora soddisfatto:

«Eccone due gettati ai topi! Non c’è due senza tre! […] Chi ci dirà il terzo!»

E fu presa la gitana, la vecchia miserabile col gufo tra le braccia. Il boia getta anche lei nella fossa, e grida disperata mentre cade, a straziare l’anima. La gente canta di gioia e ringraziamento in gloria a Gesù.

Anche stavolta, come per la spada che diventa croce, un gesto crudele si trasforma in manifestazioni di fede e giubilo. Bisognerebbe contarli, e trascriverli uno dopo l’altro. Probabilmente Céline non sarebbe d’accordo, in questo romanzo/leggenda/fiaba non c’è niente di ideologico, nessuna tesi da dimostrare, solo la musica e la poesia.

Sequenza XII (p.129-135)

Finora ci siamo mossi tra re e principi, cavalieri, vescovi, principesse e, dall’altro lato povera gente comune, un assassino/trovatore, un boia, un bardo incatenato, turchi e tartari, soldati e mercenari, eccetera. E’ la volta della borghesia, non quella piccola di Mort à crédit, la borghesia ricca e importante della capitale della Bretagna.

Il procuratore Morvan chiama la moglie, che è a dirigere il lavoro delle serve ai piani superiori. La chiama ad alta voce, impaziente. Lei si precipita. Vuol sapere, Morvan, cosa pensa la moglie del suo abbigliamento. Sta per andare al Parlamento. Bellissimo, dice la moglie. La conversazione si sposta sul figlio Joad, quando la signora confessa al marito di aver fatto un brutto sogno. Avete certo sognato quel poco di buono! La signora si dispera: come si può parlare così del proprio sangue? Morvan disprezza il figlio, lo trova un fannullone, che frequenta solo cantastorie e prostitute, dice chiaro e tondo alla moglie che aspetta l’occasione buona per punirlo severamente. La donna piange, si dispera, ma il marito è irremovibile. La sua attenzione in questo momento è tutta concentrata sul proprio abbigliamento, sul portamento, su toga e tocco! Fa venire il pittore Agaric perché gli faccia il ritratto.

E’ la vanità di Morvan che viene fuori, il suo potere sulla moglie, l’essere pieno di sé, pare un tacchino che fa la ruota.

Lontana l’autorità di Krogold, più lontana ancora la fibra di Gwendor, lontanissime infine quelle carni straziate dalla paura, dagli arcieri del Re, dai suoi cani.

Squenza XIII (p.136-137)

(in nota: è probabilmente incompleta o lacunosa)

Certo che è brevissima.

« Il Parlamento della Bretagna in quel mese di maggio teneva concilio dei grandi Stati».

Descrive chi e da dove viene verso Rennes. Il motivo è far rimostranze al Duca in merito a editti sul sale, commende, prestiti e taglie, e condannare abusi e licenze. Durante il cammino discutono tra loro, in modo acceso. Ma il desiderio di tutti è che sia fatta giustizia, a protezione dei deboli e reprimende ai baroni feroci che spolpano il servo.

C’è una piccola frase, alla fine: tutti questi delegati sono riccamente vestiti e casa loro fanno bisboccia con prosciutti e spumanti.

Incompiuto, La Volonté du roi Krogold? Affermano questo, i curatori. Ma ci chiediamo, noi lettori: quando mai Céline scrive la parola “fine”?

Chiude il libro, gira la copertina sull’ultima pagina. Siamo noi che dobbiamo pensarci su. Lui la sua parte l’ha fatta.

(Fine)

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Pubblicato da retroguardia

Docente e critico letterario. Dirige la rivista di critica letteraria "RETROGUARDIA". Si è occupato in particolare della narrativa di Guido Morselli e Gesualdo Bufalino. Altri interessi di ricerca riguardano anche la poesia contemporanea, la teoria della letteratura, il romanzo fantastico e comico, la metrica italiana. Suoi interventi critici sono apparsi in rete (Musicaos.it, Retroguardia, La poesia e lo spirito, ecc) e su alcune riviste di letteratura (Tabula rasa, Narrazioni, ecc). Socio fondatore dell’associazione culturale e membro del comitato di lettura di vibrisselibri, redattore de “La poesia e lo spirito” dal 2007.