“La passion predominante. Perché la letteratura” di Giulio Ferroni

Giulio Ferroni- La passion predominante

di Francesco Sasso

La passion predominante. Perché la letteratura (Liguori Editore, 2009) è il breve racconto della storia intellettuale e morale di Giulio Ferroni, un dei maggiori storici della nostra letteratura, docente all’università La Sapienza di Roma.

Dietro le convinzioni di oggi, ci dice Ferroni, ci sono gli anni della sua infanzia e della prima giovinezza, i giochi infantili, gli incontri con amici e compagni, e altrettanti scontri. E ci sono tante esperienze culturali: le prime scoperte letterarie, il suo De Sanctis e Croce, l’insegnamento di Walter Binni, la scoperta dello strutturalismo, il confronto con le innumerevoli proposte venute da tanta parte della critica contemporanea europea e americana, i tanti libri che ha letto e i tanti che ha scritto. Come nasce quindi la passion predominante?

 

«La passione per la letteratura può sussistere solo se è “inclusiva”, se si appoggia su una disponibilità all’ascolto delle voci più diverse e magari contraddittorie. […] l’immenso territorio della letteratura che abbiamo alle spalle ci propone tante opere e tante forme che recano dentro di sé una densità e intensità di esperienza, che può mantenere un rilievo essenziale per la nostra vita, che può offrirci parole determinanti per capire dentro di noi e fuori di noi; e questo possono farlo anche autori che ad uno sguardo esteriore appaiono ostici, lontani, magari avversi e antipatici.

Bello è poter pensare che ci sono ancora tanti territori da scoprire, tante esperienze da riconoscere, tante parole essenziali da ascoltare e da fare in qualche modo proprie. Certo gli autori “primi” mantengono un rilievo particolare, perché sono entrati dentro di noi a formare proprio la nostra disponibilità all’ascolto, a darci i parametri di riconoscimento di ciò che chiamiamo letteratura; grazie a loro impariamo a chiedere ad ogni nuova scrittura qualcosa di simile (non nei contenuti, non nelle forme, ma nell’energia) a ciò che essi le chiedevano. E se sono grandi autori ci insegnano a chiedere tanto , a chiedere a tutti gli scrittori che ci capita di leggere, anche ai nostri contemporanei, ai nostri coetanei, a quelli di noi più giovani, parole perentorie, essenziali per la vita e per il mondo. Gli scrittori grandi ci spingono a volere che la letteratura non sia mai semplice gioco, un passatempo distensivo, un rigido strumento professionale, ma qualcosa che conta, un modello di mondo, un rimedio alla disgregazione, una speranza per il futuro». (pag.47-48)

 

 

La prima parte del volume è disseminata da deliziosi frammenti autobiografici: il dopoguerra, la povertà, l’incontro con persone semplici che, senza saperlo, hanno agito attivamente sulla coscienza del Ferroni bambino. Dopo aver rievocato tutto ciò, dopo aver attraversato velocemente il suo passato, Ferroni intraprende una disamina vigorosa del nostro tempo, evidenziando le condizioni che la modernità impone agli uomini di quest’inizio di secolo, analizzando la condizione della scuola, delle università e, soprattutto, della letteratura «per capire il nostro presente, per interpretare le sue contraddizioni e per cercare di porre ad esse “rimedio”» (pag.45)

 

Ferroni parte dal saggio La letteratura in pericolo (2008) di Tzvetan Todorov per poi mostrare come il pericolo gravi su più fronti, su «l’intero ambito della comunicazione contemporanea […] e il suo sempre più indeterminato carattere di pura apparenza, di “spettacolo” vuoto». (pag.71)

 

Inoltre, con i nuovi mezzi di comunicazione moderni – internet su tutti – dove è diffusa la possibilità di imporre il linguaggio scomposto e i modi di dire disordinato, il tutto battezzato dalla velocità, dalla semplificazione e dalla “permutabilità infinita della parola”, i problemi per la letteratura si complicano notevolmente.

 

 «Proprio l’uso delle varie tecnologie da parte delle giovani generazioni ha allontanato sempre più la letteratura dallo spazio formativo, da quella funzione di riconoscimento di sé e di apertura alla conoscenza del mondo che aveva avuto per molte generazioni precedenti […] Questi media “elettrici” hanno ulteriormente contribuito ad allontanare la presa della letteratura, dei suoi modi di rapporto, escludendo quella disposizione alla sospensione, al rallentamento, alla pausa e al silenzio che è per essa essenziale». (pag. 74-75)

 

Naturalmente Ferroni riconosce l’utilità del mezzo “elettronico” per lo studioso e il lettore, ma ne denuncia l’estremizzazione, come per esempio la corsa all’archiviazione “elettronica” (video, testi, audio), senza discriminazione critica del materiale archiviato. Paradossalmente, ci dice l’autore, così si finisce per perdere la memoria delle cose:

 

 «occultando il senso del suo rapporto vivo con l’esperienza, con la memoria, con la passione, con la bellezza, con quelle domande essenziali sull’esistenza che restano comunque determinanti per le giovani generazioni». (pag. 79)

 

L’altra questione trattata dallo studioso è la gran quantità delle pubblicazioni oggi. Grazie alle nuove tecnologie, stampare un libro è facile e poco costoso. Inoltre, il libro è diventato merce da produrre senza sosta. La carta sommerge il lettore e l’incontro col “nuovo” diventa impossibile a causa di questa “costipazione”:

 

«Il critico, come mi capita spesso di ricordare, viene preso dall’angoscia della quantità, dall’invasione di libri che si accumulano sulla sua scrivania, molti dei quali sa bene di non poter mai arrivare a leggere». (pag.80)

 

C’è la necessità, ci dice Ferroni, di “un’ecologia della letteratura e della lettura”. E ciò vale anche per la produzione di libri di critica, spesso autoreferenziale e inefficace, giacché, in questa babele tecnologica e cartacea, Ferroni segnala “la fine dello stile”, cioè, il linguaggio perde consistenza e contatto con la sua “radice corporea” e l’esperienza del presente.

 

Una via d’uscita, afferma lo studioso romano, è la ricerca dell’oblio: «Il mondo e la letteratura si conoscono provando a liberare la mente dalla costipazione della comunicazione in cui siamo presi. La memoria si salva riconoscendo la necessità dell’oblio». (pag.98)

 

Ora, per concludere, al redattore di queste righe pare ovvio che, a seconda dei tempi, ci sono diverse possibilità di vivere e di fare cultura, e diversi ostacoli da superare. E’ la stessa storia della letteratura a spiegarci che ogni generazione di scrittori e di lettori ha sempre messo in campo strategie nuove per abbattere ostacoli nuovi. Quindi, nonostante tutto, ho ancora una bruciante fiducia nella letteratura del futuro.

 f.s.

[Giulio Ferroni, La passion predominante. Perché la letteratura, Liguori Editore, 2009, p.108, € 10,90]

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Pubblicato da retroguardia

Docente e critico letterario. Dirige la rivista di critica letteraria "RETROGUARDIA". Si è occupato in particolare della narrativa di Guido Morselli e Gesualdo Bufalino. Altri interessi di ricerca riguardano anche la poesia contemporanea, la teoria della letteratura, il romanzo fantastico e comico, la metrica italiana. Suoi interventi critici sono apparsi in rete (Musicaos.it, Retroguardia, La poesia e lo spirito, ecc) e su alcune riviste di letteratura (Tabula rasa, Narrazioni, ecc). Socio fondatore dell’associazione culturale e membro del comitato di lettura di vibrisselibri, redattore de “La poesia e lo spirito” dal 2007.