Isabella Horn, “Il canto del Covid”

Isabella Horn, Il canto del Covid, Villanova di Guidonia, Aletti, 2021, pp. 52, € 12,00

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di Stefano Lanuzza

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Ora dirò quale causa provochi le malattie,/ e donde scoppi, ad un tratto, la pestilenza” (Lucrezio, De rerum natura, I sec. a. C.); “Il SARS-COV-2 è un virus sfuggente” ( D. Quammen, The Warnings…, 2020)

Disposto in una serrata sequenza di poemetti, al modo del De rerum natura lucreziano ha la struttura unitaria di un poema epico-didascalico in diciassette coese lasse Il canto del Covid (Villanova di Guidonia, Aletti, 2021, pp. 52, € 12,00, ISBN 978-88-591) di Isabella Horn, di lingua madre tedesca e scrittrice in un italiano cristallino e vario.

Da osservare, altresì, è la rigorosa, perfino virtuosistica schermaglia fonologica dell’autrice che dispone le proprie strofe in un tramaglio di assonanze e consonanze, con rime composte, alternate, incrociate o chiuse costruite su principi musicali.

Dopo le satire sociali di Ballate dei sudditi felici (2018), dopo le mitografie di Gli Dei clandestini (2019) e del cospicuo Cosmos (2020; libro di erranze tra la Grecia dei poeti e filosofi fino un’Etruria fantasmatica o a fascinazioni nordiche), nel Canto… la Horn pone al centro del suo discorso simbolico-derisorio quanto accorato il nostro tempo dell’epidemia virale Covid, probabile malattia zoonotica causata dalla deforestazione selvaggia, dal commercio di animali, dallo sfacelo degli habitat naturali e degli equilibri ecologici: un virus che, chissà se giunto con salti di specie da un mercato cinese di fauna selvatica viva (pipistrelli pangolini procioni tassi ratti zibetti…), sospende il tempo consegnando a presagi apocalittici e facili profezie il mondo in crisi climatica. Ed è il tragico accadere della natura, resa dalla contemporanea umanità vieppiù ostile, il movente che fa da stimolo all’impulso anche critico della poetessa che, nell’occasione, tralasciando ogni condiscendenza lirica, rivendica senza infingimenti il proprio severo impegno di consapevolezza. Né c’è da dubitare che il Covid sia un’arma biologica: questa, tuttavia, non proviene da un laboratorio di virologia bensì da un evento reattivo della natura.

Dapprima, secondo difensive imposizioni oligarchico-istituzionali, le persone, confinate nelle loro case, talora cantano dai balconi per esorcizzare la paura causata dall’inatteso nemico, un’epifania quasi metafisica ignota all’umano apparato immunitario. “Tutti a casa a casa a casa!”, dunque; in malsicura fuga da un microrganismo giunto – avevano congetturato – dalla città cinese di Wuhan: per sfuggirlo e a evitare, inoltre, di essere inopinatamente multati se colti a passeggio, o resi infetti dalla stessa aria che si respira e “ricoverati, / magari intubati”.

Nel sistema urbano superaffollato accadono progressive destabilizzazioni economico-sociali e crisi psicologiche degli individui, cui sono interdetti abbracci feste gite shopping weekend gare sportive, apericena o cene fuori, cinema teatro mostre, palestre o piscine, parrucchiere o barbiere, movida e “febbre del sabato sera”. E “gli amori? Imprese clandestine”… Stupefatta solitudine davanti a televisori, computer e tastiere, smartphone, social e tecnologie digitali. Isolamento angoscioso, apatia e noia, sonno anche di giorno, risvegli per un bagno di folla o assembramento tossico gradito dal bacillo in agguato: “Appiccicosi / appiccicati vi voglio. Bravi: sta funzionando / alla grande: se v’incollate, alla fine ci state / tutti quanti…”.

Esistenze senza più libertà nell’imperversante “ballo di San Virus” d’un carnevale sclerotizzato che impone mascherine d’ogni foggia, lontananze, confini e barriere tra i soggetti: “Offerta planetaria di maschere mascherine / […] / impreziosite, ricamate / di perle piovane o di foglie rossoambrate”.

Mettendo in scena l’emergenza, quella della Horn è un’irruzione en poète, dai toni epigrafici e stilizzati, nell’alieno mondo del “male virale” e dei monatti d’un sapere che non convince né consola: è, il suo, un libro di moralità brechtiane destrutturatore d’un sistema di presunte certezze d’immunizzazione imposte avvalendosi di protocolli di sicurezza avallati da politici accademici tecnici e influencer televisivi d’una scienza inevitabilmente inesatta non meno che impositiva. Così bollati dall’imprendibile Signor Covid saltabeccante tra le specie viventi e da un ospite all’altro, s’adatta alle cellule umane, si replica variando allo scopo di perpetuarsi rallegrandosi del proprio superiore mistero: “Professori virologi pneumologi […]: dati alla mano / poco o niente hanno capito del mio arcano”.

Attendendo alle salvifiche profilassi, forse soltanto una scommessa sul Farmaco Palingenetico, “disinfettiamoci, sanifichiamoci tutti quanti! / Strofiniamo pc e tablet, maniglie e porte! / […] / Puliamo da mane a sera pavimenti e cessi! / […] Diamo retta a scienza e scienziati, da deficienti / devoti, in fila composta, da sudditi fessi: / ubbidire bisogna alla pandemia globale!”. Miracolosi, si pensa, debbano essere i vaccini, panacee non si sa se risolutive d’una impacciata strategia sanitaria che intanto ingrassa le industrie dei vaccini brevettati e “gli azionisti delle grosse aziende / farmaceutiche, mai sazi di guadagni e prebende, / […] / è un colossale affare la pandemia globale!”.

Adattarsi, sottomettersi alle dottrine sanitarie, all’aggressiva cupidigia dell’industria dei vaccini…: vaccinarsi bisogna – perorano gli esperti sanitari. Perché – dicono – risibili sono gli ‘effetti collaterali’, respiratori o vascolari; e, dopotutto, davvero bassa risulta la mortalità tra gli inoculati (‘chi campa campa e chi muore muore’, insomma). Tanto che i malfidati finiscono per passare da sudditi disubbidienti, reprobi, mine vaganti, ‘negazionisti’ solo perché non persuasi dalle informazioni ufficiali… Quando, invece, vigerebbe l’obbligo di essere “fiduciosi, nella beata / immunità di gregge”. Allora “prepariamoci a belare / in coro, intonati e tosati” visto che “detta legge, sovrana, la pandemia globale!”, l’atmosfera pandemica impietosamente refertata dalla poetessa ora in modi visionari, ora con realistici, quintessenziali spunti satirico-polemici. Eccepisce, solleva dubbi sulle ‘idee ricevute’, trascina presagi la sua fervida poesia, impegnata e vissuta con intenzione di conoscenza, ricerca di verità, mezzo per fare luce attivando l’immaginazione in un flusso di parole che sono strofe induttive di argomentazioni e speculazioni sul corpo umano costretto nella propria essenza biologica: simultaneamente sospeso tra salute vieppiù precaria, malattia subdola, cura medica sperimentale, anelante ricerca di salvezza o malaugurata morte dovuta a un veleno che metamorfosando può indurne uno nuovo, e non solo uno.

Vado forte, sempre più forte. Non c’è che dire: / l’impegno costante e paziente sta dando i suoi frutti” proclama sfiatando il suo batterio l’antropomorfico Covid stagliato rosseggiando sulla copertina del libro. “Caspita come son bello! Bello da fare paura: / […] / quando l’Arte indaga i misteri della Natura / di gran lunga supera la scienza… in ogni recesso / riesce a penetrare scoprendo quanto matura / in segreto… il microscopio, l’osannato progresso / la mia verità più profonda, la mia essenza / metafisica ignorano… solo chiaroveggenza […] guardatemi: sono / un tiranno infernale, un mostro oltremarino! / Ammirate il mio splendore luciferino […] // Ma a quel mago d’artista / auguro, per il suo bene, che il suo destino / mai più m’incroci… ha sondato il cammino / e compreso. Grazie: alla larga dalla mia pista!”. E, protervo “Imperator Mundi”, informa: “Avete capito che sono il nuovo Dio? / Avete capito che state pagando il fio / per decenni – secoli forse – di malaffare?”; e annuncia: “Al governo mondiale miro!”. È inquietante la sua frenesia per le soluzioni assolute.

Canta tra cori di fantasmi il Covid, vendicativo messaggero della natura globalizzata dal capitalismo consumistico, la dolente canzone della Madre Terra violata nella sua biodiversità dall’uomo che la spreme e consuma “come un bambino goloso / si mangia un cono di gelato”. Mentre le popolazioni, insidiate dal virus trasmesso dai contagiati e fuso con l’anidride carbonica che avvelena l’aria, iniziano una lunga, autoreferenziale vacanza ribattezzata lockdown: altro nome della “chiusura […]/ il lockdown è la sola misura” che, almeno, fermando per un po’ le attività inquinanti, purifica l’atmosfera – “non notate / com’è terso l’azzurro, com’è fresca e limpida l’aria [?]”.

Canta, crucciandosi d’una “civiltà [che] si finge, paradosso // d’un progresso spolpante il vivente fino all’osso… / Povero me! Invano speravo / di educare l’uomo; m’illudevo d’avergli smosso / la coscienza… sottostimavo / la sua inerzia: nemmeno quando ha già addosso / il fuoco si sveglia! Ignoravo / il suo fastidio per lo stravagante eterodosso / inedito virus… […] è troppo ignavo / per guadare l’abisso?”.

Brusco e magniloquente sermoneggia il Sars-covid-2. Assiso in cattedra rivendica la propria “esistenza naturale”, addirittura si fa intervistare. “Spiacente:” tiene a chiarire “non sono nato in qualche laboratorio segreto […] / e non rientro in un piano divino […] / v’illudete che il vostro destino / conti più dell’effimera luce delle mimose, / più d’una puntura di zanzara nelle notti afose?”. Eppure non vorrebbe apparire del tutto crudele se, placandosi per un momento, manda segnali di speranza e grazia, emette moniti e promesse a quanti interebbero cambiare abitudini ostili alla numinosa natura naturans di Spinoza: “Al mio santo, arcano / furore succederanno delle stagioni serene / se mi date ascolto e retta. Non prometto invano. / Non mollo – state sicuri – l’impresa d’igiene / finché non abiurate il vostro pensiero malsano”. Tracotante pensiero, la stolida illusione che vorrebbe l’uomo separato dalla natura.

Nel frattempo, nessuno sa neutralizzare questo “piccolo, piccolissimo, addirittura invisibile” spirillo “più libero del vento”, pervicace genietto esperto di genomiche combinatorie che rimbrotta quanti non vorrebbero credere alla sua esistenza: “Come mai in Dio, nel Cristo / in tanti credete prenotando una vita immortale, / il perdono dei peccati nel regno di pace e gloria / e poi v’azzardate a dire che non esisto?! / […] / san(t)ificatevi pure, bagnatevi nell’amuchina, / novella fonte battesimale dei nuovi perfetti / a me devoti malgrado, suprema delizia: / mi segue un corteo sempre più lungo di addetti, / processione infernale di fedeli dannati, infetti!… // Sono anche su Facebook: chiedetemi l’amicizia”.

Proseguendo ad attentare agli umani, ora il covid porta al culmine il proprio canto fatale, infine una parolibera, dissolvente litania cacofonica di tosse digrignata con beffarde sonorità futuriste: “Ech… eccch… ccch… ccch… hehhcch… hhchchecch / […] Ccchrrr… hrrrch… hrrchchch… crrrchhecrrr… rrrhccc”… È “il canto della malasorte: / […] / Uscite in punta di piedi. E chiudete le porte”.

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Pubblicato da retroguardia

Docente e critico letterario. Dirige la rivista di critica letteraria "RETROGUARDIA". Si è occupato in particolare della narrativa di Guido Morselli e Gesualdo Bufalino. Altri interessi di ricerca riguardano anche la poesia contemporanea, la teoria della letteratura, il romanzo fantastico e comico, la metrica italiana. Suoi interventi critici sono apparsi in rete (Musicaos.it, Retroguardia, La poesia e lo spirito, ecc) e su alcune riviste di letteratura (Tabula rasa, Narrazioni, ecc). Socio fondatore dell’associazione culturale e membro del comitato di lettura di vibrisselibri, redattore de “La poesia e lo spirito” dal 2007.