Giacomo Sartori, Fisica delle separazioni, Exòrma, 2022, pp.174, € 16,50
di Luigi Preziosi
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Con Fisica delle separazioni Giacomo Sartori torna a raccontare l’urgenza di confrontarsi con le pieghe più intime dell’animo, che a certe svolte della vita colpisce ognuno di noi. Un’urgenza simile aveva animato una delle sue prime opere, Anatomia della battaglia, a cui quest’ultima per certi versi si avvicina, e che già lasciava scorgere nel suo autore uno degli scrittori più interessanti della sua generazione (e non solo…). Intuizione critica poi ampiamente confermata da ulteriori prove, caratterizzate da una notevole varietà di temi a cui si accompagna una non comune propensione a flettere la scrittura secondo le esigenze espressive che temi, oggetti trame e personaggi richiedono: dal tragico rovello esistenziale che innerva Cielo nero, all’orizzonte cupo che incombe su Rogo, alla satira “teologica” che insapora Sono Dio, alle interconnessioni informatiche e psicologiche che attraversano la storia di Baco.
Qui Sartori si confronta con l’ineluttabilità della fine delle relazioni affettive. Condizione esistenziale certamente universale, che attraversa le vite di ognuno, e con cui ciascuno convive a modo suo. Il protagonista del libro (Sartori stesso, evidentemente, ma con quale scarto tra vita vissuta e vita narrata non è dato sapere, né, in fondo, importa per la comprensione dell’opera) ne analizza ogni singolo dettaglio con acribia puntigliosa. Racconta quindi la separazione dalla moglie Mila, con tutto ciò che ne deriva in materia di smantellamento di ricordi, di abitudini, quotidianità, non tralasciando di evocare anche brandelli di ricordi di altri abbandoni, perché è quasi un automatismo proprio delle sensibilità più acute riesumare, nel colmo dell’inquietudine, dolori della stessa natura di quello presente già sperimentati in passato. La Fisica delle separazioni secondo Sartori comprende otto movimenti, enunciati tramite una tecnica narrativa che restituisce una narrazione ibrida, tra romanzo e racconto: ciascun movimento è leggibile anche come storia a sé, anche se solo l’insieme rende conto in pieno dello scavo interiore che il protagonista compie su se stesso.
Il primo movimento è dedicato ad imparare a dimenticare, tenendo conto che assai poco è dimenticabile, in questa materia. Il secondo movimento riguarda una separazione particolare e definitiva, quella dalla madre. La delicata materia del ‘chi lascia chi’ è oggetto del terzo: occorre approfondire ogni singolo segno (quante volte nelle separazioni le apparenze ingannano, perfino chi ne è protagonista…). Il quarto riguarda l’ineluttabilità di certe separazioni (purtroppo tali spesso solo ad un esame a posteriori) e la conseguente necessità di essere preparati ai distacchi. Il quinto si concentra sulle difficoltà di individuare le ragioni della separazione. Il sesto è dedicato alla centralità delle parole in un rapporto, sia quelle che che vengono pronunciate (sussurrate, urlate, lanciate come armi o usate come muri….), sia quelle mai dette, rinchiuse dentro di noi per timore, per necessità, per convenienza. Il settimo movimento riguarda la possibilità di cogliere i prodromi della separazione, magari inopinatamente affioranti da un tentativo estremo di riavvicinamento. L’arte di voltar pagina è l’ultimo movimento, che preannunciando una nuova relazione con una nuova fidanzata apre, sia pur cautelosamente (molti ricordi, forse troppi, non si cancellano, come già enunciato nel primo movimento), ad una prospettiva futura tutto sommato rasserenante.
La trama è costituita quindi di frammenti, che a volta si richiamano tra loro in più di un movimento: episodi di apparente trascurabilità sono invece picchi di emotività, considerato l’universo di sensazioni che il loro ricordo agita. Ci si avvicina molto ad un flusso di pensieri che l’urgenza di fare chiarezza dentro di sé rende ininterrotto. Gli stessi ritorni su certi stati d’animo da un movimento all’altro suggeriscono il peso che questi continuano ad avere nella memoria del protagonista e garantiscono dell’autenticità della narrazione.
I titoli dei singoli racconti – capitoli richiamano una sorta di manualistica del sentimento, apparendo come partizioni di una classificazione teorica dei comportamenti che vengono alla luce nelle separazioni. Il contenuto di ognuno è, invece, quanto di più lontano dal dogmatico e dal catalogatorio. In essi Sartori riversa un magma ancora incandescente di emozioni, sentimenti, affetti e repulsioni, attingendo da una memoria che si nutre di dettagli che a loro volta liberano significati profondissimi, “tante… schegge rimangono invece lì vividissime, sembra quasi facciano apposta a non liberare il campo, ad apparire anzi sempre più acuminate mano a mano che passa il tempo”.
Lo stesso Sartori, intervistato da Gianluca Garrrapa per Satisfiction, osserva che, sulle orme di giganti tanto diversi quali Beckett, Marguerite Duras, o Thomas Bernhard, dal secondo Novecento in qua “ci siamo accorti che non occorre nominare le vibrazioni interiori, per tirarle in campo e suscitarle, e anzi è proprio tacendole che possiamo esprimere la loro potenza”. Appunto. In Fisica delle separazioni l’assenza di oltranza nominalistica della loro definizione genera la loro presenza tangibile pagina per pagina: attraverso un scrittura sorvegliatissima e di estremo rigore formale Sartori riesce a far trasparire il senso di pathos che presiede l’impianto narrativo, e che ne è cifra dominante.
Esemplare al riguardo è il secondo movimento, Non esitare ad uccidere, che racconta la morte della madre, collocato quasi all’inizio del procelloso viaggio nelle separazioni forse perché la sua potenza lacerante comprende tutte le altre che si sono succedute nella vita del protagonista. La morte della madre: l’abbandono degli abbandoni, quello definitivo, che annichilisce ogni altra sensazione, e ti lascia una separazione che non ha fine. Uno strazio, espresso senza artifizi retorici, sovrasta tutta la narrazione, uno strazio che sale dall’aver silenziato appunto “le vibrazioni interiori” per far spazio alla contemplazione della perdita.
L’ordito che Sartori tesse è fittissimo, e lavorato con consumata maestria. Ricordi, rimpianti, sensazioni, giudizi si affastellano in una scrittura controllata e limpida. Il suo mondo emotivo origina da evocazioni caotiche, eppure il suo ragionare sui sentimenti non ha casualità, anzi, a ben guardare, vi presiede una consequenzialità costante. Non c’è condiscendenza, non ci sono infingimenti o edulcorazioni nel minuzioso resoconto della discesa all’interno di se stesso ( e di in tutti noi che in fondo lo seguiamo e, leggendolo, intuiamo di somigliargli molto…). Non c’è d’altronde neanche compiacimento per la negatività della condizione esistenziale rappresentata: pur in una situazione psicologica così complessa, Sartori mantiene in un mirabile equilibrio la tensione psicologica del racconto. Eppure nulla viene risparmiato, nemmeno lo scoramento suscitato dalla scoperta che “la nuda verità è che non sappiamo quasi niente di noi stessi, e ancora meno degli enigmi viventi che incrociano o condividono il nostro percorso: compresi gli esseri che ci sono vicini e che amiamo. Passiamo il tempo a fingere il contrario.”
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