Nicola Romano, Al centro della piena, Il ramo e la foglia edizioni, 2023, pp.69, €12,00
di Francisco Soriano
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Le liriche di Nicola Romano scompaginano e sorprendono. La poesia è spesso dimensione spirituale: ma non assolve a visioni profetiche né a funzioni salvifiche. Tuttavia, nei clamori di una esistenza vissuta nella consapevolezza del senso del tempo, l’ignoto prevale sulla limpida e visiva realtà delle cose. Suggestiva, quasi oracolare, la poesia d’esordio alla silloge – litania del padre nostro – la richiesta di fede è emblematica:
stringi questa preghiera / ch’io possa penetrare / vampa e viluppo del tuo focolare: / in clemenza trattienimi / anche se fossi scarto di paranza / e nel gonfio mio petto / togli ogni scoria delle mie rovine.
Nulla sembra arrestarsi di fronte al dolore e alle distopie del presente, informi mali si susseguono in nuove sembianze per finire, dai telegiornali della sera – nel piatto come fiele. Infine, lame e tracotanze / di continuo affondate nella carne sono parole vere, né cronaca né curiosità macabra, ma la favola del lupo di ieri e del domani.
Forse un timore costante albeggia dietro il nostro quotidiano, la vita porge il fianco a miasmi, dolori, rotture; anche se nelle frequenti dispersioni costante è il timore / – appena l’alba – / d’imboccare giornate / in contromano; la preghiera è rito fedele anche nell’abbandono, esorta all’esserci, testimone e candore al tempo stesso: procurami salvezza, è la richiesta del poeta, dammi due venature / lucenti e irregolari / come nel marmo rosso / degli altari. Eppure ritrovare nella preghiera la dimensione di una solidale condivisione umana e ambientale, aiuta alla contemplazione, laddove e intanto, c’è da andare, verso ignote pasture / fingendo spigliatezza / sopra i carboni ardenti.
Il racconto si rivela fra auguri e sgomento, nulla ha tregua soprattutto nell’ibrido pensiero: che sia la volta di una chiarificazione, al risveglio di un domani con senno e con fervore a sconfiggere presagi e dimenticare sogni.
Nicola Romano avverte dell’inutile vagheggiare in versi. Sembra metterci in guardia dal tarlo che ogni poeta combatte, la fonia che raschia – il settenario molle e un po’ spuntato, quel verso che nella foga spinge e non deflora.
Strepitosi i versi, infine, di Incontri: il poeta mostra la sua raffinata sensibilità e ci appare come un saggio che scruta il tempo e affonda il pensiero. È solo un bene farsi trovare pronti all’incontro, con labbra seminate di parole, nella luce violacea di una luna che ci appare al tramonto alla stregua di un sole. Quale sia la proposta e il patto è serbato in ognuno di noi, al cospetto della poesia, forse, e di un Dio appena incontrato.
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