Il verso inverso n.3: Non c’è soluzione, c’è luce. Anna Polin, “canto primitivo partitura per tatto e luce”

Anna Polin, canto primitivo partitura per tatto e luce, Edizioni AnimaMundi, Otranto, Lecce, 2021, pp. 96, €10,00


di Francisco Soriano

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A pochi è consentita la ricerca e lo smascheramento della sostanza informe della luce. In questa silloge Anna Polin intraprende un percorso complesso e non privo di sorprendenti variazioni sul tema della tangibilità/intangibilità della materia, che sia corpo, silenzio o luce poco cambia.

Ho un corpo di terra / un cuore scarlatto / una voce di maceria e silenzio. / Un disarticolato suono ripete: voce, voce, voce. / Cuore e fango. / Rimbomba, / fa eco, fa mondo //.

il corpo è lo spazio che sublima l’esistente, è origine del tutto, motore e ricerca, tepore e silenzio, tamburo e voce. All’interno del verso con assoluta padronanza del suono, Polin compie l’esercizio della contrapposizione che ben si sintetizza nei tessuti di una forma perfetta: corpo/terra, maceria/silenzio, cuore/fango. Il corpo compie il suo assalto all’estatico, con il suo cuore scarlatto «rimbomba», fa eco, fa mondo, seppur la voce sembra provenire come litania circolare da un suono disarticolato.

Il sottotitolo al nome dell’opera lascia subito trasparire l’attitudine della scrittrice allo svelamento: partitura per tatto e voce. Non vi è contrapposizione, neppure osmosi, il senso è nella scrittura, nelle parole, nella voce, nel tatto che il verso produce:

Ti conosco con le mani / non con sillabe unite / con caselle d’anagrafe / con gli a capo. / Hai odore di terra e pino / non c’è inchiostro / che rimane sul palmo / non c’è firma. / C’è un altro sigillo / di un bianco che tiene i colori / parole che dicono piano / sempre più piano / e poi tacciono / impastano polpastrelli e silenzio / si rivelano, / sconosciute, / nel mio non detto di dita //.

E di mistica effusione appare intrisa la poesia di Anna Polin, adagiata fra i ricordi del viaggio, una diaspora forse dalle cose del mondo così semplici, così piccole, in attesa che il silenzio e la luce plasmino l’immane catena montuosa o il tumulto assordante del mare.

Nella frequenza del mattino poi, come si fa con un corpo amato, la poetessa cura le ferite con mani/falangi di confine, immagine di una sapienza lontana ma vivida, riscoperta, finalmente annunciata.

Nel divenire, intanto, che ci appare scandito dal tempo ma è soltanto mera illusione, è necessario il gesto, il canto, la parola, il resistere, il restare sul crinale, senza temere, senza mai temere. La luce illumina cortecce, foglie trasparenti, corpi e suoni che, in controluce, diventano parole. Sono gli alfabeti che contengono le parole della poesia nella quale la nuda pelle, impastata dal buio, incarna le stelle del cosmo: e noi, altro non siamo che erba masticata dal ruminare del vento.

È proprio vero, ragione incontrovertibile tutta contenuta in un nonostante tutto mai pronunciato, che nella deriva incomprensibile del mondo non c’è soluzione, c’è luce.

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Pubblicato da retroguardia

Docente e critico letterario. Dirige la rivista di critica letteraria "RETROGUARDIA". Si è occupato in particolare della narrativa di Guido Morselli e Gesualdo Bufalino. Altri interessi di ricerca riguardano anche la poesia contemporanea, la teoria della letteratura, il romanzo fantastico e comico, la metrica italiana. Suoi interventi critici sono apparsi in rete (Musicaos.it, Retroguardia, La poesia e lo spirito, ecc) e su alcune riviste di letteratura (Tabula rasa, Narrazioni, ecc). Socio fondatore dell’associazione culturale e membro del comitato di lettura di vibrisselibri, redattore de “La poesia e lo spirito” dal 2007.