I LIBRI DEGLI ALTRI n.74: Le voci del silenzio. Paolo Valesio, “La mezzanotte di Spoleto”

Paolo Valesio, La mezzanotte di SpoletoLe voci del silenzio. Paolo Valesio, La mezzanotte di Spoleto, prefazione di Alberto Bertoni, Rimini, Raffaelli Editore, 2013

_____________________________

di Giuseppe Panella

.

«Desiderando parola. Ogni giorno che vola, egli sente / dentro di sé un rombo premente: / son le parole che vorrebbe dire / prima che scocchi l’ora del finire, // le parole accorrenti a tutti quelli / che ha scoperto essere fratelli / e sorelle (se alcune furono amate / più d’altre, invidie e insidie son passate). // S’egli rappresentasse ad ogni uno / l’onda della vita come un dono, / riscatterebbe la sua tramontante // esistenza oscura e pesante / che non trova in se stessa più valore / se non nel tuttassurdo dell’amore»[1].

E’ il desiderio di poter parlare per dire adeguatamente ciò che prova e che gli urge dentro a spingere Valesio a scrivere la “sua” poesia e a pronunciare le “sue” parole. Per lo studioso bolognese, non si tratta qui di una questione di esercizi retorici da proporre ai suoi lettori ma di una ragione di vita da sostenere.

.
Desiderare la parola implica l necessità di compiere un tentativo estremo di convincere i suoi “fratelli e sorelle” della necessità di continuare a vivere e di accettarne il peso e il dolore – è, di conseguenza, oltre che un atto di pensiero, un fondamentale momento d’amore.
In effetti, è proprio quello dell’amore per il mondo il sentimento predominante nella raccolta di Valesio che si presenta con i caratteri esemplari, illustrati in maniera lampante e precisa, mai eccessivi o stucchevoli, di una autentica poesia religiosa (oltre che la narrazione di una storia d’amore specifica e particolare che si consuma a Spoleto e che poi diviene, nel corso del tempo, amore spirituale per tutte le creature, sulla scia del Cantico delle Creature di San Francesco).
Certamente, l’ambientazione e i luoghi giovano a questa scelta: Spoleto richiama e ricorda in maniera del tutto naturale la predicazione del Poverello d’Assisi.
Ma la poesia di Valesio si presenta qui con caratteri di valore aggiunto rispetto alla già suggestiva struggenza delle località in cui si svolse la fervente predicazione (con l’esempio e la parola) del grande santo e costruisce la sua storia d’amore e di fede con tocco leggero ma sempre fervido e pieno di pathos. Giustamente Alberto Bertoni, nella sua intensa Prefazione, ricorda :
.
«A realizzare tale finezza d’intreccio (invero rara in un libro di poesia) è il rapporto stretto tra i movimenti dei protagonisti entro il cronotopo di un’estate spoletina intessuta di eventi teatrali e cori sacri; e il ritmo profondo della versificazione, benissimo calibrata e scompaginata. La scrittura di Valesio non cade mai nell’errore, oggi assai diffuso, di una prosa spezzata artificiosamente in versi, ma originariamente nasce in versi (e in versi autenticamente liberi), manifestando da subito la necessità della sua versificazione, prosodicamente calibratissima»[2].
.
E successivamente rileva ulteriormente, approfondendo la sua analisi, che per quanto riguarda  l’opera poetica di Valesio non si può fare a meno di rilevare la particolarità della sua proposta linguistica e stilistica, la sua apparente “lontananza” dalla produzione della poesia italiana di oggi:
.
«A ciò si deve senz’altro aggiungere la qualità di una sintassi che, pur fortunatamente rifuggendo dalla pratica massicciamente celibe di anastrofi e iperbati d’ermetica memoria, a un orecchio italiano suona altra, pur senza perdere nulla in fluidità e perspicuità, estranea com’è tanto al gravame della tradizione letteraria quanto alla corrività dell’attuale parlato quotidiano: “no, menzogna : / è accaduto perché si è reso conto / (torbido sorride, / a se stesso rivolto, inorridente)”… »[3].
.
La mezzanotte di Spoleto, proprio per questi suoi caratteri originali, si presenta, quindi, come un poemetto polifonico, dove ai personaggi principali si giustappongono e si intersecano altri personaggi, animati e inanimati, fino a comporre una sorta di compiuta sinfonia.
Ne sono rilevante conferma alcuni componimenti centrali nella vicenda poetica narrata da Valesio, come un testo, Salve, caput cruentatum, che si apre con una citazione da Gerolamo Savonarola (Or questa, oir quella corda):
.
«Lei, capa ‘e muorta, cranio d’Irochese / sotto cresta di rigidi capelli / ombra punk ma composta come marmo / schiava cristiana in casta scollatura – / le corde del suo smagro collo, / che emerge da un busto / statuario ma esusto, / si tendono per lauda: / fili di marionette / nel teatro crocefissionale»[4],
.
dove, alla descrizione mortuaria e disarticolata del caput evocato quasi come se fosse espunta dal contesto del suo corpo (evidentemente anch’esso “smagro”) con un’incisiva espressione dialettale napoletana, si innesta la musicalità emersa del dettato verbale a evidenziarne la forza espressiva. O lo splendido testo successivo, Paganìa, dove l’aspro contrappunto del sarcasmo si innesta sulla pietas, tutto sommato, predominante e onnipervasiva a livello umano dell’osservatore:
.
«Oggi dietro le femmine del coro, / dietro le cristiananti americane, / si vede un altro e differente ploro: / i volti di due tragiche estranee. // Una ha la faccia di Elena argiva / sotto il fitto capello ramato; / e la mano che incerta la scolpiva / le ha dato un naso nobile e scorciato. // L’altra ha il viso di adultera assassina / terrea e stanca ed anziana: / devastata da sua propria rapina[5], / riafferma l’aridità pagana – / eredità della tribù d’Atreo – / e strappa il cuore alla parola “reo”»[6].
.
C’è sempre in Valesio l’idea di una poesia come ricerca verbale (e spesso anche sulla sua sostanza fonica) che non rifugge mai, tuttavia, dalla necessità di sottoporla al controllo deciso e preponderante dei sentimenti e delle emozioni provate, delle proprie “passioni private”.
Nelle vicende che si svolgono nella serie susseguentesi dei diversi momenti narrati, il soffio universale dello Spirito non manca mai di farsi sentire e di spingere nei terreni inesplorati e misteriosi che si estendono tra umano e divino, tra l’amore terreno e quello profano.
Il protagonista più significativo dell’opera poetica di Valesio, tuttavia, oltre che i due personaggi umani che sullo sfondo di esso si inseguono, si lasciano e si ritrovano, è la cittadina umbra di Spoleto: luogo di fortissima tensione spirituale ed espressione di valori artistici antichi e non comuni. In esso, la storia che vi si svolge trova la propria dimensione ideale:
.
«Discesero poi cauti una scaletta / di legno lungo il muro di sinistra / coi resti di un affresco – picchiettato / (come gli altri in quella / conchiglia di chiesa) / da tante piccole chiazze / di lebbra bianca – / in cui si mostra / il santo vescovo Tommaso Beckett / e la sua morte. / Le sue mani risultano guantate inanellate / sottili mani gotiche estenuate / con dita affusolate / ed elegantemente ripiegate : / la destra blocca la benedizione / in un gesto computatorio / e la sinistra regge / in tenue dandy-equilibrio[7], / come stelo di un calice o gambo / di un fiore, la pastorale verga. / I suoi assassini sono avvolti / da capo a piedi in corazze / (anche i visi, barrati; / solo emergono occhi di gatto) / e quello più avanzato / leva la spada larga / ma più che a testa o a petto / la lama s’accosta alle mani, / e sembra che, insidiosa e invidiosa, / stia mirando a recidergli le dita»[8].
.
Nel racconto accorato e dal respiro fortemente simbolico del martirio del santo Thomas Becket, il rapporto tra rappresentazione poetica e forza espressiva dell’evento descritto individua una delle sue rastremature più intese e si trasforma in accettazione plastica del Sacro come sostanza della vita di ognuno, con le sue contraddizioni e le sue difficoltà, le sue angosce e il suo destino.
La poesia di Valesio si manifesta così come un tentativo di notevole spessore di scrittura e, contemporaneamente, di proposta esistenziale: vivere la verità dello spirito e, nello stesso tempo, trasformarla in lievito capace di dare forza e sostanza ad ogni esistenza quotidiana.
.

NOTE
[1] P. VALESIO, La mezzanotte di Spoleto, prefazione di Alberto Bertoni, Rimini, Raffaelli Editore, 2013,  p. 72.
[2] A. BERTONI, Prefazione a P. VALESIO, La mezzanotte di Spoleto cit. , p. 6.
[3] A. BERTONI, Prefazione a P. VALESIO, La mezzanotte di Spoleto cit. , p. 7.
[4] P. VALESIO, La mezzanotte di Spoleto cit. , p. 42.
[5] Mi sembra qui evidente (e conseguentemente di forte potenza espressiva) l’eco dantesca della soluzione verbale.
[6] P. VALESIO, La mezzanotte di Spoleto cit., p. 43.
[7] Caratteristica di questa fase della scrittura di Valesio è la creazione frequente di parole composte e costruite secondo la tecnica delle attrazioni (retaggio futurista ma anche volontà creativa a livello lessicale).
[8] P. VALESIO, La mezzanotte di Spoleto cit. , pp. 19-20. L’affresco contenuto nella Chiesa dei SS. Giovanni e Paolo e raffigurante l’”assassinio nella Cattedrale” ed è databile al primo quarto del XIII secolo.

_____________________________

[Leggi tutti gli articoli di Giuseppe Panella pubblicati su Retroguardia 2.0]

_____________________________

I libri degli altri è il titolo di una raccolta di lettere scritte da Italo Calvino tra il 1947 e il 1980 e relative all’editing e alla pubblicazione di quei libri in catalogo presso la casa editrice Einaudi in quegli anni che furono curati da lui stesso. Si tratta di uno scambio epistolare e di un dialogo culturale che lo scrittore intraprese con un numero notevolmente alto di intellettuali e scrittori non solo italiani e che va al di là delle pure vicende editoriali dei loro libri. Per questo motivo, intitolare una nuova rubrica in questo modo non vuole essere un atto di presunzione quanto di umiltà – rappresenta la volontà di individuare e di mettere in evidenza gli aspetti di novità presenti nella narrativa italiana di questi ultimi anni in modo da cercare di comprenderne e di coglierne aspetti e figure trascurate e non sufficientemente considerate dalla critica ufficiale e da quella giornalistica corrente. Si tratta di un compito ambizioso che, però, vale forse la pena di intraprendere proprio in vista della necessità di valutare il futuro di un genere che, se non va “incoraggiato” troppo (per dirla con Alfonso Berardinelli), va sicuramente considerato elemento fondamentale per la fondazione di una nuova cultura letteraria… (G.P)

 

[contact-form][contact-field label=’Nome’ type=’name’ required=’1’/][contact-field label=’E-mail’ type=’email’ required=’1’/][contact-field label=’Sito web’ type=’url’/][contact-field label=’Commentare’ type=’textarea’ required=’1’/]


[/contact-form]

Pubblicato da retroguardia

Docente e critico letterario. Dirige la rivista di critica letteraria "RETROGUARDIA". Si è occupato in particolare della narrativa di Guido Morselli e Gesualdo Bufalino. Altri interessi di ricerca riguardano anche la poesia contemporanea, la teoria della letteratura, il romanzo fantastico e comico, la metrica italiana. Suoi interventi critici sono apparsi in rete (Musicaos.it, Retroguardia, La poesia e lo spirito, ecc) e su alcune riviste di letteratura (Tabula rasa, Narrazioni, ecc). Socio fondatore dell’associazione culturale e membro del comitato di lettura di vibrisselibri, redattore de “La poesia e lo spirito” dal 2007.