I bambini di Louis-Ferdinand Céline. Luisa Crismani, “Hardi petit!”. Attraverso i bambini, Céline

Luisa Crismani, “Hardi petit!”. Attraverso i bambini, Céline, Trieste, Asterios, 2021, pp. 230, € 29,00


di Stefano Lanuzza 

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Così il dottor Destouches (Louis-Ferdinand Céline, 1894-1961) è ricordato dall’amica pittrice Éliane Bonabel: “Non aveva modi arroganti come a volte altri medici. Quando arrivava [in ambulatorio] salutava tutti, era quasi sempre allegro, gioviale, la sua gentilezza e la sua disponibilità verso i bambini sembravano inesauribili” (Ricordi di Clichy, 2002). Sono i bambini su cui Luisa Crismani, pedagogista e letterata, orienta il suo “Hardi petit!”. Attraverso i bambini, Céline (Trieste, Asterios, 2021, pp. 230, € 29,00): non saggio, non biografia, ma diario di un “incontro” e d’un “colloquio” passando dal “Vous Monsieur Céline” all’affettuoso “Tu”, nei toni d’una lunga lettera, si dica pure ‘d’amore’, scritta con mimetica empatia e senza smancerie, stando ai fatti e affidandosi all’immaginazione intesa – è spiegato – “come strumento di conoscenza”.

Muovendo dall’ultimo romanzo, Rigodon (1969), in una sorta di percorso ‘a ritroso’ Crismani ricostruisce e mette in scena l’ancora poco indagata fenomenologia céliniana dell’infanzia: “Avete cosparso i [vostri] romanzi di bambini, li avete lasciati qua e là, sparpagliati, sparsi”. Ma è notando ciò, dietro l’arcigno tratto dello scriba, che le accade di scoprire un animo doloroso e di rara delicatezza: è “un incantamento” – e un viatico per nuove ricerche critiche – che la spinge a scrivere il più sensitivo dei libri intorno a uno scrittore altrimenti liquidato quale bieco antisemita. O, magari, solo qualcuno, non ‘germanoso’ ma un medico che ha curato gratis certi amici ebrei, non ha mai denunciato i partigiani presenti nel 1944 in un appartamento del suo stesso stabile a Montmartre, e che affidava all’ebreo Oscar Rosembly la gestione dei propri diritti editoriali. Uno, Céline, antisemita quanto, all’epoca, schieramenti sia di destra sia di sinistra; e, con il torto, in una Francia complessivamente antisemita e collaborazionista, di credere alla ‘razza’. Nonché incapace di far capire come gli incriminati libelli Bagatelles pour un massacre (1937), L’École des cadavres (1938) o Le beaux draps (1941), che non potevano prevedere i campi di sterminio venturi, altro non volevano essere se non estreme satire quali, nella tradizione francese, sono professate dai Rabelais, Cazotte o Pierre Capelle; fino ai novecenteschi Pierre Deninos e François Cavanna, il polemista satirico della rivista parigina “Charlie Hebdo” decimata il 7 gennaio 2015 da terroristi islamici per avere pubblicato una spiritosa caricatura su Maometto…

Ferdinand, che – scrive Crismani – “voleva fare il medico fin da piccolo, autodidatta perché i genitori non potevano (non volevano) farlo studiare” e avrebbero voluto avviarlo verso più redditizie intraprese commerciali (magari la direzione di un Grande Magazzino), guardava ai bambini abitatori come lui del Passage Choiseul, suoi pestiferi compagni di giochi e birbonate, alla loro inermità innocente e alla loro disperazione senza nome. Quei bambini e altri, un’intera costellazione di stelle che s’accendono e spengono, corrono in Voyage au bout de la nuit (1932), Mort à credit (1936), Guignol’s Band I, II (1944, 1964), Féerie pour un autre fois I, II (1952, 1954), D’un château l’autre (1957), Nord (1960) fino al postumo Rigodon: romanzi o trasposizioni autobiografiche, modelli per congerie di epigoni (Kerouac, Bukowski, il cubano Pedro J. Gutierrez…) e del talentuoso coetaneo di Céline, Henry Miller (1891-1980), che riscriverà il Tropico del Cancro (1934) dopo avere letto quel Voyage dove il protagonista Bardamu rivela la sua solidarietà con l’infanzia: “Se bisogna amare qualcosa, si rischia meno coi bambini”. Per lui, è solo “degli uomini e di loro soltanto che bisogna avere paura, sempre”.

Meglio di molto quelle “bande di monelli per la strada” che in Guignol’s band – considera Crismani – “sono un inno alla spensieratezza e alla gioia”. Come dimenticarli? “Mi ricordo come se fosse ieri” scrive Céline “delle loro astuzie… delle loro farandole birichine […]. Sia ringraziato il loro ricordo! Musetti carini! Folletti al fragile sole! Miseria! Voi vi slancerete sempre per me, delicatamente in vortici, angeli sorridenti al buio dell’età” (Guignol’s band I). Ed è “quando ha finito d’essere bambina, [che] l’umanità vira al funebre” (Nord). Così apparirebbe ovvia l’opinione di Henri Godard, il maggior esegeta céliniano, secondo cui “l’intera opera di Céline è un inno all’infanzia”. Godard che inizia la sua biografia di Céline con una frase dello stesso: “Non ho avuto infanzia” – spesso aggredito e percosso dal padre Auguste, nemico degli ebrei, dei massoni, di Dreyfus e del mondo; cui, esasperato, tra gli strilli della madre Clémence, si ribella colpendolo forsennatamente a sua volta.

Nondimeno, bando alle tristezze, “Hardi petit!” (‘Forza e coraggio, piccolo!’) si sprona il bambino futuro scrittore esortando anche i coetanei da cui si differenzia per la sua profonda sensibilità, ma coi quali si sente comunque fraterno. Lui resterà per sempre quel bambino fatto salvo dalle favole magiche, dalle fantasmagoriche fantasie della Nonna (metafisica N) Céline Guillou, amata più degli insipidi genitori e dalla quale assumerà, ‘al femminile’, il proprio nom de plume. Insieme, grazie alla ‘controscuola’ della Nonna, a un critico distacco dagli aridi e burocratici nozionismi scolastici: quale malazione chiudere i bambini in una scuola, per anni, strapparli ai loro giochi per insegnare loro astruserie, banalità scontate, regole false, reprimerli deprimerli chiuderli sotto una cappa di piombo pesante per tutta la loro esistenza! Non la geometria, i participi, le grammatologie, gli astratti empirismi e tutte le astrusità, mai divertenti, si diano ai bambini, bensì quel che occorre per potenziare la loro innata creatività.  Eccole, tante piccole creature, una dozzina o una quindicina, incontrate e curate dal medico Destouches a Sartrouville dopo la sua fuga da Parigi il 7 giugno del 1944 verso la Danimarca con la moglie Lucette (Lili) e il gatto Bébert che ha preso il nome del bambino presente nel Voyage: il cagionevole Bébert che, malgrado le cure, non fu possibile salvare dalla morte. Stanno come sospesi in un concentrazionario limbo, quegli altri bambini che non possono capire la rovina che li attenta: per lo più handicappati, gracili, “pieni di bolle”, incontinenti, affamati “pétits crétins” (Rigodon); i pietosi, “bavosi, muti, sordi” del manicomio di Baryton, alcuni deformi: viaggiano verso la Svezia col treno della Croce Rossa. La loro accompagnatrice Odile li ha abbandonati – e “bisognava trovar da mangiare per quei bambini!”. Ma poi, sono piuttosto loro che, ad Amburgo, s’infilano tra le macerie della città bombardata trovando da mangiare anche per gli sprovveduti adulti… Oh “quanti sono […] questi superstiti della scarrozzata Breslavia-Amburgo… non sono né paffuti né pimpanti, ma nemmeno tristi… […] Allora bambini! andiamo! […] Hardi petit!”. Céline esorta ai bambini e lo griderà pure “agli animali, ai malati, ai prigionieri, ai poveri disgraziati, le comparse, gli ‘innocenti’” (Crismani). Ora, stipati nel treno ballonzolante che li trasporta, “si svegliano! E subito ciarlano! E poi cantano? E in coro! […] e tre voci, in coro, e intonate! E allegre!… […] sono di Königsberg… […] anche le bambine!… vestiti a strascico!… il carnevale nel vagone!… […] la paura è che si gettino dai finestrini, simili monelli! E come si battono!… si picchiano!… urlano!…” (D’un château l’autre). Dopo tanto tempo – si chiede Céline –, chissà che ne è stato di quei cari derelitti, “magari forse non sbavano più, sentono molto bene, perfettamente rieducati…”.

Ricordando il passaggio da Sartrouville nell’Ȋle-de-France, rammenta in Rigodon una piccola Stéfani: “Che cosa è diventata?”. O che ne è di quell’altra, la ricciuta Toinon di Féerie pour une autre fois II, la ragazzina undicenne o dodicenne uscita salva da sotto un cumulo di mobilia e calcinacci causati dal bombardamento degli alleati a Parigi “nella notte tra il 21 e 22 aprile 1944”. Quella diavoletta si è rivelata un’insidiosa precoce indisponente Lolita che tormenta il proprio cane, salta addosso e palpeggia l’interdetto Destouches medico di famiglia rimasto passivo, alfine minacciando di “dire tutto a papà”? Si capisce, hanno una sessualità misconosciuta e censurata i bambini: il compianto Bébert, il compagno di bottega André al tempo dell’apprendistato di Ferdinand come garzone da Berlope. Oltre all’inquieta Toinon, alla graziosa Cillie, ad Aimée affidata a una zia dal padre, il medico Baryton; all’orfana Ginette assistita da uno zio, all’undicenne Robinson commesso da un calzolaio di lusso; con “les petits Paulo, André, Robert et les autres”, bambini “paria” sfruttati e maltrattati. O la piccola Alice malata, ridente e rantolante, di Mort à crédit; con l’ilare Jonkind, ritardato mentale che il ragazzo Ferdinand frequenta nel Meanwell College inglese dove conosce Nora, la bella moglie del direttore Mr. Merrywin: con la quale, prima di tornarsene a Parigi, ha un furioso scambio sessuale sotto gli occhi di Jonkind e temendo un’irruzione del marito della donna. Qualcosa di simile capita al ragazzino garzone di lattaio insidiato da tale assatanata signora Pepé alla consegna del latte (Guignol’s band I). Spiccano in Mort à crédit “i piccoli del Familistére” gestito dall’ineffabile Courtial des Pereires, felici finché il bizzarro personaggio finisce suicida e loro finiscono in un ospizio; o ancora gli appassiti bambini del Passage Choiseul, figli d’una famiglia di rilegatori, i quali, costretti a stare sempre in casa dalla madre baronessa de Caravals perché in strada avrebbero potuto imparare le parolacce, periscono allorché vengono portati in vacanza: li ha uccisi l’aria aperta. O quando, nel Voyage, il soldato Bardamu/Destouches ingaggiato nella Prima guerra mondiale s’imbatte in una ragazza cui un militare tedesco a cavallo ha ucciso il fratellino con un colpo di lancia: il bambino, che stava giocando per la strada, l’aveva solo guardato, forse con ammirazione.

Si giunge alla Seconda guerra mondiale e a Cissen [Cissé?, piccolo comune francese, ndr] c’è un ricovero di bambini, scarsamente alimentati e che sopravvivono stentatamente, negletti da “falsissimi medici, ciarlatani tartari, sadici estasiati…” (D’un Château l’autre). “Ci vuole latte per l’infanzia!… molto latte!…” [e] attenti a che gli adulti non se lo bevano tutto (Nord). Ride, in Rigodon, il bimbo in fasce dimenticato sul treno e accudito da Lili, mentre, da un’altra parte – segnala Crismani –, vi sono campi d’addestramento della Hitlerjugend “con bambini, anche piccoli, per essere educati all’ideologia nazista e all’uso delle armi, portandoli via alle famiglie”. Céline lo scrive in Nord che “tutti i giornali, intere pagine, decorazione dei marmocchi eroi da Hitler in persona! Croce di ferro di diamanti!… monelli, monelle, baciati dal Cancelliere…”. Gli danno pure il “diploma di ‘Siegfried d’assalto’” alla “‘Gioventù hitleriana’!… mica da ridere!”. E c’è “un certo Picpus nella stazione del metrò a Berlino”: la vedi, quella canaglia, che insulta un gruppo di ragazzini “chiamandoli ‘piccoli rotti in culo’ e ‘checche merdose’, prendendoli a calci e sberle”?! (Crismani). Ci staranno proprio tutti, nel libro dell’autrice, i bambini raccontati da Céline? “Caro Louis, caro Dottor Destouches, mancano ancora bambini. […]. L’elenco che ho fatto ne contiene ancora tanti […]. Non è mica finita”. Lei che non si cura degli effetti di massa li vorrebbe “tutti lì assieme, a tirarsi sberle, a capitombolarsi nel fango, a prenderci in giro (ce lo meritiamo), e grazie a loro, ci sarai anche tu”, caro Céline. Che “Vi abbraccio, con affetto, riconoscenza e grande rispetto. Posso?”.  Né manca di consigli: Céline, l’argotier, leggetelo ‘lentamente’. Poiché lui “non sopporta la lettura veloce, lo scorrere per vedere come va avanti la storia. […] Le parole di Céline vanno guardate una a una, misurata la distanza fra di esse, provati gli effetti del loro suono”. 

Au bout dei suoi giorni, sembra tornare bambino Louis-Ferdinand sensibilmente fenomenologizzato da Serge Perrault – ballerino di mestiere come la moglie dello scrittore, Lucette, morta nel 2019 all’età di 107 anni – andato a visitarlo nella fatiscente villa di Meudon alla periferia di Parigi: “Sul suo volto, tutta l’angoscia del mondo. E il suo sguardo? Uno sguardo di bambino deluso, un’espressione talmente triste, disperata…” (Céline de mes souvenirs, 1992).

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Pubblicato da retroguardia

Docente e critico letterario. Dirige la rivista di critica letteraria "RETROGUARDIA". Si è occupato in particolare della narrativa di Guido Morselli e Gesualdo Bufalino. Altri interessi di ricerca riguardano anche la poesia contemporanea, la teoria della letteratura, il romanzo fantastico e comico, la metrica italiana. Suoi interventi critici sono apparsi in rete (Musicaos.it, Retroguardia, La poesia e lo spirito, ecc) e su alcune riviste di letteratura (Tabula rasa, Narrazioni, ecc). Socio fondatore dell’associazione culturale e membro del comitato di lettura di vibrisselibri, redattore de “La poesia e lo spirito” dal 2007.