Guerra all’Europa

Guerra all’Europa

(Dal III cap. del libro inedito De Ukrajina. Il “piano” del sofo e dello zar)


di Stefano Lanuzza

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EUROPA CONTROEUROPA

Dopo Napoleone Bonaparte desideroso d’unificare l’Europa comprendendovi anche la Russia, c’è Victor Hugo che, il 21 agosto 1849, alla Conferenza Internazionale sulla Pace tenuta a Parigi, preconizzava una nascita degli “Stati Uniti d’Europa” che doveva favorire l’armonia universale: “Verrà un giorno” enunciava “in cui la guerra sembrerà così assurda fra Parigi e Londra, fra Pietroburgo e Berlino, fra Vienna e Torino da sembrare impossibile esattamente come, ai giorni nostri, lo sarebbe una guerra fra Rouen e Amiens, fra Boston e Philadelphia. Verrà un giorno in cui la Francia, tu Russia, tu Italia, tu Inghilterra, tu Germania, voi tutte, nazioni del Continente, senza perdere le vostre qualità distinte e le vostre gloriose individualità, vi stringerete in un’unità superiore e costruirete la fratellanza europea, così come la Normandia, la Bretagna, la Borgogna, la Lorena, l’Alsazia e tutte le nostre province si sono fuse nella Francia. Verrà un giorno in cui non esisteranno più altri campi di battaglia se non i mercati, che si apriranno al commercio, e le menti, che si apriranno alle idee. Verrà un giorno in cui le pallottole e le granate saranno sostituite dal diritto di voto, dal suffragio universale dei popoli, dal tribunale arbitrale di un Senato grande e sovrano che sarà per l’Europa ciò che il Parlamento è per l’Inghilterra, la Dieta per la Germania, l’Assemblea legislativa per la Francia. […] Verrà un giorno in cui vedremo gli Stati Uniti d’Europa”.

È l’ideale Imago Europae, quella dell’eurocentrico Hugo, che se nel tempo aspirerebbe a realizzarsi (con, nel 1979, il primo Parlamento europeo a suffragio universale, il 7 febbraio 1992 con la fondazione dell’Unione Europea e il Trattato di Maastricht; cui segue, dal I gennaio 2002, quella che può dirsi l’‘imposizione’ d’una moneta unica, l’‘euro’, governata dalla Banca centrale europea), è preventivamente ricusata dalla Grande Guerra del 1914-’18 e dalla Seconda del 1939-’45 scatenata dal nazismo parasiatista hitleriano. Hitler trascina nella tragedia l’intera Europa e, progettualmente ‘asiatizzandola’ nell’Est, sembra sabotarne o farne dimenticare l’identità… Come, a causa delle geremiadi sulla ‘morte dei valori europei’, è dimenticato l’europeista-illuminista Altiero Spinelli che, nel Manifesto di Ventotene (1941), scritto durante il confino subìto dal fascismo, proponeva l’abolizione dei nazionalismi causa di tensioni e conflitti – a evocare il Nietzsche di Al di là del bene e del male (1886), che immagina un soggetto europeo “essenzialmente sovranazionale e nomade”. Anche il Nietzsche della Gaia scienza (1882), la ‘scienza lieta’ che gli europei trobadores provenzali del XII secolo identificavano con la poesia libera dalle false credenze o certezze, dalle verità assolute, dai valori istituzionalizzati e dalle illusioni.

Conclusa la Seconda guerra mondiale, Malaparte descrive un’Europa giunta all’estremo e… “marcia” dopo una guerra combattuta “con gli stessi errori e delitti, con lo stesso animo [degli] avversari. […] Fra qualche anno, l’Europa sarà quella di prima: un’Europa piena d’ingiustizia, di miseria, di vergogna” (Mamma marcia, 1959). Riprovata dallo scrittore, l’Europa si presenta agonica prima di nascere: un continente che, preso in mezzo agli Usa democratici e all’Urss dittatoriale, nemmeno si negò, tante volte, di stare dalla parte dello schieramento sovietico equivocato quale patria del socialismo. Mentre gli eterocliti Stati Uniti, emanazioni dell’Europa, non furono troppo amati chissà se per una forma di psicologica avversione verso chi, in genere, si presuma troppo forte o sicuro di sé.

Se c’è un declino del Vecchio Mondo europeo, esso è oggi accentuato dalla mancanza di sicurezza nei confronti della pressione esercitata da una Russia protesa sul Mediterraneo: un’Europa “protetta da un ‘ombrello nucleare’ di cui non paga le spese, come non paga le spese per ‘la mano che regge l’ombrello’ (il presidio americano dislocato in Europa a testimonianza della garanzia)” (Alberto Ronchey, Atlante ideologico, 1973). Tanto che apparirebbe credibile, se l’America cesserà di assumersi altri oneri difensivi nell’area europea d’Occidente, la possibilità di un’espansione nazionalfascista russa a danno d’un europeismo pensato, dopo la Seconda guerra mondiale, anche contro il nazionalismo fascista.

Tra gli altri, rincarano le dosi d’insperanza, euroscetticismo ed eurofobia il filosofo Cioran (“Tutti gli europei sono ormai pronti per scomparire”, Entretiens, 1995) e il romanziere Michel Houellebecq: “Rimarrò fino all’ultimo un figlio dell’Europa, dell’ansia e della vergogna; non ho alcuna speranza da comunicare. Per l’Occidente non nutro odio, tutt’al più un immenso disprezzo” (Piattaforma, 2001). Houellebecq scrive “Occidente” per significare ‘soltanto’ l’Europa le cui tradizioni culturali e storiche non sono sempre da identificare con l’odierna realtà americana.

Non so se il mondo avrà ancora bisogno dell’Europa, delle sue vecchie sapienze, delle sue vecchie arti e delle sue vecchie astuzie” riflette il critico letterario Pietro Citati in L’armonia del mondo (1998). Più drastico è l’esperto di geopolitica Lucio Caracciolo: “L’Europa, al di là dell’idea, non esiste tant’è che, a segnalarne la genericità, scrivo Leuropa senza apostrofo” (“il venerdì di Repubblica”, 30 dicembre 2022)… Nessuno tenendo conto che nasceva dal pensiero di un’Europa irrealizzata e in disarmo l’avvento primonovecentesco delle antiumanistiche-antilluministiche dittature staliniste fasciste naziste. Contro queste, l’europeismo prospettatosi fu elettivamente all’insegna dell’antifascismo.

Persistono un rimorso, una paura o un languido spleen, una contrizione autoaccusatrice, una paranoia depressiva e tanto ‘pensiero debole’ in un contesto europeo disomogeneo e dai labili confini; e c’è chi vorrebbe considerare parte di un’entità geografica, detta Eurasia, l’Europa che con l’Est costituisce, piuttosto – scrive lo storico spagnolo Josep Fontana –, “un’area di comunicazione e interscambio in cui maturò una cultura radicata nel substrato autoctono, ma capace di assimilare e integrare i contributi esterni; una cultura che non era né greca, né romana, ma propriamente europea” (L’Europa allo specchio. Storia di un’identità distorta, 1995). Allorché, secondo il mito, se Zeus trasformatosi in toro bianco rapisce la principessa fenicia Europa lo fa per portarla in un Occidente la cui cultura non è una diramazione dell’Oriente. Disposta tra Est e Ovest per gran parte del Mediterraneo, carica di memoria e con al centro l’Italia cuore dell’Occidente, l’Europa della classicità, del Rinascimento, dell’Illuminismo ritoccato dal Romanticismo, palcoscenico di antico e moderno, l’Europa policentrica-inclusiva che, fatta di pluralità culturali, non vuol essere monolitica o ‘eurocentrata’, impara di continuo a misurarsi con sé stessa e il mondo per non uscire dalla Storia e non farsi sequestrare dalle tirannie.

Senza frontiere dal 1993, confermandosi atlantica, ripudiando la guerra e sostenendo i diritti umani e sociali, oggi l’Europa, pur volontaristicamente unita (anche con la discussa integrazione monetaria e il dominio dei mercati), vive un astratto senso di colpa trascurando i propri fondamenti e cedendo al gusto nocivo dell’autodemonizzazione e dell’autoflagellazione? Non si capisce che sarebbe proprio l’attesa fatalistica della fine, tanto arrendevole impulso mortuario a favorire, specie nell’attuale frangente storico, la finis Europae e la determinata volontà di dominio del neoasiatismo russista e del sanfedismo islamico; o, in America, le intenzioni mosse dall’estrema destra del multimiliardario Trump spregiatore delle nazioni europee postosi alla testa di frange americane parafasciste. E si sa come gli hackeraggi contro Hillary Clinton, candidata democratica nel 2016 alla presidenza degli Stati Uniti, fossero finalizzate, con ingerenze russe per l’elezione del reazionario Trump, a ottenere dallo stesso un appoggio per la prospettata invasione dell’Ucraina.

EUROPA E RUSSIA

Il sette-ottocentesco Nikolaj Karamzin teorizzava l’“europeo russo” e considerava l’attenzione verso l’Europa di Pietro I il Grande un fatto positivo. Con Dostoevskij che, pur immaginando una Russia con un futuro asiatico, non se la figurava avulsa dall’Europa.

La Russia è un ponte tra Europa e Asia” spiegava lo storico otto-novecentesco moscovita Vasilij Ključevskij. “Storicamente, la Russia non è certo Asia, ma geograficamente non è nemmeno Europa. È un Paese in transizione, un mediatore tra due mondi. La cultura l’ha legata indissolubilmente all’Europa; ma la natura le ha impresso caratteristiche e influenze che l’hanno sempre attirata verso l’Asia o che hanno attirato l’Asia verso di essa”. Poi – secondo l’etnografo eurasiatista novecentesco Lev Gumiljov – potrà accadere che “gli eurasiatici russi supereranno l’Europa”… Prima di Gumiljov, lo storico russo primosettecentesco Vasilij Tatishchev crede che la Russia, “per circostanze naturali, può far parte solo dell’Europa”: un’Europa – si citi parzialmente Aleksandra Guzeva (“Russia Beyond”, 18 ottobre 2022) – presente in Russia anche con le grandi opere realizzate da architetti “italiani, francesi, tedeschi, scozzesi e altri stranieri che vivevano e lavoravano in Russia, invitati dagli zar a portare la loro esperienza professionale e a costruire talvolta intere città. Se il Castelvecchio di Verona o il Castello Sforzesco di Milano vi ricordano molto il Cremlino di Mosca, non vi sbagliate! Sono stati tutti costruiti nel XV secolo e tutti da architetti italiani di un’unica scuola. Il Gran Principe russo Ivan il Grande (Ivan III di Russia) invitò gli architetti italiani a ricostruire il Cremlino: Pietro Antonio Solari, Aloisio da Carcano […] lavorarono a Mosca nel XV secolo. Aristotele Fioravanti, nato a Bologna nel 1415, era un ingegnere e fondò a Mosca un opificio per la produzione di mattoni e una fabbrica di cannoni. Ma la sua opera più importante fu la costruzione della Cattedrale della Dormizione (Uspénskij Sobór; a volte tradotta in italiano come ‘dell’Assunzione’) nel Cremlino di Mosca. La Fortezza di Pietro e Paolo a San Pietroburgo fu il primo edificio costruito nella Pietroburgo appena fondata. Poiché Pietro il Grande intendeva costruire una ‘città molto europea’, invitò architetti stranieri. La fortezza e la cattedrale furono costruite su progetto di Domenico Trezzini, un architetto di Astano formatosi a Roma. Pochi edifici dell’architetto francese Jean-Baptiste Alexandre Le Blond sono rimasti fino ad oggi: tuttavia, egli ebbe un ruolo centrale nella nascita di San Pietroburgo, di cui fu nominato ‘architetto generale’ nel 1716. Invitato all’inizio del XVIII secolo da Pietro il Grande, preparò il progetto urbanistico e compilò una ‘guida allo stile’ da seguire in tutte le costruzioni della città. Le Blond progettò anche la residenza di Peterhof con cui Pietro intendeva superare Versailles. Il primo palazzo di Peterhof fu costruito da Le Blond, ma fu poi rifatto dall’italiano Francesco Bartolomeo Rastrelli. Nel XVIII secolo, Rastrelli (figlio dello scultore e architetto di origini fiorentine Carlo Bartolomeo) costruì diversi palazzi e cattedrali in tutto l’Impero Russo. Uno dei più importanti era la residenza ufficiale degli imperatori russi, il Palazzo d’Inverno nel centro di Pietroburgo, che oggi ospita il Museo dell’Ermitage. L’Istituto Smolnyj di San Pietroburgo, esempio di architettura classica ‘palladiana’, fu costruito all’inizio del XIX secolo dall’italiano (cittadino della Repubblica di Venezia) Giacomo Quarenghi. Questo edificio è famoso soprattutto per aver ospitato il primo Istituto femminile della Russia e poi il quartier generale dei bolscevichi. Lo Smolnyj è oggi una sede dell’amministrazione cittadina. L’architetto francese Auguste de Montferrand vinse il concorso per diventare architetto capo del progetto avviato dall’imperatore Alessandro I nel 1818. L’intera vita del francese fu dedicata alla cattedrale. La costruzione durò quasi quarant’anni. Non lontano da Tsarskoe Selo e da San Pietroburgo si trova un’altra splendida residenza degli imperatori russi, Pavlovsk, costruita alla fine del XVIII secolo per l’erede al trono e futuro imperatore Paolo I. Fu progettata in stile neoclassico dall’architetto scozzese Charles Cameron, famoso anche per aver costruito la Galleria di Cameron a Tsarskoe Selo, che porta il suo nome (e, in generale, per aver ridisegnato Tsarskoe Selo in stile classico, perché Caterina la Grande non amava l’eccesso decorativo del barocco). Uno dei palazzi più insoliti della Russia fu costruito nel 1828-‘48 per il principe Mikhail Vorontsov, governatore generale delle province meridionali dell’Impero Russo, compresa la Crimea. Per la costruzione di questo palazzo in stile neogotico, Vorontsov invitò l’architetto inglese Edward Blore”.

TEMPI

Brutti tempi per chi crede nell’Unione europea. […] Ma davvero l’idea dell’Europa non riesce ad attrarre gli europei?” interrogava Umberto Eco in un articolo su “L’Espresso” (14 febbraio 2013). Ciò che ancora manca è una profonda ‘volontà europeista’: gestita primariamente da rigide strutture economiche e dalla politica, l’Europa unita ha incontrato un relativo consenso delle masse, e senza grandi slanci di solidarietà o risoluzioni identitarie.

Gli europei non hanno politiche davvero unitarie né appaiono particolarmente aperti all’Est: invece – secondo la giornalista e politologa Barbara Spinelli – “l’Europa deve avere una sua politica estera verso il mondo, verso il Medio Oriente, verso la Russia. Se ci dobbiamo dividere su chi è più o meno amico degli Stati Uniti ne verranno fuori solo delle belle discussioni tra editorialisti, ma l’Europa politica non si farà mai” (in I Dialoghi di Europa, 2005)… Muove dal libro di Milan Kundera Un Occidente prigioniero (2021) – includente gli scritti La letteratura e le piccole nazioni (1967) e Un occidente prigioniero o la tragedia dell’Europa centrale (1983) – una riflessione sulle “piccole nazioni” centroeuropee che pur appartenendosi all’Europa, ma stando strette tra l’Ovest e l’Est, sono inseguite dalle storiche aspirazioni imperialistiche degli antioccidentali governi della Russia… Ma questa, per Cecoslovacchia Ungheria Polonia e le altre nazioni centrali, patrie di poeti e scrittori, rimane un lontano blocco geopolitico che col suo coltivato sentimento di estraneità finisce per opprimere la propria stessa cultura, da secoli sotto il controllo d’un potere sempre lo stesso, e a costringere nel ‘sottosuolo’ tanti artisti. Una colpa dell’Europa è di essere rimasta a lungo indifferente dinanzi a quei suoi Paesi ritenuti ‘minori’ e perciò abbandonati all’insistente ‘custodia’ dell’Est e, adesso, alle attenzioni d’un avido neozar.

A una domanda dello scrittore olandese Cees Nooteboom – “Dov’è rimasta l’Europa? Dov’è sparita? Chi se l’è portata via?” (Come si diventa europei?, 1994) – risponderebbe, in Europa. Temi e variazioni (2000), lo spagnolo José A. Jáuregui che non tralascia la tradizione occidentale chiamandone a raccolta i fondamenti, il patrimonio di cultura e i soggetti europei: “È nostro dovere conoscere, conservare e salvaguardare la nostra cultura, e fare quanto è in nostro potere per permettere a Platone di continuare a dialogare, a Mozart di comporre, a Cervantes di scrivere, a Michelangelo di dipingere e ad Antonio Stradivari di costruire gli ‘Stradivari’”. Al rafforzato cospetto d’un Dante la cui Divina Commedia, così come l’intero edificio culturale europeo, “è una sintesi e sinergia di figure e temi grecolatini, ebraici ed eurocristiani”.

Non si esaurisce la Storia dell’Europa continentale-infraoccidentale, che non è una ed è fatta di tante storie che periodicamente – rinnovando nascite implicanti perenni tensioni verso una cultura non ristretta nelle consuetudini ma sempre rinnovata, interdisciplinare, intercomunicativa e senza campi chiusi – ricominciano da dove si erano interrotte, mantenendo l’eredità di quanto è stato… Poiché non esiste una ‘fine della Storia’, né si abolisce il sapere storico.

Dopo antiche divisioni e frammentazioni ancora da comporre, dopo le guerre del Primonovecento, l’Europa odierna degli Stati democratici non più colonialisti e tendenzialmente neutralisti non è da delegare agli euroburocrati, alle lobby delle armi, ai potenti tecnocrati che guadagnano mille volte lo stipendio d’un lavoratore. L’Europa non l’inventano l’accumulazione capitalistica, l’edonismo consumistico, le greppie dei parlamenti, i pleonastici convegni e le conferenze diplomatiche con il loro efficientismo di facciata, le banche o la ‘moneta unica’, ma la crea il suo largo spazio culturale: dal logos greco al medioevo di Dante che convoca i prodromi culturali europei estesi anche al mondo arabo. Fino all’Illuminismo di Voltaire aspirante a un’Europa senza guerre. Con l’inclusività laica (considerando che l’idea europea non ha radici cristiane, ma precede il Cristianesimo), l’affermazione del diritto naturale dei liberi cittadini, la parità sociale – e il rigetto dei poteri assoluti, del razzismo, del nazionalismo causa di conflitti, della rincorsa al profitto illegale, della strumentalizzazione delle arti, del miserevole localismo, delle gerenze profittatrici.

TERRA DEL TRAMONTO

Come per Nietzsche che in L’origine della tragedia (1872, 1886) rifletteva sulla malferma tenuta europea e sulla necessità d’un palingenetico tramonto, per Massimo Cacciari “l’Europa è la terra dove è necessario il tramonto. La filosofia di questa terra asseconda perciò il tramonto: decide per il tramonto del già-stato perché altro avvenga” (Geofilosofia dell’Europa, 1994). Un tramonto che si vorrebbe forzato da una guerra se “ora, molto, troppo vicini alla tragedia che fino a ieri ci sembrava inconcepibile, comprendiamo quanto potrebbe costare a tutto il nostro genere l’assenza di questa Europa, che enorme peccato si è commesso nel saperla necessaria e nel non aver saputo realizzarla” (M. Cacciari, “L’Espresso”, 16 ottobre 2022). “La sua dimensione orientale” compendia Cacciari in un’Avvertezza del 2002 alla nuova edizione di Geofilosofia dell’Europa “viene trattata come area del suo ‘allargamento’, come se l’Europa già fosse anche senza Varsavia e Budapest, Praga, Zagabria, Belgrado (e Mosca?)”. L’irrequieta e insicura Mosca che supponendosi, per inverosimile vittimismo, minacciata dall’Occidente cerca ulteriori spazi per uno sconfinato Mondo Russo (Russkiy Mir).

La possibilità del tramonto” contempla il filosofo Emanuale Severino “presuppone la possibilità del tramonto del ‘principio di realtà’ dell’Occidente” (La bilancia. Pensieri sul nostro tempo, 1992).

Senza dover pensare a un’Europa che fu in palingenetica attesa d’un chimerico ‘sol dell’avvenire’ e tuttavia immobilista o ‘contro sé stessa’ per l’heideggeriano sentimento della fine da cui “solo un dio potrà salvarci”, è più ottimista Jáuregui che, senza essere un miope sdrammatizzatore, non ammette la resa incondizionata e la sfiducia verso un’Europa in faticoso rinnovamento. Un’Europa figlia della dimensione atlantica – che è ‘politica’ e rifiuta le alternative alla democrazia – e in special modo del Mediterraneo culturale greco-latino sostanziante l’Occidente talassico: proteso, per spontanea assimilazione, tra speranze unificanti, sul mondo intero non necessariamente o per sempre filoamericano e comunque altro dall’Asia estranea al mare. Con una Russia che da Pietro il Grande in poi s’apre o si occidentalizza nella grandi città (Mosca Pietroburgo Vladivostok…), ma isolando le sue più lontane regioni per chiuderle nel multietnico orbe asiatico soggiogato dalla dittatura… Invece – sostiene il sociologo Gian Paolo Prandstraller – “La civiltà occidentale moderna è invero essenzialmente atlantica: lo è da quando l’Occidente europeo ha spinto la sua azione e la sua cultura al di là dell’oceano. […] Il polo europeo dell’Occidente è oggi minacciato in modo più diretto e multiforme di quanto lo fosse negli anni ’50, ed è quindi cresciuta la possibilità che il sistema occidentale sia investito qui da attacchi pericolosi” (Riflessione sulla decadenza dell’Occidente, 1981).

Mentre “in Asia il mare non ha importanza: anzi, i popoli hanno chiuso le porte al mare. In Europa, invece, quel che conta è proprio il rapporto col mare: questa è una differenza costante. Lo Stato europeo può essere veramente Stato europeo solo quando è sul mare. Nella vita sul mare è implicita quella specialissima tendenza all’esterno, che manca alla vita asiatica: il procedere della vita oltre sé medesima” (Lezioni sulla filosofia della storia, 1837) rilevava Hegel fenomenologo dei mutamenti della propria epoca, talora utilizzato dalle speculazioni del sofo Aleksandr Dugin instillate nei cascami d’una subcultura nazifascista.

Sono secoli che […] la peste asiatica arriva alle porte dell’Europa e là si ferma” scrive Alberto Savinio, non un geopolitico ma un letterato e artista italiano novecentesco, avverso ai ‘credo’ unici. “Se il nazismo, formazione di natura asiatica sorta come un tumore nel cuore dell’Europa, non fosse stato distrutto […,] la peste asiatica, dopo secoli di no entrance, avrebbe ricominciato a correre l’Europa dall’Ellesponto alle Colonne d’Ercole” (Nuova enciclopedia, 1977). Ma ora, non è forse il vecchio asiatismo espansionistico in veste stalinista-neonazista col suo mai sopito, ossessivo messianismo ad armarsi e affacciarsi dall’Ucraina sul mondo europeo con accenti bellicosi risonanti di armi nucleari? “Putin” dice il giornalista e scrittore russo Aleksandr Archangel’skij, malvisto dal dittatore per avergli contestato il prolungamento dei mandati come presidente della Russia, “voleva distruggere l’attuale ordine esistente, l’Occidente nato da Yalta, che ha smesso di piacergli. Nella sua testa, quindi, non è una guerra di annessione di territori, non è una guerra contro l’Ucraina ma è qualcosa di altro” (“arkanews”, 24 agosto 2022).

Vagheggiano d’annullare le difese europee, Putin e i suoi gerarchi, così come gli avi zaristi pensavano di stanziarsi su conquistate spiagge mediterranee. Aspira al Mediterraneo, il nuovo sempre vecchio imperialismo russo, e vuole l’Europa: come vorrebbe anche le Isole Curili dell’arcipelago nordorientale, con l’isola giapponese di Hokkaidō e la penisola russa della Kamčatka, i cui abitanti chiedono la cittadinanza giapponese per sfuggire alla strategia egemonica russa… Che sulle intenzioni aggressive del Cremlino non si possa dubitare lo rivela un suo intento, nel 2021, d’attaccare il Giappone. La notizia della ventilata aggressione giunge dal russo Vladimir Osechkin, attivista per i diritti umani residente in Francia e in contatto con un agente del Servizio Federale di Sicurezza russo (“Wired”, 25 novembre 2022).

L’Europa fa bene” scrive il filosofo Edgar Morin “a sostenere la resistenza ucraina, a sostenerla finanziaramente e anche militarmente. Ma dovrebbe impegnarsi al tempo stesso in un’azione mediatrice” (“Corriere della sera”, 14 agosto 2022). Nondimeno, in Putin, macabro impresario d’un massacro in Ucraina che oblitera la differenza tra la vita e la morte, prevalgono le remote ostilità di una Russia che, invece, dal Primonovecento si legava vitalisticamente all’Europa condividendone persino l’inedita cultura d’avanguardia nata, tra Francia e Italia, con il Futurismo che – scrive Angelo Maria Ripellino –, “dopo l’epopea d’Ottobre, […] fu favorito dal regime e quasi assunto a tendenza ufficiale […]. La cultura russa in quegli anni si struggeva dall’ansia di tener dietro alle nuove tendenze dell’arte europea. […] In quei giorni futurismo e rivoluzione sembravano immedesimarsi, la novità delle forme coincideva col rinnovamento politico. […] la giovane pittura francese era quasi più nota a Mosca che a Parigi” (Majakovskij e il teatro russo d’avanguardia, 1959). Con, ancora prima, Lev Tolstoj che in Guerra e pace (1867) intercalava diffusamente espressioni e parole dell’europeistica lingua francese; o col poeta Alexandre Blok che nel 1913 lanciava i versi: “Sopra la steppa deserta s’è accesa / per me la stella d’una nuova America!”.

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Pubblicato da retroguardia

Docente e critico letterario. Dirige la rivista di critica letteraria "RETROGUARDIA". Si è occupato in particolare della narrativa di Guido Morselli e Gesualdo Bufalino. Altri interessi di ricerca riguardano anche la poesia contemporanea, la teoria della letteratura, il romanzo fantastico e comico, la metrica italiana. Suoi interventi critici sono apparsi in rete (Musicaos.it, Retroguardia, La poesia e lo spirito, ecc) e su alcune riviste di letteratura (Tabula rasa, Narrazioni, ecc). Socio fondatore dell’associazione culturale e membro del comitato di lettura di vibrisselibri, redattore de “La poesia e lo spirito” dal 2007.