Filosofico satirico. Carlo Lapucci, “Detti preclari e fatti esemplari di Rotorio Barbafiera filosofo della mutua”

Carlo Lapucci, Detti preclari e fatti esemplari di Rotorio Barbafiera filosofo della mutua, Firenze, Le Samàre Editrice, 2021, pp. 136

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di Stefano Lanuzza 

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Ogni tanto faccio una capatina dall’altra parte della realtà delle cose (Rotorio Barbafiera)

Poeta, narratore, saggista, preclaro studioso di linguistica e tradizioni popolari, Carlo Lapucci ha sempre incluso nel proprio lavoro letterario all’insegna dell’interdisciplinarità un riposante côté comico che, coniugando umorismo e burla, caricatura e nonsense, motto di spirito, contraddizione della norma, l’assurdo e l’arguzia barzellettistica, fonda un sistema di paradossali sintesi filosofiche. È il caso del suo ultimo libro, Detti preclari e fatti esemplari di Rotorio Barbafiera filosofo della mutua, Firenze, Le Samàre Editrice, 2021, pp. 136, s.i.p.); dove il protagonista Rotorio s’inventa ‘per illuminazioni’ una giocosa, certo antiaccademica filosofia capace di spaesare, trasvalutare o addirittura ridicolizzare con la freddura sorniona e la franca risata, scrosciante fino al cachinno, tutti gli olimpi costituiti, le fisime, i fanatismi, le illusioni, gli inganni e quanto sia ipotizzato intangibile.

Ecco allora, esplanato per crepitanti pagine, un funambolico filosofo sans papier, svaporato ‘realista magico’ e surrealista che, fenomenologizzando l’instabilità del reale, svolge una suadente critica dei pregressi, seriosi, tristanzuoli luoghi comuni che tanto ci aduggiano, al punto di deprimere la voglia di ridere a una umanità che non ricorda d’essere distinta dalle bestie anche per la capacità di travalutare col riso liberatorio la pesantezza esistenziale… “Chi ha coraggio di ridere è padrone del mondo” scrive Leopardi (Pensieri, 1845). Ridi, perché il mondo è comico; così come “la comicità è un elemento fondamentale del pensiero barbafierano” per il quale comici e ridicoli sono i conformisti, i vanesi, i sussiegosi, gli stessi tiranni che si suppongono seri, i banali Hitler Mussolini Stalin, mere “allucinazioni collettive”.

E “come mai il fascismo, se era così banale, è durato più di vent’anni?” chiede uno studente. “Perché faceva ridere” è la risposta barbafierana. Il disastro accade quando Mussolini opta di passare dal genere comico a quello drammatico, anticamera del tragico.

E “perché la Democrazia Cristiana era durata più del doppio del fascismo”? “Perché faceva ancora più ridere”… Allora non sorprende il buon Rotorio che, quando deve andare al cesso, si scusa dicendo di recarsi “a fondare un partito”.

E quando un altro studente gli domanda “A che serve la vita?”, lui sdrammatizza e pacatamente risponde: “A reggere i calzoni”.

Un eclettico spirito di metamorfosi distingue l’anarcoide Rotorio, “filosofo della strada” che, con Dante, potrebbe dire “Trasmutabile son per tutte guise!”. Sicché, dopotutto – avverte Lapucci –, “non c’è un Rotorio unico. E lui stesso ha contribuito a questa sua immagine caleidoscopica, vivendo in piani diversi, mostrando facce diverse, forse non credendo che dell’uomo esista una vera identità”. Come fa intendere all’impiegato comunale che gli chiede i dati personali per rilasciargli il documento identitario. “Stato civile? – Amante. / Professione? – Contemplatore della natura. / Occhi? – Due. / Capelli? – Non li ho mai contati. / Nato? – Cosa vuole che mi ricordi”.

L’identità? Altro non è se non la pirandelliana “maschera che uno decide d’indossare” nella quotidiana commedia buffo-comica. Insomma, al pari del palazzeschiano “uomo di fumo”, Rotorio vuol restare indefinito “a cominciare dalla sua carta d’identità che rimane sempre virtuale”. Pare tuttavia contraddirsi quando afferma “d’avere un vestito per ogni giorno dell’anno” e poi circola con sempre indosso i medesimi monotoni cenci. Così facendo, magari alluderebbe alla propria più autentica condizione di outsider povero in canna, di singolare filosofo della mutua che è ‘tutto per gli altri e niente per sé stesso’?

Figlio d’un arrotino – il fatto è incerto, seppure appaia vero che il nome Rotorio sia onomatopeico –, da ragazzo gironzola col padre per le strade d’Italia, menando a lungo una vita nomadica. Da adulto, continuando ad andare da una città all’altra, ubiquo e imprendibile, trova spesso accoglienza in ricoveri di fortuna o è generosamente accolto, da “ammiratori o discepoli” ricchi, in ville di lusso sostandovi il meno possibile prima di sparire dopo essersi riposato. Né, per passare la notte, disdegna d’infilarsi sotto mentite spoglie (“fornitore, inserviente, cliente”) negli alberghi e occupare qualche camera rimasta vuota. Allorché, poi, si spinge fino in Sicilia, gli accade, trovandosi di notte dalle parti di Sciacca in una casa davanti al mare, di sentire “russare gli africani”.

Che studi ha fatto? Pare, secondo il suo blando esegeta Novello Ronzapoco, che abbia seguito dei corsi non meglio definiti presso un’apocrifa “università di Pontelungo” e dissertato sull’“ottimismo provvidenziale”. È stato hegeliano e, relativamente ai temi dell’esegesi letteraria, un crociano capace di elaborare “il concetto di poeta maledetto”? Sta di fatto che Croce lo abbia liquidato con la frase “Mi pare che ora si stia esagerando”.

È probabile che di Rotorio esistano degli scritti (è sicuro? Si sono mai visti gli annunciati “I 7 pilastri della demenza”, “Per una rinascita dei vespasiani classici”, “Il libro dei mille matti” ecc…?), epperò resta plausibile la sua filosofica intenzione di non pubblicarli.

Alfine lo diresti un “autodidatta approssimativo”, ma se poi c’è qualcuno che pensa di metterlo in difficoltà, quello lo rintuzza sfoggiando una stupefacente cultura seppure manifestata con squisita discrezione. Se lo vedi assistere in disparte a convegni “conferenze, discussioni, dibattiti”, noti che, apparentemente distratto, mantiene un vago distacco, magari leggendo “un libro che si portava dietro”. E quando sta per andarsene senza avere ancora parlato, sorprendendo il colto e l’inclita è pronto a rilevare “con aria angelica e senza malizia, né malanimo” la castroneria o la bufala volitanti su quegli eruditi consessi. Di conseguenza, finisce per diventare la “bestia nera di esperti, accademici, professori, cultori di discipline varie”: colti dal panico ogni volta che lui si presenta alle loro tavole rotonde. È davvero “una mina vagante”, consimile acqua cheta; ma è accertato che, se lo convocano alla radio o in televisione, gli indici d’ascolto raggiungano picchi inaspettati.

Non vuol darlo a vedere quanto lo infastidiscono i saccenti, i sufficienti, i supponenti: a questi preferisce “i matti, gli strani, i malati di nervi, gli schizofrenici” che sentendosi “compresi ed interpretati” lo ricambiano con venerazione e lo seguono devoti. Allora è ad essi che vorrà dedicare le proprie cure prevedendo anche “corsi di formazione professionale […] per filosofi della mutua” con per mentore lui stesso, perspicace “specialista in ingorghi esistenziali, cosmici e metafisici, allucinazioni politiche, blocchi mentali, maniacali, onirici, angosce dell’oggi e del domani, problemi del senso della vita e dell’immortalità dell’anima”… Riceve di pomeriggio e tutti i giorni, finché un esasperante malvissuto “afflitto da un grave problema filosofico” lo induce a mandare in malora il suo improvvisato ambulatorio dandogli fuoco.

Si sa che anche lui è stato dallo psicanalista, ma ha spiegato allo spazientito strizzacervelli, deluso per non avere incontrato un paziente afflitto da mille traumi, di trovarsi lì solo per conversare comodamente sdraiato sul fatidico e almeno comodo ‘divano’.

Se poi fa qualche contratto per libri da pubblicare, riscuote gli anticipi ma non consegna mai una propria opera. Quanto agli editori, in particolare all’“Editrice Squartabrache” (che, specializzata nella stampa di figurine, cartoline, etichette, pubblica pure dei risibili “Poemi audiovisivi” e progetta di fondare una rivista letteraria dal titolo “Parole al vento”), tiene a consigliare l’edizione di libri debitamente corredati di refusi, errori di stampa, sfondoni e magari qualche castroneria, cose che non guastano “per creare comicità, o per attivare idee originali, che gli scrittori di solito non hanno”. Per il resto, nutre punta simpatia per l’editoria cosiddetta elettronica, per il nefasto “silicio informatico” foriero d’una postplatonica “caverna elettronica” che imprigiona gli uomini e li rinserra nell’ignoranza. Una “Nuova Era della pietra” è quella prospettata dalla mania elettronico-informatica… Ma, a parte Platone, che ci dice di Socrate? Beh, “se sapeva di non sapere, perché parlava tanto?”.

Allergico al denaro, quando ne ha lo spende doviziosamente e a caso, mentre continua a spostarsi, vedere, conoscere, intrattenere relazioni con personaggi la cui onomastica propone una galleria di caratteri marcati a fuoco. Vi sono il famoso pittore Guottuoso, ritrattista mondano, “grande pennellatore” di frutta e verdura che talvolta non si esime dal fare anche quadri giganteschi che non si sa dove mettere; seguono alcuni scribi di drammi… ‘purgativi’ (“drammapurghi”) e l’amico Cannarutto, poeta un po’ dannunziano e, salvognuno, “impegnato”, che, senza sosta, diarroicamente, compone poemi (con incluso il capolavoro “Viscido usignuolo”) e imbarazzanti rime baciate subito messe in musica dal cantautore Manigoldi; il filosofo Vittimo pensatore del “nulla”; il celebre critico Tulippo Contini, filologo del “sentimento”; la signora Acquasparta, già amante di Benedetto Croce, fine dicitrice di sciocchezze; il giovane poeta Evaristo Vagongiari gemebondo autore dell’ermetico-impegnato carme “Il compagno Mallarmé”; il badiale “praticante di poesia” Astianatte Busigatti che sostiene di essere la reincarnazione d’un ippopotamo; il molesto psicanalista Venerati Benandanti che s’impiccia di tutto; un “certo Saviane”, autore del vago romanzo “Ombre di domani”; il poeta Amadigi cantore dell’antro della Maga Siringa; l’onorevole Paralumi e il direttore d’orchestra Pecoriello dell’Ostrega; o il superermetico, protominimalista poeta Ungaretti che, di volta in volta, propone tutta una serie di varianti migliorative della sua gloriosa poesia Soldati : “Si sta come / talvolta / qualcuno / su qualcosa” // “Si sta / come d’estate / le pulci / in culo ai frati” // “Si sta come / patate / in forno col porcello” // “Si sta come / verso Natale / i tacchini / nelle aie dei contadini”. E da ultimo, maliconicamente, “Si sta come / d’estate / al mare / con la moglie”. Lo incalza il contestato Nobel Quasimodo, che declama una redazione provvisoria dei proverbiali versi di “Ed è subito giorno”: “Uno sta tutta la notte / con un torcibudello in andata e ritorno, / ed è subito giorno”.

Finisce inevitabilmente per ammalarsi, l’eccellente Rotorio; e nemmeno può starsene in pace nel suo letto se un malcreato imbrattacarte va a trovarlo per sottoporgli una tragedia dall’impressionante titolo “Il massacro dei sogni”, incentrata su “un interminabile alterco tra Hitler e Padre Pio”. Al che, a Rotorio verrebbe proprio voglia di morire. “Più sento lei e meno mi dispiace morire” sembra esalare.

Morirà in un’imminente, sconosciuta circostanza, dopo essersi allontanato senza fare più ritorno. Dicono sia sepolto nel piccolo cimitero d’uno sperduto paesino di campagna. Sulla sua tomba non mancano mai dei fiori freschi. Coloro che l’hanno conosciuto vorranno ricordarlo sull’evanescente rivista “Parole al vento”; mentre sulla lapide, per espresso volere del de cuius, c’è impressa una sola parola: “AFFITTASI”.

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Pubblicato da retroguardia

Docente e critico letterario. Dirige la rivista di critica letteraria "RETROGUARDIA". Si è occupato in particolare della narrativa di Guido Morselli e Gesualdo Bufalino. Altri interessi di ricerca riguardano anche la poesia contemporanea, la teoria della letteratura, il romanzo fantastico e comico, la metrica italiana. Suoi interventi critici sono apparsi in rete (Musicaos.it, Retroguardia, La poesia e lo spirito, ecc) e su alcune riviste di letteratura (Tabula rasa, Narrazioni, ecc). Socio fondatore dell’associazione culturale e membro del comitato di lettura di vibrisselibri, redattore de “La poesia e lo spirito” dal 2007.