Céline della contraddizione. Marina Alberghini, “Céline e le donne”

Marina Alberghini, Céline e le donne, Edizioni Solfanelli, 2022, Pgg. 192, € 14,00


di Stefano Lanuzza

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Massima studiosa in Italia dell’opera e delle vicende biografiche di Céline, Marina Alberghini – autrice del cospicuo (pp. 1159), pioneristico Louis-Ferdinand Céline, gatto randagio (2009), cui seguono l’incantesimato Céline magico (2016) e Il vizio di essere uomini sul “Céline, medico controcorrente” (2018) – pubblica alla fine del 2022 un avvincente Céline e le donne… Mancava un completamento della fenomenologia d’uno scrittore che come Céline, nato Destouches, spregiudicato libertino aperto a ogni esperienza erotica, soprattutto si professa un esteta del corpo femminile sintetizzato nella complessione fisica e nelle gambe perfette d’una mitizzata Danseuse: “In una gamba di danzatrice il mondo, le sue onde, tutti i suoi ritmi, le sue follie, i suoi sogni” (Bagattelle per un massacro, 1937)… Delle donne l’attraggono la giovinezza e la bellezza coniugata con la salute che anima le gambe perfette, quintessenza femminile, di un’ideale ballerina classica poco più che adolescente.

Due donne marcano la formazione di Louis-Ferdinand bambino, la trepida e possessiva madre Marguerite, umile merlettaia al servizio di ricchi borghesi (“Era una paria mia madre” – Viaggio in fondo alla notte, 1932. Per l’esattezza, au bout si traduca in fondo) e la fantasiosa lieta vivace nonna materna Céline Guillou da cui l’autore assumerà il nom de plume.

La morte della Nonna, a soli 57 anni, segnerà per Céline la fine dell’infanzia” nota la Alberghini. “Ma il compito di quella grande donna era ormai concluso. Gli ha additato la strada di luce, fatta di fantasia, sogno, bellezza, di ciò che lui chiamerà I Fiori dell’Essere [dall’amato Baudelaire dei Fleurs du mal, 1857]. Per sempre. Lui la ringrazierà prendendo il suo nome quando, come artista, entrerà a pieno titolo in quel mondo”.

Sono rare le donne che non sono essenzialmente vacche o sguattere – ma allora si tratta di streghe o di fate…” scrive Céline in una ribalda lettera del settembre 1947 al professore americano Milton Hindus, citata in “Les Cahiers de l’Herne” (n. 5, 1965). Assolutamente concentrato, come i romantici, sul proprio Io e sensibile al ‘femminino’, lo ‘specifico’ della donna trasposto nel proprio animo, Céline inaugura, schierandosi dalla parte delle donne, un personalistico e non sempre equo femminismo. Non esimendosi dal classificarle mentre ne sostiene la superiorità rispetto agli uomini… Egli – spiega Alberghini – rigetta l’idea di “un’eguaglianza tra i sessi che secondo lui abbasserebbe la donna al livello dell’uomo, che egli disprezza profondamente”. Disprezza, ma è pur vero che lo spiantato medico Destouches del popolare dispensario di Clichy nella degradata banlieue parigina in rue d’Alsace s’applichi a curare con sollecita gentilezza e compassione un valetudinario corteo di soggetti denutriti bronchitici sifilitici cardiaci e gastrointestinali, di clochard o di poveri come lui, dai quali, spesso, non trova il coraggio di farsi pagare.

Supremamente Destouches/Céline con l’eponimo Bardamu ammira la donna, ma, borgeggiando la contraddizione, aggiunge che “essa è sciocca ed è per questo che si sottomette all’uomo! È lei che dovrebbe comandare” (Lettres à la N.R.F., 1931-1961). Le donne lo attirano e lo coinvolgono sentimentalmente, ma lui non manca d’affermare con sdegno d’avere eliminato dal proprio vocabolario la parola ‘sentimento’ che infine giudica volgare: “La volgarità comincia, miei signori, nel sentimento, tutta la volgarità, tutta l’oscenità […,] insomma tutto il bidet lirico…”. O l’amore? “Parola infame! Il rancido delle stalle, la parola più intrisa di abiezione che ci sia!… la malefica immondizia! La parola più usata, oscena, vischiosa del dizionario! Con ‘cuore’!” (Bagattelle per un massacro, 1937).

Preso abitualmente in relazioni con più amanti, si è rilevato come lui inizi a spregiare l’amore dopo essere stato abbandonato da Elizabeth, la bella, stregante americana dai gatteschi occhi smeraldini e dai capelli rossi, danzatrice per qualche anno nei balletti russi di Diaghilev prima di essere colta, in piena scena, da un’emottisi che per qualche tempo la costringe in sanatorio.

Elizabeth, ventiquattro anni, e Louis-Ferdinand Destouches, trentaduenne non ancora Céline, s’incontrano nel 1926 a Ginevra e convivono dal 1927 e fino all’imminente uscita del Voyage, quando lei decide di lasciare la loro casa di rue Lepic: vuole tornarsene in America, fuggendo da quell’amante che ormai la trascura e con cui non sa immaginare un futuro. Dopo i trascorsi sessuali che non disdegnavano trasgressive ammucchiate con amici e amiche, lui non è più gioioso e sempre pronto a fare l’amore come agli inizi del loro menage; ma, invecchiato e irriconoscibile –“incartapecorito” lo descriverà ad Alphonse Juilland, autore di un voluminoso (472 pp.) Elizabeth et Louis. Elizabeth Craig parle di Louis-Ferdinand, 1994 –, non fa che scrivere disperatamente, giorno e notte… Fretta e imbarazzo segnano, il 3 giugno 1933, l’addio di Elizabeth che Louis ancora non crede possa essere definitivo.

Nella californiana Los Angeles della sua nascita, la donna sposerà nel 1939 Benjamin Tankel, ricco immobiliarista e specie di gangster: un ebreo che, secondo taluni, sarebbe la causa principale dell’antisemitismo di Céline, in precedenza mai francamente manifestato.

Allorché, con stampata la dedica “A Elizabeth Craig”, giunge in libreria il Voyage, l’opera maggiore di Céline (da lui, tuttavia, non riconosciuta tale), per tentare di ricucire una relazione fallita lo scrittore spedisce alla sua strega o sirena ispiratrice il romanzo scritto durante la loro convivenza e presumibilmente concluso nel 1931. Rifiutato dalla NRF e con una proposta di pubblicazione, ma a spese dell’autore, da parte degli editori Eugène Figuier & Bossard, sarà la Denoël & Steele (di Robert Denoël finanziato dell’ebreo americano Bernard Steele) ad accettare il manoscritto portato in casa editrice dalla stessa Elizabeth convinta d’avere liberato il compagno da quello che lei crede un assillo e un incubo senza nessuna speranza di successo. Quando poi riceve il libro per posta, nemmeno lo apre e se ne libera regalandolo… “Dichiarerà anche virtuosamente” ironizza un’antipatizzante Marina Alberghini “di non aver mai letto il Voyage, che pure le è dedicato, perché pieno di vulgarity… la verginella!”.

Il 12 giugno 1934, un Céline penosamente infatuato parte in nave a va a cercare Elizabeth a Los Angeles; ma, incontrandola, accade che l’amata finga di non conoscerlo. Non rimane ferito abbastanza nel proprio residuale orgoglio se, tornato a Parigi e ripensando agli années folles, comincia a scriverle lettere su lettere (tutte senza risposta) che lei distrugge dopo il matrimonio salvandone solo cinque, magari le più banali, pubblicate nel 1990 in Francia (Lettres à Elizabeth, a cura di A. Juilland)…

Ti amo tanto” scrive Louis alla donna che non lo vuole più. “Se mi lasci sono perduto”, “Ti amo ti amo”, “Amore amore amore”, e “Tesoro”, e “Scoiattolina”. L’Intrattabile vulnerato – è un naufrago, ed è spento il suo antico charme – s’abbandona a svenevoli condiscendenze, patetiche banalità e cazzate: “Non abusare della tua libertà! Non devi fumare o bere piccola mia”, “Potremo metterci insieme i tuoi genitori e io, e comperarti una pelliccia” (!), “Devi trovare qualcosa di eccitante e anch’io, mio Dio! ho voglia di essere eccitato. Fai eccitare il tuo vecchio amico – non necessariamente sesso – giusto dei giochetti che dopo tutto sono molto più divertenti”… Pansessuali “giochetti” di memorante, consolatorio erotismo che, dopo la batosta subìta, Céline intratterrà blandamente con la pianista Lucienne Delforge, la scrittrice Évelyne Pollet, la ballerina danese Karen Marie Jensen, la studentessa tedesca, poi giornalista, Erika Irrgang, un’innominata ebrea austriaca, ginnasta, detta N, il cui nome è Cillie Pam…; et aliae.

Scrive Céline a Cillie rifugiatasi a Vienna nell’aprile del 1933, anno dell’affermazione del nazismo: “Sono felice di saperti al sicuro almeno per il momento ma la follia Hitler (Céline non scrive di Hitler, chissà se per intendere, con “follia Hitler”, quella di tutti i dittatori) finirà per dominare l’Europa per secoli. Monsieur Freud non può farci niente”. Commenta Alberghini: “Lettera illuminante non soltanto perché chiarisce ancora una volta la posizione politica antinazista di Céline, ma anche perché ribadisce la sua visione psicoanalitica del nazismo. Sarebbe bene che certi storici, che si ostinano a considerare fascista e nazista Céline, si documentassero anche su lettere come quella che segue: ‘Mi chiedo se sarai al sicuro a Vienna e se l’Hitlerismo non invaderà anche l’Austria. Che follia scuote ancora il mondo!’”.

Un tour des vaches” chiama la sua costellazione sessuale un Céline ingeneroso e dimentico d’idee femministe. È che – considera la Alberghini – “Céline non ammette il sentimento con le sue amanti e con nessuna donna disponibile. Solo sperimentazioni sessuali. […] disprezza le donne che gli si sono date e sposerà colei che gli resisterà e che è vergine”: ossia la piccola danzatrice Lucette Almansor conosciuta tra il 1935 e il 1936 alla scuola di danza di Madame Alessandri ed entrata “nella vita di Céline quasi di soppiatto, furtivamente. Non ha la spavalda bellezza di Karen, il fascino velenoso di Elizabeth, i grandi occhi viziosi di Cillie Pam, il sorriso passionale di Lucienne Delforge, la pensosità intellettuale e romantica di Évelyn Pollet”. Lucette, detta ‘Lili’, è assai diversa da ogni altra donna frequentata da Céline; che, forse, “nel profondo del suo essere aveva sempre sperato che una donna così esistesse. È ancora vergine, cosa rarissima in quell’ambiente, non è lesbica e pronta a ogni esperienza come Karen ed Elizabeth, non è viziosa come Erika né freddamente sensuale come Cillie, non è nevrotica come Lucienne, e non è neppure una piccola Bovary pruriginosa come Évelyne. Lucette è pura, e non solo fisicamente. È la grazia che si fa amore. Per un uomo solo e per sempre. […] sarà la guida luminosa di Céline durante il suo terribile viaggio verso l’esilio e il carcere. Non parla mai di sé, dei suoi diritti, le sue aspirazioni. […] Sa ascoltare. È come la definirà Céline, la più gentile delle anime amanti. Lucette vincerà su tutte, anche e soprattutto perché è buona”: ha “l’Anima, cioè la Bontà”, e ha un cuore col “potere di commuovere profondamente Céline, di spiazzarlo. ‘I cuori?’ – scriverà infatti in Nord [1960] – infinitamente rari! Dopo cinquecento milioni di anni, i cazzi, gli apparati digerenti non si contano più, ma i cuori?… sulle dita!…’”. Perciò – aggiunge Alberghini – “niente ammucchiate, con Lucette, con lei non c’è nulla da fare”.

Trascorrendo dal dionisiaco all’apollineo evocatore d’armonia, quel sentimentale con difficoltà e che si sposa tre volte (a Londra con la ballerina di cabaret Suzanne Nebout nel 1916, Édit Follet 1919, infine Lucette a Parigi il 23 febbraio 1943, quando Radio Londra lo bolla quale collaborazionista condannato a morte dalla Resistenza francese) non sa dimenticare quell’Elizabeth detta dagli amici “L’Imperatrice”; che Céline, trascorsa la Seconda guerra mondiale, nella citata lettera del 1947 a Hindus menziona e loda con una devozione fin troppo esibita: “Che genio in quella donna! Non sarei mai stato niente senza di lei… Che intelligenza! Che finezza… Che panteismo dolente e birbante al tempo stesso. Che poesia… che mistero… Capiva tutto prima ancora di farne parola…”. Sicché continua a incombere la ‘strega’ Elizabeth sulla ‘fata’ Lucette, per la Alberghini una “creatura lunare dal cuore solare”, una “fata celtica” che, dopo la pratica del balletto classico, si è applicata alla coreografia divenendo una “specialista in danze hindu, giavanesi, spagnole. […] Céline avrà sempre una venerazione per il suo lavoro”.

L’affezione di Céline per Lucette ha l’altro nome del rispetto: “Sono angosciato per la mia povera moglie, che non è colpevole di nulla” scrive al suo avvocato Thorward Mikkelsen dall’esilio di prigioniero in Danimarca. “Lei è totalmente incapace di fare del male, è generosa e onesta. […] Sono pazzo di dolore. Mi sento innocente di tutto. Ma per prima cosa, occupatevi della mia povera moglie” (Lettres de prison à Lucette Dostouches et à Maitre Mikkelsen. 1945-1947, 1998). È stato tratto in arresto il 17 dicembre 1945, rimanendo in carcere a Vestre Fangsel fino al 14 giugno 1947. Malato di scorbuto e pellagra, non cessa di scrivere quantunque l’esistenza gli sia diventata un beau drapune situation critique o un ‘bel pasticcio’… Redatto in detenzione, il suo racconto Casse-pipe uscirà a Parigi nel dicembre 1949.

Dopo una serie di equivoci dovuti alla gelosia tra Karen Jensen e Lucette, trovandosi in attesa di essere condotto in Francia per essere fucilato come traditore della patria (ma, condannato in contumacia nel 1950, avrà concessa l’amnistia il 26 aprile 1951 essendo stato ferito a ottobre del 1914 nella Grande Guerra ottenendo una decorazione il 24 novembre dello stesso anno), scrive a Lucette: “Mia piccola cara piccina. Allora mio dio cos’è la morte? Niente. Ti ritroverò presto nell’infinito e sarò sempre con te. […] Niente da perdere. Tu vivrai invece fino alla fine della tua vita, è necessario. Per difendermi” (Lettre de prison…, cit.). Ciò che Lucette Almansor (Parigi, 20 luglio 1912 – Meudon, 8 novembre 2019), vissuta con Céline per 25 anni, farà in ogni occasione fino alla morte sopraggiunta a 107 anni (!)… Nato a Courbevoie il 27 maggio 1894, Céline l’anticipa di molto, nella casa di Meudon, un sabato alle ore 18 del I luglio 1961 (congestione cerebrale), in contemporanea col suicidio a Ketchum nell’Idaho del più celebre Hemingway.

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Sorta di metacritico romanzo-verità, Céline e le donne mette in scena un Céline paradossalmente votato, nella vita e negli scritti, a contraddire sé stesso: volontario patriota nella Prima guerra e pacifista radicale, moralista e seduttore spregiudicato, asceta senza fumo né alcol e bon vivant, pseudomistico e ateo, vitalista e nichilista, pragmatico ideologo sociale e individualista libertario, insolente verso i poteri e tenero con bambini e animali, cani gatti uccelli abitatori privilegiati della scoscesa casa di Meudon nella periferia di Parigi, affettuoso con ogni donna e cupo odiatore del mondo, antisemita e amico di ebrei (abitualmente, lui scrive la parola Ebrei premettendo la E maiuscola in senso metafisico).

Comunista nell’anima” e rivoluzionario deluso, rivede le proprie convinzioni ideologiche dopo il traumatico viaggio del 1936 nella Russia oppressa dal tiranno Stalin, il cui apparato concentrazionario giudica “farcito superfascista” (Bagattelle): “L’anima, la gioia, in Russia, tutto meccanizzato. […] Perché il bell’ingegnere guadagna 7000 rubli al mese? Parlo di laggiù in Russia, e la donna delle pulizie solo 50? Magia! Magia! […] Tutta la Russia vive al dieci per cento del bilancio normale, tranne la Polizia, la Propaganda, l’Esercito… […] Ma i Soviet cadono nel vizio, loro, negli artifici ballistici. Conoscono troppo bene tutti i trucchi. Si perdono nella propaganda. Cercano di farcire la merda, di servirla al caramello. È questo lo schifo del sistema. […] Un comunismo che fa le grinze!…”. E, quasi profeticamente: “Le guerre, non si saprà più il perché!… Sempre più formidabili! Che non lasceranno tranquillo più nessuno!… che ci creperanno tutti… tutti diventeranno eroi sul campo… e polvere perdipiù!… Si sbarazzerà la terra… Siam mai serviti a niente… Repulisti” (Mea culpa, scritto dal 25 settembre 1936, al ritorno da un viaggio nell’Urss sprofondata nella dittatura, e pubblicato all’inizio del 1937).

In seguito, corrispondendo allo spirito del suo tempo, dopo l’antigiudaismo di derivazione cristiana (bisognerà aspettare la decisione, nel 1958, del papa Giovanni XXIII di togliere dal dettato liturgico la dizione “perfidi giudei”), dell’antisemitismo di Voltaire, dello stesso ebreo Marx (cfr. La questione ebraica, 1843), di Édouard Drumont fondatore nel 1899 della Lega antisemita di Francia, dell’anarchico russo Bakunin o di Thomas Mann, Simone Weil, Virginia Woolf, ecco Céline professarsi contro il potere economico dell’élite ebraico-massonica internazionale. Lo testimoniano, con Bagattelle, i poematici La Scuola dei cadaveri (1938) e I bei pasticci (1941): adottati – scrive Luca Pakarov in “il Tascabile” del 7 gennaio 2019 – dalla “masnada di neofascisti” il cui equivoco interesse per Céline poco avrebbe a che vedere con la letteratura e fa il pari con chi scrive dell’autore del comunisteggiante Voyage tanto per condannarne lo scontato antisemitismo, termine inventato dall’ottocentesco giornalista tedesco di sinistra Wilhelm Marr.

Fra le due guerre primonovecentesche, contemporanei di Céline sono diversi gli scrittori francesi apertamente antisemiti, alcuni di loro collaborazionisti durante l’occupazione nazista della Francia durata dal 1940 al 1944. In entropica e incompletabile profusione, si conterebbero, prima dell’Olocausto, Louis Dasté, Léon Daudet, Charles Maurras, Marcel Jouhandeau, Jacques Doriot, Marcel Déat, Marcel Bucard, Henry de Montherlant, Alphonse de Chateaubriant, Georges Montandon, Drieu La Rochelle, Lucien Rebatet, Robert Brasillach, o il collaboratore della Gestapo Maurice Sachs; compreso François Mitterrand, alto funzionario del regime collaborazionista-antisemita di Vichy e futuro presidente della Repubblica francese per due mandati consecutivi (dal 21 maggio 1981 al 17 maggio 1995)… Certo è che nessuno come Céline ebbe comodamente assegnato il ruolo di capro espiatorio.

Resterebbe da aggiungere che, nei libelli céliniani o “poemi” (definizione di Lucette e della stessa Alberghini) tacciati d’antisemitismo, sarebbero da riconsiderare certi passaggi che smentirebbero la risaputa vulgata. Quali, per esempio: “Me, io, mi sento comunista senza un atomo di dubbio! […] Mi sento comunista in ogni fibra! In tutta la polpa! […] Mica sono un reazionario! neanche tanto così! Neanche un secondo! Niente fascista!” (Bagattelle…); “Il comunismo è una qualità dell’anima. Uno stato d’animo che non si può comprare. […] Il comunismo è innanzi tutto vocazione poetica. Senza poesia, senza fervore altruista ardente, purificante, il comunismo non è che una farsa. […] Il comunismo assennato creperà in questa civiltà senza poeti […]. Il comunismo deve essere follia, prima di tutto, soprattutto, Poesia…” (La Scuola dei cadaveri); “Delle élite così divoranti, dei mangioni, degli accaparranti, non ne abbiamo proprio bisogno. […] Nazionalizzo le Banche, le miniere, le ferrovie, le assicurazioni, l’Industria, i grandi magazzini… […] Se si fa la rivoluzione non è per farla a metà, bisogna che tutti siano contenti, con precauzione, dolcezza, ma con la coscienza delle cose” (I bei pasticci).

Di Céline col suo biografismo romanzato esce il 5 maggio 2022 in Francia l’allucinato Guerre, possibile stralcio grezzo del Voyage o provvisorio abbozzo scritto dopo la stampa del romanzo maggiore: che, per frasi ora scorciate ora lunghe, racconta del giovane brigadiere Ferdinand sopravvissuto il 27 ottobre 1914, durante una notte di pioggia, alla battaglia di Poelkappelle in Belgio (“Mi sono beccato la guerra nella testa. Ce l’ho chiusa nella testa”)… In continuazione con Guerre, sempre nel 2022, in ottobre, è distribuito il romanzo Londres incentrato su un peripatetico soggiorno del protagonista in Inghilterra e, per lo più, nei bassifondi di Leicester Square, a Soho: 500 facciate espunte da oltre mille carte manoscritte con frasi sospese, correzioni e cancellazioni, l’insieme databile 1934. Il libro, incompiuto, romanzo abbandonato, in certo senso un drap (‘pasticcio’, guazzabuglio) è corredato da un glossario dell’argot che, verosimilmente, Céline non avrebbe accettato.

S’aggiungono, a marzo 2023, le edizioni del racconto inedito La Vieille dégoûtant (in “La Nouvelle Revue Française”) e del romanzo in chiave celtica La volonté du Roi Krogold (27 aprile), composto negli anni 1939-’40… Tutto un complesso di inediti scartafacci tralasciati da Céline e reperiti nel 2021, dopo la loro scomparsa nel 1944 dall’appartamento parigino in Rue Girardon 4 a Montmartre.

Accantonato fino agli anni Ottanta, quell’argotier rabelaisiano viene oggi stampato e ristampato da un’editoria che vorrebbe omologarlo e convertirlo in una maschera classica utilizzando puranche i rimasugli delle sue scritture per un innocuo revival di massa: un giubileo che, in ogni caso, è improbabile possa fare del più ‘scomodo’ tra gli scrittori non solo del Novecento un addomesticato notabile della società letteraria. Il più diverso e anomalo degli scribi resta rinserrato nella propria soggettività non meno del Monsieur Teste, ‘doppio’ e alter ego di Valéry come Bardamu di Céline.

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Pubblicato da retroguardia

Docente e critico letterario. Dirige la rivista di critica letteraria "RETROGUARDIA". Si è occupato in particolare della narrativa di Guido Morselli e Gesualdo Bufalino. Altri interessi di ricerca riguardano anche la poesia contemporanea, la teoria della letteratura, il romanzo fantastico e comico, la metrica italiana. Suoi interventi critici sono apparsi in rete (Musicaos.it, Retroguardia, La poesia e lo spirito, ecc) e su alcune riviste di letteratura (Tabula rasa, Narrazioni, ecc). Socio fondatore dell’associazione culturale e membro del comitato di lettura di vibrisselibri, redattore de “La poesia e lo spirito” dal 2007.