Arrigo Frusta, “Ricordi di uno della pellicola” (2022), Paolo Lagazzi, “I volti di Hermes. Magie Inganni Sortilegi Rivelazioni” (2023), Alberto Manguel, “Frammenti d’argilla. Riflessioni sui quattro elementi” (2023)

RECENSIONI COME CITAZIONI (III.1-3). Ritorni nutrienti (terza serie).

Ricordi di uno della pellicola (2022, dicembre), I volti di Hermes. Magie Inganni Sortilegi Rivelazioni (2023, marzo), Frammenti d’argilla. Riflessioni sui quattro elementi (2023, aprile).


di Luciano Curreri (ULIEGE)

1. Arrigo Frusta, Ricordi di uno della pellicola, a cura di Silvio Alovisio, Claudia Gianetto, Albina Malerba, Torino, Centro Studi Piemontesi – Ca dë Studi Piemontèis, 2022 (dicembre), 288 pp., con ill., 20 euro.

«Ma c’è di peggio, c’è il tono dottorale, canzonatorio che prendono certi storici del Muto. I primi passi del Cine, proprio quei primi tentativi, quegli sforzi di volontà, d’ingegno, di fantasia, e tanto entusiasmo, e tanta gioia di riuscire, tutto questo non è per loro che argomento di vilipendio: canzonano autori e ecseneggiatori, scherniscono i fotografi, sbeffeggiano gli artisti, li chiamano branchi di perdigiorni, ecco, e le donne maliarde, o carrucole.

Perché? Perché non pensare che quella brava gente creava dal nulla? E nessuno poteva insegnar loro. E tutto avevano a inventare di sana pianta […] far l’uso a idee mai venute a nessuno, procedure a forza d’espedienti, e ogni giorno superare difficoltà, ogni giorno dare una battaglia, e vincerla» (Arrigo Frusta, Ricordi di uno della pellicola, editi su «Bianco e Nero» in otto puntate tra il 1952 e il 1960, pp. 13-162; citazione da p. 82).

«Per lungo tempo il racconto della storia del nostro cinema muto ha patito un destino infelice […] Già a pochi anni di distanza dalla fine delle attività produttive, infatti, da più parti si piange, complice la rivoluzione del sonoro, la perdita quasi totale del gigantesco patrimonio filmico prodotto dal muto italiano (circa 20.000 titoli) […] È vero, I film sopravvissuti sono pochissimi, ma “giornali, riviste rassegne, opuscoli di quel tempo, ce ne sono fin che si vuole. Basta prendersi la briga di consultarli con un po’ di attenzione, con pacata serenità. E senza pregiudizio”.

Questa esortazione di Frusta per un ricorso alle cosiddette fonti non filmiche era per l’epoca molto innovativa. A proporre questa direzione del metodo storico era già stata, nel 1951, Maria Adriana Prolo, nel suo volume, Storia del cinema muto italiano […] Prolo e Frusta, va aggiunto, convergono anche su un’altra fondamentale innovazione di metodo: riconoscere tra le fonti storiche anche le memorie di coloro che furono testimoni dei fatti studiati» (dall’intervento di Silvio Alovisio, Arrigo Frusta e le memorie del primo cinema italiano, pp. 227-245; citazioni da pp. 232-234, con tagli).

«Certo oggi il politicamente corretto non gli [ad Arrigo Frusta] farebbe passare liscio il “cenciuccio di serva”, e la militanza per la parità di genere lo manderebbe al rogo per il bacio rubato e il discorsetto vischioso su un futuro “con auto e pellicce”. Per sua fortuna il Nostro ha vissuto in “tempi beati”, per lui almeno. E chissà se mai nella sua lunghissima vita [1875-1965] ebbe la tentazione di rifare il percorso sul lago per rivedere, se non la Graziella, almeno la vecchia osteria dei “ghiotti bocconcini”» (dall’intervento di Gianna Chiappello e Claudia Gianetto, Frammenti di un racconto quasi amoroso. Dagli Appunti di Arrigo Frusta a un’ipotesi di parziale ricostruzione della nona puntata, pp. 163-177; citazione da p. 176).

«Nel 1923 [Frusta] sceglie di ritirarsi dal mondo del cinema e di dedicarsi agli studi letterari e filologici. Polemista puntuale, scrittore linguisticamente estroso, alpinista competente e appassionato, fu uno dei testimoni più vivaci della vita artistico-letteraria torinese tra Otto e Novecento, che contribuì ad alimentare di suo soprattutto dalle colonne del “Birichin”, il giornale la cui vita ebbe poi a rievocare nel suo libro scritto in italiano, Tempi beati (1949), mentre in piemontese rievocò uno dei circoli storici di Torino nell’altro libro di memoria, Ij sent ane dël Circol dj’ Artista (1951)» (dall’intervento di Albina Malerba, Caleidoscopio Frusta, pp. 7-11; citazione da p. 9).

2. Paolo Lagazzi, I volti di Hermes. Magie Inganni Sortilegi Rivelazioni, Bergamo, Moretti & Vitali («I volti di Hermes»), 2023 (marzo), 186 pp., con ill., 24 euro.

«Nel 2006 la collana di saggistica “I volti di Hermes”, ideata da me e da Giancarlo Pontiggia per Moretti&Vitali, fu inaugurata con la pubblicazione […] di un manifesto per una nuova idea dell’interpretazione letteraria, un’idea radicalmente opposta a tutte le forme rigide, fibrose, asfittiche, accademiche, ideologiche (soprattutto quando sbandierate come espressioni di una “scienza”) della pratica critica: il manifesto aveva lo stesso titolo della collana […] Dopo quasi vent’anni ho sentito che è giunto il momento di raccogliere in un libro, sempre battezzato dal medesimo titolo e realizzato grazie alla disponibilità dello stesso editore, non solo quel manifesto ma una serie di scritti più o meno direttamente legati alla mia propensione “ermetica”, cioè al mio bisogno di magia, di sogni, di azzardi, di fantasia, d’avventura e di desiderio di cimentarmi in esperimenti critici ispirati allo stile vagabondo, mobile, acrobatico, leggero, capriccioso, curioso del più imprevedibile e inventivio dio greco» (Lucciole, fiamme, specchi, stemmi, bagliori, pp. 9-31; citazione da p. 13).

«Nulla più delle biografie degli scrittori e degli artisti sfugge alla presa delle categorie e delle idee generali […] Qui il filo conduttore non è certo una sfida interpretativa a tutto campo ma una pura passione da collezionista di eventi bizzarri, un gusto [per le] vite d’eccezione captate nei loro volti e risvolti più incongrui, nei loro giorni più ebbri o in quelli più faticosi e amari, consumati in stato d’assedio […] è il sorriso ambiguo di Hermes, custode delle soglie, sovrano di tutti gli inganni, gli errori e le volute di senso, patrono dei ladri e degli avventurieri, che ci sembra ancora di riconoscere al fondo quel vortice vitale da cui, senza fine, nasce ciò che chiamiamo Letteratura» (Hermes e i suoi figli, pp. 79-130; pp. 81-83 con tagli).

«L’aspetto che più mi affascina della leggerezza è la sua natura inclassificabile: ogni autentica forma di leggerezza si sottrae alle bilance, perfino a quelle di precisione. Forse bisognerebbe dire che “leggerezza” è un altro nome per quella realtà numinosa, epifanica – sfuggente come il sorriso degli angeli del Correggio o lo stupore che fascia quelli di Rilke – che non solo Simone Weil ma molti teologi, filosofi e studiosi di pittura, dai greci ai padri della Chiesa, dagli uomini del Rinascimento ai Romantici a Bergson, hanno chiamato “grazia”?» (La leggerezza, l’altrove, pp. 131-170; citazione da p. 135).

«Mentre la critica contemporanea è quasi sempre un lavoro da geometri o da burocrati della precisione – o uno scavo da chirurghi, da disossatori, da detective –, Hermes ci esorta a moltiplicarci, a osare ruoli, percorsi e racconti diversi, a capire che un critico può riconoscersi con gioia, in tanti volti, differenti tra loro come i colori dell’arcobaleno: può essere via via un affabulatore, un conoscitore di grandi storie, di miti, di leggende, di fiabe (al modo d’un Gaston Bachelard o d’un James Hillman)»; […] un artigiano del legno, dell’ebano, della creta, della stoffa o dei gioielli (si pensi alla funzione del tatto nelle ricognizioni testuali d’un Jean-Pierre Richard)» (Saper leggere: a scuola da Hermes, pp. 171-184; citazione da p. 176, con tagli).

3. Alberto Manguel, Frammenti d’argilla. Riflessioni sui quattro elementi, con disegni dell’Autore (e una Nota dell’Editore), Firenze, Olschki («Particelle elementari»), 2023 (aprile), 40 pp., 10 euro.

«La perplessità, condizione in cui viviamo, ci rende disperatamente ansiosi di rintracciare un ordine e una struttura nel caos dell’universo. Topologie, classificazioni, tassonomie linneane, cosmologie, trattati di anatomia comparata, catechismi dottrinali e manuali di auto-aiuto servono a darci l’illusione che un ordine esista, almeno come possibilità […] Sulla sommità del monte Purgatorio come nei cieli del Paradiso, nulla cambia. Ma noi – chiarisce Dante – siamo di questa Terra, creature sublunari, e gli elementi di cui siamo fatti si amalgamano, si consumano, si sgretolano e si dissolvono fino al momento in cui, come il libro della Genesi, promette, faremo ritorno, forse gioiosi e carichi di speranza, a quella manciata di polvere da cui proveniamo» (Introduzione, pp. 7-10; citazioni da p. 7 e 10).

«Le domande che scaturiscono in Dante, mentre segue le sue guide nei tre regni dell’Aldilà, riguardano non soltanto il sentiero che intraprende, ma anche il modo in cui dovrebbe essere intrapreso. Non è sufficiente muovere un passo dopo l’altro: il piede dell’intellectus e il piede dell’affectus devono avanzare all’unisono, e nessuno dei due deve rimanere indietro» (Terra, pp. 11-15; citazione da p. 14).

«Per quanto ne sappiamo, siamo l’unica specie per la quale il mondo è fatto di storie. Sviluppati biologicamente per essere consapevoli della nostra esistenza, trattiamo la nostra identità percepita e l’identità del mondo che ci circonda come se richiedessero una decodifica erudita, come se ogni cosa nell’universo fosse riprodotta in un codice scritto da una Mano Onnisciente, un codice che spetta a noi conoscere e decifrare. Le società umane si basano sull’assunto che siamo capaci di capire il mondo che abitiamo. Leggiamo i cieli, la terra, l’acqua. La Commedia è, in questo senso, un vasto ABC di letture: rocce, stelle, alberi, fiori, voli di uccelli sono letti e tradotti. Nella Commedia non v’è nulla che non sia linguaggio.

Proprio come il linguaggio, anche l’acqua scorre nel nostro sangue, nelle nostre dita, dando vita alla terra e mettendo alla prova l’abilità dell’artigiano» (Acqua, pp. 17-22; citazione da pp. 19-20).

«Il fuoco viene elogiato per la sua duplice qualità di bruciare e di illuminare. Il fuoco che brucia purifica l’acqua e solidifica l’argilla – “immobilizza” la materia. La luce del fuoco dona alla terra e all’acqua una presenza materiale e un nuovo movimento, chiudendo il cerchio e restituendoli all’aria. Secondo gli alchimisti, il fuoco porta in sé le qualità delle cose che illumina […] Il fuoco è la purificazione ultima, e Dante deve attraversare la cortina di fiamme in cima al monte del Purgatorio per entrare nell’Eden. Questo è il fuoco che affina, annunciato da Isaia e da Zaccaria. “Qui può esser tormento ma non morte” (Purg., XXVII, 21), sono le parole rassicuranti di Virgilio, ma Dante terrorizzato non si muove. Soltanto quando Virgilio gli ricorda che gli occhi di Beatrice lo attendono dall’altra parte, Dante entra, come un bambino a cui è stata promessa una dolce ricompensa dopo una temuta prova. Il fuoco del Purgatorio illumina ma non brucia» (Fuoco, pp. 29-33; citazione da p. 31 e 33).

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Pubblicato da retroguardia

Docente e critico letterario. Dirige la rivista di critica letteraria "RETROGUARDIA". Si è occupato in particolare della narrativa di Guido Morselli e Gesualdo Bufalino. Altri interessi di ricerca riguardano anche la poesia contemporanea, la teoria della letteratura, il romanzo fantastico e comico, la metrica italiana. Suoi interventi critici sono apparsi in rete (Musicaos.it, Retroguardia, La poesia e lo spirito, ecc) e su alcune riviste di letteratura (Tabula rasa, Narrazioni, ecc). Socio fondatore dell’associazione culturale e membro del comitato di lettura di vibrisselibri, redattore de “La poesia e lo spirito” dal 2007.