“Uno sguardo sul futuro”: attacco al capitalismo. Augenblick e hybris marxista

di Antonino Contiliano

 Non c’è rivoluzione senza rivoluzione.
Robespierre

La rivoluzione non è un pranzo di gala.

Mao Tse-tung

Salvatore Costantino e Aldo Zanca, Leggere Marx oggi, XL edizioni Sas, Roma, 2010.

Le contraddizioni non sono solo un motore di sviluppo della riproduzione capitalistica e della sua logica, o propria dell’accumulazione e del profitto, sono anche una specie di hybris autoimmunitaria che ne mina continuamente l’assetto. Un’auto-etero-rigenerazione violenta che investe sia il suo stesso modello di riproduzione di sfruttamento che la classe sfruttata e l’intera società civile.

Ogni nuova forma, diversa dalla precedente organizzazione, presentata completa e coerente, tuttavia non elimina le funzionali e strumentali asimmetrie di potere tra capitalisti e lavoratori, tra il sistema socio-politico del weltmarkt e il mondo locale e globale dei lavoratori e/o disoccupati che producono la ricchezza reale. Sembra essere di fronte alla profezia del teorema dell’indecidibilità di Gödel – se un sistema è coerente non è completo – o dell’altro teorema limitativo di Heisemberg sull’impossibilità di determinare (metaforicamente, è chiaro) simultaneamente posizione e velocità dell’andamento del ciclo di produzione, circolazione/scambio e uso dell’intera totalità disarticolata, dove, peraltro, vecchio e nuovo sono costretti a convivere per far funzionare il modello dell’asimmetria di classe. Oggi, per esempio, il sistema economico global-liberista fa convivere fordismo e postfordismo, occupazione e disoccupazione e l’accumulazione “primitiva” viene giocata sull’economia cognitiva, la competizione individualistica più sfrenata e la rendita finanziaria che funziona come una macelleria messicana a danno solo dei lavoratori, dei giovani, dei vecchi, dei disoccupati, dei poveri, dei “dannati” della terra e dell’ambiente.

Lì dove, infatti, i rapporti di produzione in atto e l’organizzazione determinata sono di ostacolo allo sviluppo capitalistico stesso, il sistema distrugge ogni cosa prima ritenuta sacra. Rivoluzione e progresso, e tutti gli apparati che ne derivano, nel modello borghese capitalistico, sono in funzione della sua stessa riproduzione. Nel Manifesto del partito comunista, come nell’Ideologia tedesca – scrivono Marx e Engels –, la borghesia ha avuto nella storia una parte somma­mente rivoluzionaria, ma ciò non le ha impedito ogni volta di distruggere (per rimanere a galla) quanto le fosse di ostacolo, e non le ha fatto ombra il fatto che l’ostacolo fosse della stessa stoffa borghese.

«Il continuo rivoluzionamento della produzione, l’ininterrotto scuotimento di tutte le situazioni sociali, l’incertezza e il movimento eterni contraddistinguono l’epoca dei borghesi da tutte le epoche precedenti. Si dissolvo­no tutti i rapporti stabili e irrigiditi, con il loro seguito di idee e di concetti antichi e venerandi, e tutte le idee e i concetti nuovi invecchiano prima di potersi fissare. Si volatilizza tutto ciò che vi era di corporativo e di stabile, è profanata ogni cosa sacra, e gli uomini sono finalmente costretti a guardare con occhio disincantato la propria posizione e i propri reciproci rapporti» (Marx e Engels, L’ideologia tedesca).

È quanto Salvatore Costantino e Aldo Zanca, nel loro Leggere Marx oggi, attraverso una puntuale lettura diretta dell’opera (finora pubblicata) di Karl Marx, con dovuta perizia e non comune analisi critico-ricompositva fanno emergere del pensiero (non sistematico) del filosofo di Treviri, alias il nome del “fantasma” shakespeariano che oggi si aggira di nuovo per l’Europa come un killer benvoluto e una lente di ingrandimento. Uno spettro a caccia della globalizzazione neoliberista dei collassi finanziari (ultima generazione e post-fordista) e in azione per demistificare l’ideologia della “fine della storia”. Il fantasma dell’analisi chimico-politica che, con la sua genialità di “per la critica dell’economia politica” borghese-capitalistica, smaschera la relativa presunzione di potenza assoluta e risolutrice dei conflitti e dell’antagonismo fino alla vantata dichiarazione ideologica di “fine della storia”.

Una lente di ingrandimento che sbriciola la forma della nuova accumulazione violenta e barbarica del liberismo postfordista, il quale sfrutta l’attività dell’immateriale come forza produttiva, ma sempre all’interno dei rapporti di lavoro ingabbiati entro la “forma valore”. Disoccupazione e povertà – sussunti alla legge del valore astratto e del tempo di vita lasciato alla schizofrenia imperante (misurati ancora dalla legge della compra-ventita della forza lavoro come merce usa-e-getta flessibile, precaria e nessuna garanzia) – egualmente funzionali al cinico sfruttamento del lavoro vivo e cooperativo dei produttori reali, mettono così a nudo i soggetti capitalistici che, forclusa ogni norma di responsabilità, agiscono senza neanche il falso nascondimento del consenso contrattuale. Neanche la beffa della democrazia liberale o della maggioranza rappresentativa, oggi, come ieri, è chiamata a banchetto. Piccoli Napoleoni dell’Impero anticomunardi, e di ogni nazionalità (svuotata dall’interno e lasciata nel suo vuoto guscio parlamentaristico), utilizzano l’apparato democratico formale come tanti piccoli palloncini napoleonicini galleggianti. In Italia (tra i tanti “Sgarbi”), lo “sgarbo” della banda berlusconiana. Non mancano, francesi, inglesi, tedeschi, americani… Sono tanti palloncini dello stesso colore che, leggeri, volano sempre più in alto (tra guerre umanitarie e infinite) per il mercato e il profitto senza limiti. Neppure un pur minimo attrito democratico liberale, né tanto meno repubblicano o socialista.

“Questo ci aiuta a comprendere perché il problema della questione della conoscenza nelle nostre città di oggi, e quindi in definitiva il problema dello sviluppo, postula che le due istituzioni – la democrazia e il mercato – siano poste nella condizione di operare congiuntamente” (S. Zamagni, Prefazione, p. 11), lì dove, invece, con tutte le conseguenze disastrose di oggi, e pagate a prezzo di impoverimento continuo e generalizzato, di guerre colonizzatrici e genocide, nonché di militarizzazione della vita sociale planetaria, la “separazione tra mercato e democrazia che si è andata consumando nel corso dell’ultimo quarto di secolo sull’onda dell’esaltazione di un certo relativismo culturale e di una esasperata mentalità individualistica ha fatto credere – anche studiosi avvertiti – che fosse possibile espandere l’area del mercato senza preoccuparsi di fare i conti con l’intensificazione della democrazia” (S. Zamagni, ibidem).

Uno di questi piccoli palloncini napoleonici, che girano per l’Europa delle merci e della privatizzazione (senza freni), è l’attuale Presidente francese, Nicolas Sarkozy. Il politico della destra francese che non si vergogna di farsi fotografare con il Capitale di Karl Marx tra le mani. Forse spera di trovarvi come meglio fottere, e meglio ancora, i lavoratori, i migranti e i poveri di questo mondo. Un mondo, dai ricchi e potenti, considerato come esclusivo banchetto per pochi sfruttatori e impunibili.

I due studiosi, dalle analisi sul campo alla sistemazione teorica, alla messa in carta (tra appunti, frammenti e stesure di opere complete) delle opere del filosofo materialista di Treviri, e alla loro pubblicazione (anche la postuma, e fino ai tempi più recenti), seguendo passo passo lo svolgimento del pensiero di Marx, danno un spaccato della maturazione dell’autore in contemporanea al maturarsi via via dello stesso svolgersi dell’economia capitalistica e del corrispondente modello di società.

Dal suo nascere al suo evolversi, il pensiero anti idealistico di Marx – Critica della filosofia dl diritto pubblico, Manoscritti economico-filosofici, Le undici tesi su Feuerbach, Il manifesto del partito comunista, L’ideologia tedesca, La sacra famiglia, Introduzione (1857)/Prefazione (1859) a Per la critica dell’economia politica, Grundrisse, Capitale –, nonostante il debito al grande Hegel, è una netta inversione del rapporto tra società civile e stato: la società civile è il “soggetto”; lo stato invece è il “predicato”. “L’errore di fondo del procedere hegeliano sta nell’aver assunto come soggetto lo stato nella sua idealità e non invece nei soggetti reali” (Cap. I, p. 49).

Ciò non significa, dicono Costantino e Zanca, – documentando e argomentando con cura “filologica” e sapienza ricostruttiva, – che Hegel, nel giudizio di Marx, sia considerato reazionario e sostenitore della Restaurazione. Infatti, per superare la deformazione di certi giudizi fuorvianti

«ci si deve mettere dal punto di vista di chi vuole individuare e seguire le tendenze e le linee direttrici lungo le quali si è andata costruendo nel pensiero e nella storia la società moderna. […] Hegel non assume affatto la metafisica tradizionale come metro per la conoscenza dl presente, anzi la sua filosofia si emancipa dalla tradizione nella stessa misura in cui la società moderna borghese si basa su una prassi della libertà che non è più identificabile con quella anteriore alla rivoluzione del 1789. Il concetto di questa ‘nuova libertà’ e la libertà di un tempo storico ben determinato, quello della società borghese capitalistica. Quando Hegel afferma che la Rivoluzione francese ha avuto la sua genesi e il suo inizio nel pensiero, non vuole certo ridurre il significato della rivoluzione a storia ‘intellettuale’, bensì afferma che essa è il risultato della generalizzazione del principio politico della libertà» (Cap. I, p. 48).

È uno spaccato analitico e sintetico, allora, – quello di Salvatore Costantino e Aldo Zanca, – che senza rinunciare alle letture dirette e più recenti – J. Habermas (p. 20), H. Arendt (p. 36), J. Rawls (p. 44), Marshall (p. 78), K. Polanyi (p. 140), etc. –, e rifuggendo dai vari “marxismi” che, tra Ottocento e Novecento, senza risparmiarsi forzatura alcuna, hanno declinato deterministicamente e positivisticamente la teoria marxista, legge ora l’opera di Marx nel suo insieme e come un insieme che continuamente si muove, si affina precisando la linea tendenziale da seguire oltre la camicia di forza delle necessità teologiche della filosofia della storia ipostatizzata.

Quell’insieme che lo stesso Marx aveva eletto come sistema di relazioni dinamiche e metodo del concreto, e per cui la dialettica è stata una sintesi delle molte e differenti determinazioni concrete e storiche.

«Il concreto è concreto perché è sintesi di molte determinazioni ed unità, quindi del molteplice. Per questo esso appare nel pensiero come processo di sintesi, come risultato e non come punto di partenza, benché sia l’effettivo punto di partenza e perciò anche il punto di partenza dell’intuizione e della rappresentazione. […] È per questo che Hegel cade nell’illusione di concepire il reale come il risultato del pensiero automoventesi, del pensiero che abbraccia e approfondisce sé in se stesso, mentre il metodo di salire dall’astratto al concreto è solo il modo in cui il pensiero si appropria il concreto, lo riproduce come un che di spiritualmente concreto. Ma mai e poi mai il processo di formazione del concreto stesso» (Cap. II, p. 64).

Così, dopo una efficace prefazione di Stefano Zamagni, Leggere Marx oggi si articola in quattro (4) capitoli. Si accompagna una nutrita indicazione bibliografica.

Cap. I- I conti con il presente (Valore e limiti del pensiero di Marx).

Cap. II- Diritto, società e stato in Marx (Il giovane Marx ed Hegel, L’economia politica come anatomia della società civile. Forme giuridiche e politiche e stato; La separazione della società civile dal cielo della politica e la “logica specifica delloggetto specifico”, Il metodo e l’oggetto dell’economia politica, Che cos’è e come si studia la società).

Cap. III- La concezione materialistica della storia (La svolta delle Tesi su Feuerbach, Ideologia, politica ed economia, Potere borghese e potere proletario, Struttura e sovrastruttura).

Cap. IV- La teoria dello sviluppo capitalistico (Merce, valore e plusvalore, Lavoro e forza-lavoro, Feticismo e capitalismo, Il salario, La riproduzione del capitale, Valore e prezzo, il metodo del Capitale e il rapporto tra scienze storico-sociali e scienze naturali, La caduta del saggio di profitto, Il macchinismo, Uno sguardo sul futuro).

Viene fuori una hybris erosivo-analitica rivoluzionaria che, invitando alla pratica teorica o a una prassi non speculativa, denuda l’alienazione feticistica dei rapporti sociali sottesi alla produzione delle merci del mercato mondiale capitalistico. È una hybris erosiva che Marx ha portato alla luce con l’analisi scientifico-filosofica “tendenziale” – essa “tiene conto della tendenza di fondo dello sviluppo capitalistico, ma tralascia deliberatamente le numerose controtendenze che ne contrastano l’efficacia e gli effetti. È un’impostazione che apparirà chiara al momento della trattazione del fenomeno della crisi” (Cap. 3, p. 80) – delle “asimmetrie” prodotte e mantenute, dalla borghesia capitalistica moderna, come ordine socio-politico dominante. Asimmetrie che sono le contraddizioni del modello dell’economia capitalistica e, in contemporanea, veicolate culturalmente anche con il pendant di un ordine etico individualistico e di una elaborazione speculativa che impone il valore astratto come misura, appropriazione e valore di circolazione e scambio mercantile Ineguale.

Forza lavoro viva (sola produttrice), valore d’uso e la stessa disoccupazione dilagante, in questo sistema produttivo-sociale capitalistico, sono subordinate al profitto e al plusvalore, e nessuna giustizia sfugge al perseguimento della diseguaglianza tra sfruttatori e sfruttati. Nessuna eguaglianza di potere esiste tra capitalisti e lavoratori, e nessuna politica lavorativa è finalizzata alla piena occupazione. La disoccupazione è l’altro aspetto perverso delle asimmetrie della società del Capitale.

Citando Marshall, Costantino e Zanca, dicono ancora che il diritto alla proprietà “non è un diritto ad avere una proprietà, ma un diritto a venirne in possesso, se ci riesce, e a proteggerla, se la si è conquistata. […] Analogamente, il diritto alla libertà di parola è privo in gran parte di sostanza, se, per mancanza di istruzione, non avete niente che valga la pena di dire, né avere i mezzi per fare sentire le vostre parole” (Cap. 3., p. 79).

«Nel capitalismo i lavoratori non possono sapere quanto del loro tempo di lavoro è necessario per il loro sostentamento e quanto costituisce pluslavoro. Contrariamente a quanto avveniva nel sistema schiavistico e nel sistema feudale, la caratteristica di fondo del capitalismo è che il prelevamento del pluslavoro non appare evidente […] e (corsivo nostro) anche quando il capitalismo realizza pienamente i principi di giustizia, anzi proprio in virtù di ciò, esso rimane un sistema sociale di sfruttamento» (Cap. 3., p. 78).

Certo è che se il comunismo non era, neanche ai tempi di Marx, quello rozzo dell’essenza umana, “astrattamente filosofica […], ma il risultato di un processo storico che realizza gli elementi materiali di una nuova organizzazione, innanzi tutto economica, della società” (Cap. 3, p. 77), a maggior ragione, non lo è neanche oggi. Non solo perché le crisi sono sempre più a breve termine, per non dire a stretto giro di vite o di posta, testimoniando con ciò che il sistema capitalistico è una contraddizione non più sostenibile, ma perché la società della conoscenza ha incorporato il “cervello sociale” – general intellect – nelle forze produttive creando le condizioni storiche per un futuro comunista, così come ha messo un’ipoteca sul tempo di lavoro dei produttori misurato solamente dalla legge del “valore” e dello scambio ineguale. Esiste concretamente una potenzialità événemenziel quanto concretamente possibile di passaggio alla realizzazione processuale della capacità di auto-valorizzazione e di immediata reversibilità sociale del lavoro vivo dei soggetti singoli cooperativi che non va demistificata quale ennesimo utopismo alienante.

È quello che Costantino e Zanca, concludendo la ricerca e la ricostruzione del pensiero di Marx attraverso il diretto percorso intellettuale dello “spettro”, e delle sue fasi, nominano “Uno sguardo sul futuro” analizzando il XIII capitolo del libro I del Capitale:

«Rapportati alle nuove condizioni di produzione e di distribu­zione, il salario, il plusvalore, il lavoro necessario e il pluslavoro, spogliati del «loro specifico carattere capitalistico, non abbiamo più queste forme, ma semplicemente i loro fondamenti, che sono comuni a tutti i modi di produzione sociali» [ivi, I1I, 993-994].Il lavoro individuale è immediatamente lavoro sociale, ciò che lindi­viduo crea e riceve non è più un prodotto particolare e determina­to, ma una certa quota della produzione sociale. Il prodotto non assume più la forma di valore di scambio. Alla divisione del lavoro subentra lorganizzazione del lavoro. Nella società produttrice di merci il carattere sociale della produzione viene posto mediante la trasformazione dei prodotti in valori di scambio. Nel socialismo il carattere sociale della produzione è presupposto e il consumo non è mediato dallo scambio di prodotti di lavori privati e reciprocamente indipendenti, ma dalle stesse condizioni della produzione [Marx 1968-1970, I, 117-1181: “La società ripartisce forza-lavoro e mezzi di produzione nelle diverse branche”» (Cap. 4, p. 154).

E se il lavoro libero individuale è immediatamente sociale e viceversa, il denaro non è più allora l’equivalente generale che misura il tempo di lavoro, ma è la mutua cooperazione organizzata orizzontalmente che regola il tempo di ciascuno e tutti. “Il che significa appunto che il valore di scam­bio è soppresso, pur se il tempo di lavoro rimane la sostanza che crea la ricchezza e la misura del costo della sua produzione” (Ibidem).

Il che significa anche che il comunismo, nella durata dello jetzt-zeit lineare dello sviluppo capitalistico immateriale, finanziario e redditiero, ha trovato l’augenblick/kairòs (l’attimo e l’evento) per immettersi nella storia determinata sfuggendo alla vulgata ideologica di una teoria filosofica e speculativa della storia stessa, e agirvi come “movimento reale che abolisce lo stato di cose presente”. Un insieme dinamico di struttura e sovrastruttura il cui valore di analisi, di proposta e significato, sottolinea John Rawls, non è affatto diminuito o scomparso con il collasso dell’Unione Sovietica e del socialismo reale. Sarebbe un grave errore pensarlo, e almeno per due ragioni: “ La prima è che […] il socialismo della pianificazione centrale […] non fu mai una dottrina plausibile […] lo stesso non si può dire per il socialismo liberale […] L’altra ragione per considerare importante il pensiero di Marx è che il capitalismo del laissez faire ha serie ricadute negative, che dovrebbero essere riconosciute e riformate in modi fondamentali” (Cap. 1, p. 44).

Mao Tse-tung direbbe ancora, crediamo, che le contraddizioni in seno al popolo non vanno affrontate come la contraddizione fondamentale, e che “la rivoluzione non è un pranzo di gala”.

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Pubblicato da retroguardia

Docente e critico letterario. Dirige la rivista di critica letteraria "RETROGUARDIA". Si è occupato in particolare della narrativa di Guido Morselli e Gesualdo Bufalino. Altri interessi di ricerca riguardano anche la poesia contemporanea, la teoria della letteratura, il romanzo fantastico e comico, la metrica italiana. Suoi interventi critici sono apparsi in rete (Musicaos.it, Retroguardia, La poesia e lo spirito, ecc) e su alcune riviste di letteratura (Tabula rasa, Narrazioni, ecc). Socio fondatore dell’associazione culturale e membro del comitato di lettura di vibrisselibri, redattore de “La poesia e lo spirito” dal 2007.