Titti Follieri, “Viaggio d’una provinciale cosmopolita”. Romanzo di formazione

Titti Follieri, Viaggio d’una provinciale cosmopolita, Bari, Les Flâneurs Edizioni, 2023, pp.104, € 13,00


di Stefano Lanuzza

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Poetessa, narratrice e traduttrice dal francese, col suo Viaggio d’una provinciale cosmopolita (Bari, Les Flâneurs Edizioni, pp.104, 2023, € 13,00) dedicato “a tutte le donne che hanno partecipato negli anni Settanta alla nascita del movimento femminista”, Titti Follieri (La voce delle mani, 2003; Piccoli smarrimenti quotidiani, 2009; La solitudine della cattedra, 2013; Tessiture spaziali, 2016; …) sembra legare il proprio biografismo al canone letterario della scrittrice francese Premio Nobel 2022 Annie Ernaux (La Femme gelée, 1981; La Vie extérieure, 2000; Les Années, 2008; Regarde les lumières mon amour, 2014; Mémoire de fille, 2016; …), nata nella piccola provincia normanna di Lillebonne e attiva nel gruppo politico di sinistra La France Insoumise.

Come in una solidale dialettica con la Ernaux, la Follieri fonda sul memorial romanzesco alternante referto autobiografico e mimetica ‘terza persona’ la propria causa di autrice engagée che, presentando la vicenda della “provinciale cosmopolita” Sara Travanti, coniuga i modi d’un emblematico ‘romanzo di formazione’ – quasi un ‘libro della vita’ – coi numerosi viaggi dalla sua provincia originaria al centro toscano dell’Italia, e dall’Europa al mondo.

Perché “la nostra Europa è così piccola, la nostra vecchia Europa” che, più dell’America, costituisce il ‘vero’ Occidente sospeso a un declino, peraltro dubbio, annunciato dagli antieuropeisti-antioccidentali e da una geopolitica oggi segnata dalla prepotenza dell’Est russo totalitario e dall’assolutismo del sanfedismi orientali.

Senza aderire a un’identità precostituita (“A Gerusalemme hanno pensato che fossi israeliana, in Grecia, greca; e in Turchia mi hanno scambiata per una di loro. A Napoli mi specchiavo nei volti delle donne. La mia origine borbonica la conosco. […] perché io sono davvero Dauna, di quella minoranza arrivata a stazionare nel Tavoliere delle Puglie, tra pionieri alla ricerca di un territorio”), Sara è a suo agio ‘deterritorializzandosi’ e indefinitamente viaggiando, inguaribile “straniera” tra scenari mutevoli, rallegrata “esule tra esuli, senza terra né patria, ma nello stesso tempo […] cittadina del mondo”.

Anima inquieta e mite, scevra da nevrotici malumori e desiderosa di conoscenza, configurando una complessiva ‘cosmopoli’ eccola in Francia India Turchia Cappadocia o per un lungo soggiorno di studio a Montreal; o in California, San Francisco, la West Coast affacciata sull’Oceano Pacifico, Los Angeles, l’High Desert, l’Oregon; e ancora, in una dinamica entropia, Tel Aviv, Haifa o New York con Sara incantesimata tra le sale del Museo Guggenheim a contemplare il quadro primonovecentesco di Kandinskij La Montagna azzurra, solitario in una “grande parete bianca”.

Una vitalistica, soavemente affermata “gratitudine alla vita” – dove tutto ‘scorre’ per traiettorie che s’incrociano, e i fallimenti o le delusioni sono stimoli di crescita – traduce un pensiero sospeso quanto disponibile, mai negativo e mai vano, lambito da una tenue malinconia insieme a un salvifico spirito di serietà trasferito in pagine colloquiali e compatte: dove il racconto interagisce con l’analisi interiore a definire il bilancio d’una vicenda personale che inscrive nelle scansioni del Viaggio un ‘sottotesto’ sospeso tra diario e apologo libertario.

Confortano Sara, insieme alla pratica dell’arte marziale cinese Tai Chi compendiante corpo e mente, la sua attitudine alla serenità e la fiducia nella “fratellanza universale” quando evoca ricordi di amori cominciati per la pura gioia e finiti senza recriminazioni. Né tali amicizie amorose furono inficiate dalla complicata relazione con Olivier, ‘autocentrato’ esteta e dandy con pretese d’arbiter elegantiae ispirato allo stilista Yohji Yamamoto.

Narcisistico esasperante tenero e inaffidabile Olivier, infine alienato in un rapporto con un’altra donna, a suo dire problematica, per la quale, sacrificando Sara, s’assegnerebbe un salvifico ruolo.

Con Olivier, Sara ha amato il nomadismo che reiteratamente si ‘disloca’ per sfuggire a confini e restrizioni – “valigie che salgono e scendono dagli armadi, pacchi di cartone aperti, o ancora imballati dall’ultimo trasloco” –, anelando al futuro e affidandosi a un sentimento d’esistere affermativo, generoso, perfino stoico nel resistere agli affanni.

Nello stesso tempo, ha sempre trattenuto nel proprio cuore quel luogo dell’anima che negli anni giovani (anche “anni di piombo” culminati nell’uccisione, 1978, di Aldo Moro da parte di oscure forze terroristiche) fu per un decennio (1973-1983), stanziata in un eterno “presente” come un talismano intangibile, l’adottiva Comune femminista di Piazza Santa Croce a Firenze: “Un’esperienza unica” di accoglienza e solidarietà, accrescimento psicologico-culturale e un senso di ‘rivoluzione permanente’ vissuto non senza ingenuità o con disarmato candore.

Supremamente formative furono le sedute di autocoscienza, la psicanalisi freudiana, Jung e Lacan, le prime tenaci rivendicazioni per l’ampliamento dei diritti civili (divorzio, depenalizzazione dell’aborto), le tante intraprese creative; oltre all’assiduo studio del pensiero delle donne, scrittrici artiste filosofe: “le ribelli o le rivoluzionarie” che, troppo “ignorate dalla cultura degli uomini”, hanno saputo fondare nel tempo un sapere alternativo, postpatriarcale, più democratico e tollerante, autonomo e all’insegna di quella ‘libertà impegnata’ già espressa dall’esistenzialista femminista Simone de Beauvoir: “La libertà non si realizza se non impegnandosi nel mondo” (Per una morale dell’ambiguità, 1947).

Poi, pervenendo a un’esistenziale cognizione di sé, a un rasserenato “bisogno di riflessione e di solitudine”, altri nomi di un’autodeterminazione carica di responsabilità, è accettando il divenire fatale della loro storia che Sara e Olivier, lei aperta al mondo, lui pervicacemente concentrato su sé stesso, infine cancelleranno la possibilità d’un futuro insieme, “liberi di essere soli”.

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Pubblicato da retroguardia

Docente e critico letterario. Dirige la rivista di critica letteraria "RETROGUARDIA". Si è occupato in particolare della narrativa di Guido Morselli e Gesualdo Bufalino. Altri interessi di ricerca riguardano anche la poesia contemporanea, la teoria della letteratura, il romanzo fantastico e comico, la metrica italiana. Suoi interventi critici sono apparsi in rete (Musicaos.it, Retroguardia, La poesia e lo spirito, ecc) e su alcune riviste di letteratura (Tabula rasa, Narrazioni, ecc). Socio fondatore dell’associazione culturale e membro del comitato di lettura di vibrisselibri, redattore de “La poesia e lo spirito” dal 2007.