Stefano Lanuzza, “Senza storia. ‘900 e contemporanei della letteratura italiana”

Stefano Lanuzza, Senza storia. ‘900 e contemporanei della letteratura italiana (Salerno-Milano, Oèdipus, pp. 296, euro 17,50)


di Giovanni Tesio

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Domiciliato in una letteratura del diverso e del difforme, e insieme in una editoria di recuperi ed oblii – coscienza viva di una parte regolarmente respinta o ignorata della nostra letteratura e della letteratura d’altri nella nostra –, Stefano Lanuzza si è ormai creato, libro dopo libro, una sua personalissima biblioteca mentale e morale di grande coerenza interpretativa.

Ha coltivato sentieri interrotti, vicoli sperduti, boschi disetanei, angeli caduti, vagabondi o – per dirla con Viani – “vàgeri” di vita promiscua; ha tracciato quelle “cartografie del negativo” che mappano le diaboliche eccellenze, le scritture della notte, le magie degli irregolari, degli argotier (Céline in primis), di chi sta “contro”, di chi è ribelle, di chi non si rassegna al quieto canonicato dell’accademia.

Del resto l’avviso è esplicito, lì a fare da introibo: “Tenuto conto dell’entropia che distingue il panorama della civiltà letteraria novecentesca, se non sembra possibile ‘una’ Storia della letteratura italiana si possono invece distinguere, in un libero e oggi più che mai necessario discorso di critica militante-comparatistica, tanti singoli Autori, molto spesso ‘dimenticati’, senza necessariamente storicizzarli”. Parrebbe un avviso crociano, se non ne fosse molto più liberamente – e ad un tempo ampiamente – un felice aggiornamento.

Ecco perché questo suo Novecento, già altre volte tentato (ad esempio in ‘900 out, 2017) può ben cominciare con un Capuana d’ombre e magismi, proseguire con un Futurismo proletario, sostare all’“inconfinabile eslege” che si cela nello pseudonimo nomen-omen di Malaparte, e poi tracciare il partecipe profilo di un critico “militante” e solitario come Geno Pampaloni, distante di fatto – “per scelta e per metodo” – dalle coltivazione di orti e orticoli professorali (la sovrana e dialettale “cadrega”), e dunque, pour cause, tanto più sostanziosamente votato all’indagine di profondità e alla necessità del giudizio di valore.

Per non dire degli scrittori più “suoi”, da Leonardo Sciascia (un trittico) a Stefano D’Arrigo (un vero e proprio culto) ad Andrea Camilleri (un affondo tra delitti e dialetti, che appaiono in altri “pretesti”), fino a Gino Raya, un altro magnifico eslege – inventoredel “famismo” – che di certo non è mai stato tra gli accademici più amati, proprio per il suo gusto di rompere le righe, di contraddire gli schemi, di indagare per le vie più traverse e a modo loro geniali gli autori di un’intera civiltà.

Ma poi tantissimi i rimandi a nomi e luoghi che, da residente a Firenze, Stefano Lanuzza reca con sé dall’origine messinese di Villafranca Tirrena, magari congiungendo lo Stretto in una fraternità tra le due sponde che è anche dei dialetti locali (qui, tanto per dire, il nome di un amante del “classico” come il calabrese Pino Caminiti in una ben agguerrita disamina, che vorrei di mio congiungere con quell’altro amante di classicità che fu il catanese, e dunque tirrenico Arcangelo Blandini). Nemmeno manca, l’autore, di dedicare pagine di ammirata stima per le amicizie rare e congeniali, di cui Ferruccio Masini è il più emblematico e ammirato rappresentante.

Impossibile dire la varietà degli interventi qui raccolti, che disegnano una sorta di mappa inconciliabile con gli itinerari più prevedibili e consueti, tesi come sono a delineare ambiti alternativi, dove il buffo, il parodico, l’aforistico, l’erotico fanno le loro apparizioni specifiche, ma più spesso incuneandosi nel vivo del discorso critico.

A volte più diffusi, a volte più brevi, si tratta di testi che non esitano a imbarcare autori stranieri (come Beckett), ma soprattutto autori stranieri ai più e – ancora di più – stranieri a se stessi, sradicati e migranti, transfughi spossessati di tutto, per essere nella loro “alterità” (si veda la lettura che Lanuzza fa di Mabò lo straniero, metapoema di Marino Piazzolla), i nuovi inetti di pirandelliana, strepitosa qualità.

Il fascino di un libro così ricco qual è questo, che l’assenza deliberata di un indice dei nomi costringe a una lettura non parziale, non sta solo nella varietà tuttavia ben orientata dei temi trattati, ma strettamente si congiunge con la grana di una scrittura elegante e soda, che veicola giudizi le più volte espliciti e più spesso maliziosamente o ironicamente sottintesi, ma sempre rispondenti a un percorso intellettuale coerente e indefettibile: una pagina sempre gremita di riferimenti e – spesso – di accostamenti imprevedibili, di certo spiazzanti, ma proprio per questo tanto più fruttuosi. Così, rispondendo a un fervido principio di contaminazione tra i sensi e le arti, il linguaggio critico di Stefano Lanuzza sinestetizza – per così dire – il sapere con cui costringe il lettore a fare conti non scontati, di certo alieni da ogni consumistico black friday critico.

 

Pubblicato da retroguardia

Docente e critico letterario. Dirige la rivista di critica letteraria "RETROGUARDIA". Si è occupato in particolare della narrativa di Guido Morselli e Gesualdo Bufalino. Altri interessi di ricerca riguardano anche la poesia contemporanea, la teoria della letteratura, il romanzo fantastico e comico, la metrica italiana. Suoi interventi critici sono apparsi in rete (Musicaos.it, Retroguardia, La poesia e lo spirito, ecc) e su alcune riviste di letteratura (Tabula rasa, Narrazioni, ecc). Socio fondatore dell’associazione culturale e membro del comitato di lettura di vibrisselibri, redattore de “La poesia e lo spirito” dal 2007.