Scritti di utopia? “In viaggio per l’Europa” (1981-1988) di Mario Rigoni Stern. Saggio di Luciano Curreri

Pubblichiamo in anteprima, su «Retroguardia 3.0», un intervento di Luciano Curreri al Convegno di studi “Il ritorno” di Mario Rigoni Stern (con l’approvazione dell’organizzatrice, Elena Ledda, che ringraziamo).

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di Luciano Curreri* (ULIEGE, TRAVERSES, CIPA)

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Scritti di utopia? “In viaggio per l’Europa” (1981-1988) di Mario Rigoni Stern.

A Elena e Angelo ritrovati,

e a Giuseppe, trovato tout court.

I.

L’idea sottesa a questo intervento è quella di partire da una entrée en matière poco frequentata nella scrittura di Mario Rigoni Stern (1921-2008), e cioè dalle prime ottanta pagine di Il magico “kolobok”e altri scritti (uscito nell’aprile 1989), intitolate In viaggio per l’Europa, e contenenti articoli apparsi su “La Stampa” fra il 26 giugno 1981 e il 29 dicembre 1988: immagino questo ‘viaggio’ come una specie di ‘testo minore’ che ci aiuti a scoprire, scegliere e fors’anche a spiegare un ‘altro’ Rigoni Stern. E quel minimo sindacale di ambizione critica datata, vintage, che alcuni potranno scorgervi, non vuole evadere polemicamente il mondo dell’Altipiano né quello, più vasto, della guerra, ma, ben al contrario, servirsene (senza assolutizzarli, e in altro modo richiamarli).

Si tratta, innanzi tutto, di scoprire cosa comporta l’abbracciare il viaggio e non subirlo – come invece avviene ai tempi della seconda guerra mondiale – e nonostante ci si muova ancora in un’Europa divisa tra il filo spinato dell’Est (per l’invasione russa dell’Afghanistan nel dicembre 1979 e la seconda guerra fredda dei primi anni Ottanta) e quella Repubblica portoghese che invece è estremità occidentale che sonnecchia ancora troppo e fatica a riprendersi dopo la morte di Salazar (1970) e il governo autoritario che ancora, in qualche modo, ne discende e dura fino al 1974 almeno.

In tal senso, il titolo della prima sezione di Il magico “kolobok”e altri scritti, In viaggio per l’Europa, non è così banale ed evoca ‘altri’ attraversamenti e appropriazioni di un insieme di luoghi che è fors’anche l’insieme della terra europea.

Si tratta poi di scoprire come si declina la testimonianza canonica del superstite, del reduce che tra guerra e pace, morte e vita, lande lontane e altipiano, associa vissuto e racconto in modo relativamente nuovo, in seno ad articoli che sono narrativi e saggistici a un tempo e in parte possono anche ricordare quelli – certo più nutriti, più vicini alla tradizione del grande reportage – che Hans Magnus Enzensberger (1929) scrive quasi negli stessi anni (1982-1987) e raccoglie in Ach Europa! (1987, trad. it. 1989), parlando anch’egli del Portogallo in Rovelli portoghesi (1986), da un lato, e della Polonia e di altra Europa dell’est in Casi polacchi (1986) e Garbugli ungheresi (1985), dall’altro. Certo, il Portogallo di Enzensberger è ritratto nell’anno, il 1986, in cui entra nella Comunità europea, insieme alla Spagna, ma è ancora colto, come quello di Rigoni Stern, che lo visita nel 1981, in una sorta di pausa della Storia che ne fa quasi un’“isola” lontana della Geografia europea. In effetti, l’ironia dell’intellettuale tedesco si traduce subito, nel titolo del primo paragrafo del suo reportage portoghese, in una “Robinsonata”. Il 1993 di Maastricht non è lontano ma non è facile pensare al vecchio continente come a un “blocco” più o meno compatto: la Polonia, poi, entra nell’UE solo nel maggio 2004.

Affiora invece qualcosa di simile a quanto pensava già Denis de Rougemont (1906-1985) nel dicembre 1976, in Formule d’une Europe parallèle ou rêverie d’un fédéraliste libertaire, su cui ritorneremo, e cioè un’Europa che è intesa come un insieme di regioni meno costrette dalle maglie sovraniste e totalitarie e quindi, in apparenza, più irregolari; ovvero, dice Rigoni Stern, non uguali ma simili (a) nel confronto potenziale e benvenuto (in cui entra, tante volte e non caso, in In viaggio per l’Europa, l’Altipiano dei sette comuni) e (b) nel potersi prospetticamente dire e dare come federate in maniera meno monolitica e più disordinata e diversa, nonostante l’omogeneità di fondo. Insomma, non un super-stato sovrapposto agli altri stati già esistenti ma regioni naturalmente tese ad accettare attraversamenti e accertamenti di un’uniformità dettata non dal filo spinato ma da una varietà che desidera esporsi, contarsi e confrontarsi, battezzarsi e gemellarsi (senza lasciarsi irretire da un rituale qui ne mène nulle part).

Ecco, si tratta allora e infine di provare a spiegare e a ipotizzare quale comune e comunitaria Europa sogna il Nostro, su quali basi, specie al termine di quel decennio che si concluderà con la caduta del muro di Berlino e che è marcato parecchio, tra fine Settanta e prima metà Ottanta, da un insistito e non disgiunto ritorno di riflessione sull’utopia, specie in certe aree latine, in specie francofone e italofone: possiamo almeno pensare, da un lato, a Bronisław Baczko, Lumières de l’utopie (Payot, Paris 1978, subito tradotto in italiano da Margherita Botto e Dario Gibelli, per Einaudi, Torino 1979) e, dall’altro, e solo per fare un esempio meno celebre ma altamente significativo, a Marco Cerruti, Notizie di utopia (Liviana, Padova 1985).

II.

In 100 anni di Mario Rigoni Stern. Intergenerazionali consegne del testimone tra saggio e racconto, scritto con Alex Bardascino ed edito da Mimesis alla fine del 2021, ho già spiegato, diffusamente, come ho ‘scoperto’ Il magico “kolobok”e altri scritti, in seno alla formula che quel librino a due mani si era dato quasi come comandamento per esperire un certo passaggio del testimone, come in una staffetta (qui, se ne avrò il tempo, ci ritornerò, in breve, alla fine della mia comunicazione).

Nel contesto offerto da questa occasione, infatti, basta ricordare l’incanto che ne ebbi, di quest’‘altro’ Rigoni Stern, cioè di un autore di “articoli di terza pagina” che, nella Premessa (pp. IX-X), tornava comunque a validare un suo pensiero scritto vent’anni prima per quei “ragazzi delle scuole medie” che – ancora alla fine degli anni Ottanta – gli ponevano “domande curiose”, nonostante “i fattori esterni che […] distolgono dal piacere di leggere o di ascoltare” fossero aumentati, grazie ad “altri mezzi o svaghi”1.

La parte più “inedita”, per me, all’epoca e ancora oggi, è sempre la stessa, la prima, intitolata In viaggio per l’Europa: principia con un articolo del 26 giugno 1981, dedicato a Coimbra, città quasi al centro del Portogallo, con una delle università più antiche del continente, risalente al 1290 (cfr. pp. 5-9, ma anche, sempre per la Repubblica portoghese che sonnecchia ancora, dopo Salazar, nella sua capitale, Lisbona, pp. 9-13), e termina con il pezzo che dà il titolo alla raccolta di articoli e di altri scritti, Il magico “kolobok”, del 29 dicembre 1988, e un asterisco nel titolo che rinvia a una spiegazione a fondo pagina, una nota che avverte: “In russo kolobok […] ha due significati: “palla, sfera” e “focaccia”, rotonda o con un buco al centro. È anche la guida fatata delle favole che rotolando, rotolando, induce l’eroe a seguirla” (p. 80).

Ecco, le prime ottantaquattro pagine, di un volume che ne conta centottanta, sono quelle di un uomo che da un lato segue a suo modo – Il magico “kolobok” è una “fantasia notturna” (p. 84) – la guida fatata delle favole (il richiamo favolistico, folcloristico della realtà) – “stanotte vado a fare un lungo viaggio per deserte contrade. Compagno mi è Michail Michajlovič Prišvin” (p. 81)2 – e che dall’altro, invece, viaggia (e racconta) in maniera anche nuova.

In parte, come fa e ne scrive Enzensberger (1929) nel citato Ach Europa! (1987, trad. it. 1989), Rigoni Stern (1921) viaggia quasi come un giornalista-saggista, come uno scrittore chiamato da diversi Istituti italiani di cultura e da università per una serie di conferenze, per dei dibattiti; e tuttavia può anche viaggiare come un cacciatore che non caccia (cfr. pp. 28-40), cioè che accompagna soltanto amici cacciatori. Ma quello che ‘il Mario’ non dimentica mai di essere, in viaggio per l’Europa, è un individuo comunitario che esprime un vero e proprio desiderio d’Europa grazie – e non è un paradosso – al fatto di essere radicato nella sua terra, nella sua comunità: terra che gli permette di fare alcuni confronti non banali, nel passato come nel presente, tra vecchio e nuovo, per dare concreto corpo a quella “voglia fisica” d’Europa che va da Sud-Ovest a Nord-Est, dal Portogallo alla Polonia per l’appunto, passando per la Mitteleuropa (magrisiana e rigonsterniana), cioè dall’Austria alla “fu” Cecoslovacchia, e poi all’Ungheria e alla Russia.

E qui ci sono almeno due osservazioni da ribadire e amplificare a un tempo, forse per capirle e trattenerle meglio, forse e più semplicemente per problematizzarle:

(1) non si tratta di ritrovare Nazioni sovrane ma Regioni, distese di terra europea che non sono schiacciate da un ordine nazionale, in un’Europa che è intesa come un insieme di regioni federate così come le evocava – lo si anticipava prima – Denis de Rougemont (1906-1985) nel dicembre 1976, in Formule d’une Europe parallèle ou rêverie d’un fédéraliste libertaire (in Mélanges Fernand Dehousse, vol. II, La construction européenne, Nathan-Labor, Paris-Bruxelles 1979, pp. 29-30)3; del 1979 è pure, dello stesso autore, il Rapport au peuple européen sur l’état de l’union de l’Europe, uscito contemporaneamente in francese, inglese, tedesco e olandese e proposto in italiano dalla Pan editrice di Milano, n° 90 della collana “il timone”, nel maggio del 1979; ed è oggi significativo che la stessa visione venga rivendicata da Reinhold Messner (1944), ancora di recente, su Rai 3, a “Le Parole Anteprima”, il 18 dicembre 2021, tra le 20h30 e 20h40 circa, rispondendo a una domanda di Gramellini, in studio con Roberto Vecchioni;

(2) non si tratta più di “viaggi subiti”, quelli della guerra e della prigionia, anche se Rigoni Stern è ben cosciente che negli anni Ottanta da cui scrive quella “grande e bella terra”, “varia ma nel contempo uniforme”, è attraversata ancora da troppi “reticolati”, specialmente “tra Europa Est e Europa Ovest” (p. 29); e tuttavia, più che i reticolati, in questi viaggi si impongono sempre comunità interessanti e interessate a saperne di più, delle altre comunità. E non si tratta sempre e solo di trovarsi di fronte a un pubblico scelto, avvertito, selezionato, colto, poliglotta. Si tratta anche di parlare con la gente, ovvero, per esempio, di camminare e tentare un dialogo con un vivace contadino polacco, in campagna, cercando di arrangiarsi con un po’ di tedesco e di russo. Non si tratta, in tal senso per l’appunto, di fare lo scrittore o il turista (magari pure figlio di quel consumismo che per Rigoni Stern fagocita tutto e di cui dice più volte in tal senso lungo gli anni Ottanta, decennio fasullo di una presunta età dell’oro che forse fu un “portato” di altro abbaglio nostrano, il famoso boom, vent’anni prima almeno).

Senza voler apparire irrispetoso, il “laico credente”4 che è Rigoni Stern non si spinge neppure in “pellegrinaggio”– per quanto ci passi vicino – a Wadowice, il paese dove è venuto al mondo Papa Wojtyla che, del 1920, gli è quasi coscritto. La guida ci rimane un po’ male ma il papà del Sergente nella neve è più attratto dalla campagna e dai suoi abitanti che da passaggi obbligati, da “luoghi-icone”. Parla col popolo, parla del modo di coltivare, parla delle patate, e lo fa col contadino polacco ma anche col popolo disseminato degli italiani all’estero, dei subalterni, delle “pance in fuga”, e parla dei problemi ma cerca anche di capire dove si annida la felicità, per gioirne con chi non è ritornato ma non si sente straniero in questa grande e bella e varia Europa, unica e unita in questo ‘movimento’.

Certo, non è andata sempre così, né subito: c’è chi in Belgio, per dire, è rimasto solo un paio d’anni, dal 1947 al 1949, e dopo essersi recato “in Cecoslovacchia come turista” e aver “considerato che in quel paese gli emigranti non erano “stranieri”, decise di rimanere” proprio in quest’ultimo paese (p. 24). E voglio citare in tal senso il caso, ricordato da Rigoni Stern, di “Cesare Montanari […] di Reggio Emilia”, anche se il Belgio – quel Belgio che sarà per me accogliente terra europea all’inizio del Duemila – non ci fa tanto una bella figura. Perché? Non solo perché la cosa è di dominio pubblico – e in seno allo stesso si riconosce che certi anni furono più duri e che peggio di “stranieri” gli italiani (e altri popoli) vennero percepiti – ma soprattutto perché oggi, i belgi, mi pare siano maturi per aiutarci a scrivere un’altra e migliore storia.

E infine perché Mario Rigoni Stern ci invita, senza fare polemiche, a essere consapevolmente memori del passato, delle difficoltà di cui la Grande Storia l’ha quasi saturato, con tante guerre e troppi fili spinati, lager (ex-lager) e razzismi (post-razzismi) del tutto inutili, e tuttavia pure con diverse generazioni in umile ma fecondo ‘movimento’ in Europa (e ripeto qui il termine ‘movimento’ e lo metto sempre tra apici per dirne l’ampiezza di senso spazio-temporale).

All’autore di Amore di confine (1986) – racconti-favole (mai ingenui, mai enfatizzati in senso vittimistico) di guerra e di pace, di paesaggi, di solidarietà – importa ripetere che i non pochi (e non poco grandiosi) processi di razionalizzazione economica – cui l’unito belpaese va soggetto, in età contemporanea, dalla fine dell’Ottocento almeno ad oggi e con picchi (dimenticati ma sempre attuali) a partire dalla seconda metà degli anni Quaranta del Novecento e lungo tutto il decennio successivo (boom o non boom alla fine dello stesso) – sono “portati” da chi si adatta e si muove, e non da chi impone e s’impone, da chi cerca un’acclimatazione di parole e ricordi e non da chi giudica senza un minimo di prospettiva, fermo al caffé dell’angolo; ovvero non da chi perde di vista quell’insieme di comunità-culture-lingue vere ed estese cui bisognerebbe sempre tendere, sia all’andata che al ritorno, per saisir e poi conservare la “sobrietà” di queste persone umili, donne o uomini che siano, insieme al loro felice coraggio, alla sottile malinconia che l’impronta e lo dice pronto a un sempre nuovo tentativo di conservare i contatti, magari pure tramite i libri di una piccola biblioteca italiana disposta dietro una bella vetrinetta, da padre Dante in su.

III.

Il magico “kolobok” aprirà, in prospettiva, Tra due guerre e altre storie, raccolta di cinquantotto testi in cui, nel 2000, precipitano soprattutto le altre parti di Il magico “kolobok” e altri scritti (1989), cioè la terza, Memoria di guerra, sdoppiata in 1914-18 (poi Storie della prima guerra mondiale) e 1940-1945 (poi Storie della seconda guerra mondiale), e la seconda, Ambienti naturali, che offre diversi testi alla sezione Storie dell’Europa di Tra due guerre precedute da Storie dall’Est e seguite da Storie dall’Altipiano. La raccolta è più densa: il libro è di duecentocinquanta pagine e circa due terzi di queste – scritte tra il 1975 e il 2000 – appaiono in volume per la prima volta.

Tuttavia si perde qualcosa della magia “inedita” della raccolta di articoli e “altri scritti” usciti nel libro del 1989. Si perdono, direi con Marco Cerruti e con il sottoscritto, quelle “notizie di utopia” di sapore comunitario, nel senso del comune, della commune, che fa la comunità, di quell’Altipiano dei sette comuni che si confronta con la Comunità europea. Si perde un po’ il senso delle pagine ‘contro’ il fil barbelé, la corde du diable, la frontière brûlante (cfr. Olivier Razac, Histoire politique du barbelé, nouvelle édition, Paris, Flammarion, “Champs”, 2009).

Di più. La “Terza pagina” del giornale sfuma di molto la sua quasi ‘dettata’ riconoscibilità e gli “altri scritti” diventano “altre storie”, che, oscillando tra Walter Benjamin (lettore di Nicolai Leskov [1831-1895]) e Mario Rigoni Stern, diventano più decisamente “altre narrazioni” della e dalla esperienza (propria e altrui) per l’esperienza (altrui, di terzi)5. Insomma, è un po’ come se Rigoni Stern guardasse già, tra fine ‘900 e inizio nuovo secolo e millennio, a una sempre più orientata sistemazione del suo lavoro, forse anche per l’attrazione dell’ordine del “Meridiano” e di alcune raccolte Einaudi, dove la guerra e l’altipiano la faranno da, potremmo suggerire, insinuare, “temi-padroni”, cioè da dati che non sempre aiutano a capire se rigidamente intesi.

In tal senso, le introduzioni al “Meridiano” e alle altre raccolte Einaudi sono tutte molto belle, anche se foriere di una certa ‘costrizione’, di una certa ‘canonizzazione’ che è quasi una sorta di ‘coazione a ripetere’ che tende ad amalgamare e a presentare come un tutto identico il Rigoni Stern anche più diverso ed emblematico, a mio umilissimo avviso.

Certo, è davvero una bella gara intergenerazionale quella tra l’Eraldo Affinati (del 1956) che vuole sempre un po’ prendere la fiaccola, il testimone – di cui ho già detto altrove parlando del “suo” Dietrich Bonhoeffer (1906-1945) e non solo6 – e le pagine di Folco Portinari (del 1926, più ‘vicino’ a Rigoni, muore nel 2019), o quelle, “bachelardiane”, a metà strada e più ‘libere’ e ‘leggere’, di un Giorgio Bertone (del 1949, mancato nel 2016)7.

Ecco, concluderei dicendo che più ‘libero’ e ‘leggero’ ero anch’io, nella primavera del 2001, a Ravenna, in gita coi miei ragazzi del Liceo, al rientro in Italia, dopo quattro anni di Francia per un lettorato, un posto d’A.T.E.R. e la tesi di dottorato. Vidi Tra due guerre e altre storie su un banchetto, a metà prezzo, e non me lo lasciai sfuggire. Lessi quasi tutta la notte, quasi a creare un “silenzio” che i ragazzi, in gita, non riuscivano, peraltro legittimamente, a fare. E fu come ritrovare la mia, mi verrebbe da dire, “fantasia notturna”. E forse fu proprio in quel momento che iniziai a riempirla ulteriormente e originalmente, tale “fantasia notturna”, di utopia e di Europa, ripensando al mio primo incontro con Il magico “kolobok”e altri scritti, quasi una dozzina d’anni prima, nei primissimi mesi del 1990, col muro di Berlino già andato, il servizio civile e la redazione della tesi di laurea alle porte (volevo scrivere un libro “pronto per Einaudi”) e il mio Liceo davvero ‘pronto’ ad aprirmi di nuovo le porte per una supplenza, in biblioteca, dove trovai una pila di libri blu pubblicati da “La Stampa” nella collana “Terza pagina”, impilati sopra una scrivania, fuori dagli scaffali, “doppioni” che avrei anche potuto prendere… E li avrei presi tutti, se non fosse stato per l’educazione ricevuta.

C’erano – li voglio ricordare, sognare in ordine di apparizione – Massimo Mila, Primo Levi, Tullio Regge, Guido Ceronetti, Sabatino Moscati, Furio Colombo, Gianni Vattimo, Luigi Firpo e Mario Rigoni Stern, targato 1989 ma distribuito come supplemento a “La Stampa”, per l’appunto, il mercoledì 28 febbraio del 1990. Lo presi come un “segno”, anche se scoprii subito che era una ristampa identica alla precedente dell’aprile 1989, e fu l’unico che presi.


NOTE

1 Cito da M. Rigoni Stern, Il magico “kolobok” e altri scritti, Editrice La Stampa (“Terza pagina”), Torino 1989.

2 “Prišvin è uno scrittore che mi è congeniale e caro, anche se da noi è ancora poco conosciuto perché solamente una sua opera, Ginseng, è stata pubblicata da Adelphi, nel 1979. Ma alcuni suoi bellissimi racconti come La belva di Krutojar, Seguendo il magico kolobok e Nel paese degli uccelli non spaventati ben varrebbero gli alberi da cui ricavare la cellulosa per stamparli!” (p. 81). L’opera di Michail Michajlovič Prišvin (1873-1954) è un insieme di bozzetti e fiabe, racconti e riflessioni, molto unitario, dedicato alla sua terra e alla sua natura, a quella Russia che percorse in lungo e in largo imparando dal popolo e vivendo di caccia e pesca, proprio come fa, insieme a Mario Rigoni Stern, nella “fantasia notturna” di quest’ultimo, a Il magico “kolobok” titolata per l’appunto. Come l’autore italiano, Prišvin rifugge i pregiudizi dell’uomo contemporaneo e ne intuisce bene la deriva. Ma lasciamo la parola a Rigoni Stern: “La mia fantasia notturna è finita. Apro la radio: la pianura padana è coperta dalla nebbia, il traffico è molto intenso, incidenti sulle autostrade. Accendo il fuoco ascoltando il “Giornale del Terzo”: Consiglio dei ministri, dichiarazioni di De Mita, disastro aereo, la Palestina, la droga nelle scuole, la legge finanziaria. Dove è rotolato il magico kolobok?” (p. 84).

3 Cfr. almeno L. Curreri, La Comune di Parigi e l’Europa della Comunità? Briciole di immagini e di idee per un ritorno della Commune de Paris (1871), Macerata, Quodlibet, 2019.

4 Cito da M. Rigoni Stern, Il coraggio di dire no. Conversazioni e interviste. 1963-2007, a cura di Giuseppe Mendicino, Einaudi (“ET Saggi”), Torino 2013, p. 55. Cito in particolare dall’intervista di Sergio Frigo, Le nuove stagioni di Mario Rigoni Stern, “Il Gazzettino”, 1° novembre 2006 (alle pp. 54-58 del vol. cit.).

5 Cito da M. Rigoni Stern, Il coraggio di dire no. Conversazioni e interviste. 1963-2007, cit., p. 76. Cito in particolare dall’intervista, del dicembre 1980, di Antonio Motta, Conversazione con Mario Rigoni Stern, in Id., Mario Rigoni Stern, La Nuova Italia (“Il castoro”), Firenze 1982 (ma finito di stampare nel gennaio 1983), pp. 3-12 (alle pp. 67-76 del vol. cit.). Cfr. poi Walter Benjamin, Il narratore. Considerazioni sull’opera di Nicola Leskov (1936), nella sezione Saggi critici di Id., Angelus Novus. Saggi e frammenti, a cura di Renato Solmi, Einaudi (“Saggi”), Torino 1962 e poi, con un saggio (e aggiornamenti bio-bibliografici) di Fabrizio Desideri, Einaudi (“Einaudi Tascabili. Saggi”), Torino 1995, pp. 247-274.

6 L. Curreri, Misure del ritorno. Scrittori, critici e altri revenants, Greco&Greco (“I quaderni di Nuova Prosa”, 1), Milano 2014 e, ristampa riveduta e corretta, 2016, pp. 75-91 (pp. 85-86 in particolare) e pp. 93-112; ma per Affinati si contano una quarantina di occorrenze circa e un paio di saggi a girargli intorno.

7 M. Rigoni Stern, Storie dall’Altipiano, a cura e con un saggio introduttivo (Mario Rigoni Stern: la responsabilità del sottufficiale, pp. IX-LI) di Eraldo Affinati, Mondadori (“i Meridiani”), Milano 2003; Id., I racconti di guerra, Introduzione (“Dare la voce a chi non poteva più parlare”, pp. V-XXIII) di Folco Portinari, Einaudi (“ET Biblioteca”), Torino 2006; Id., Le vite dell’Altipiano. Racconti di uomini, boschi e animali, Introduzione (Le case di Mario Rigoni Stern, pp. V-XXIV) di Giorgio Bertone, Einaudi (“ET Biblioteca”), Torino 2008.


* Luciano Curreri (24, 08, 1966), ordinario di Lingua e Letteratura Italiana all’Université de Liège dal 2008, è autore – con Alex Bardascino – di 100 anni di Mario Rigoni Stern. Intergenerazionali consegne del testimone tra saggio e racconto, Mimesis (“Certi nostri anniversari / Quelques-uns de nos anniversaires”, 1), Milano 2021.

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Pubblicato da retroguardia

Docente e critico letterario. Dirige la rivista di critica letteraria "RETROGUARDIA". Si è occupato in particolare della narrativa di Guido Morselli e Gesualdo Bufalino. Altri interessi di ricerca riguardano anche la poesia contemporanea, la teoria della letteratura, il romanzo fantastico e comico, la metrica italiana. Suoi interventi critici sono apparsi in rete (Musicaos.it, Retroguardia, La poesia e lo spirito, ecc) e su alcune riviste di letteratura (Tabula rasa, Narrazioni, ecc). Socio fondatore dell’associazione culturale e membro del comitato di lettura di vibrisselibri, redattore de “La poesia e lo spirito” dal 2007.