Renzo Favaron, “Teatrin de vozhi e sienzhi (Teatrino di voci e di silenzi)”

Renzo Favaron, Teatrin de vozhi e sienzhi (Teatrino di voci e di silenzi), Ronzani Editore, 2021, pp.112, € 12,00

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di Paola Tonussi

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«La cosa quanto più è invisibile,

più è certo che una volta sulla terra è esistita,

e dunque più è ovvio che si trova ovunque»

(Brodskij, Elegie romane XII)

Una spaccatura fondamentale scinde questo Teatrino di voci e di silenzi (Ronzani Editore, 2021) ultima prova poetica di Renzo Favaron: il prima e il dopo, l’“ieri” e l’“oggi”, Qui e altrove secondo la Collana. In dicotomia dunque si pongono i versi fin dall’inizio: vita e morte, ricordo e oblio, felicità e assenza.

Il prima e il dopo dicono la morte della madre, ovvero la morte di una parte di sé. Nel vuoto nuovo, il poeta non sa dove e cosa cercare per riempirlo: “non so come frugare dove / c’era un prima e quello che è / venuto dopo…” (Quella che credo (sonetto).

E dunque nella prima lettera “di oggi” le chiede di manifestarsi, ancora – “Dimmi qualcosa, chiamami…cercami…” – di parlargli di nuovo ma non di sparire: d’altronde, nel luogo dove lei è andata anche i modi di comunicare sono diversi o cessano di avere sostanza. Per il poeta convinto che nemmeno il legame quotidiano sia stato reciso, almeno dentro di sé, l’implorazione al silenzio si fa quasi parola devozionale, preghiera di ogni uomo lasciato solo.

Il gioco tra assenza e presenza diventa – da subito – antifona tra personale e universale, perdita individuale e di ciascuno:

magari in tua compagnia tornerei a sentire il vento

e rivedrei le nuvole farsi e disfarsi, come dovrebbe essere

quando la pienezza riveste la fragilità…

Ma nell’oscillare della memoria “c’è sempre un po’ d’amore da dare e da ricevere” (Lettera (a mia madre, a tutti e a nessuno)). Anche adesso. O, forse, adesso di più. Perché il luogo della madre è pura lontananza.

Sembra quasi di ascoltare echi di Novogodnee, l’elegia della Cvetaeva in morte di Rilke: qui al figlio non resta che “una voce distante, / distante come gli anelli di Saturno”. Che non si rivedranno è certo e l’odore del tempo è quello vissuto con lei: odore di “erba / gialla che intride e inzuppa l’aria” calpestata spesso insieme (Preferirei).

Proprio nel vuoto del cosmo, nella lontananza brada delle luci sideree il figlio ritrova la voce materna, “Perdendo, ho trovato” (Fradicio), e ritrova così anche la propria che a volte si fa canto, altre puro ascolto.

C’è una continuità, di là da spazio e tempo, che niente potrà infrangere. Oltre la voce di lei rimangono gli “indizi terrestri”: qualche oggetto appartenutole, un paio di orecchini, un foulard, dei guanti. Il “sentimento che unisce e separa”, confonde vita e morte, oggi e ieri, tratti del viso e gocce di sangue. Qualcosa d’invisibile che attraversa quel che c’è stato e rimarrà sempre: lo spirito di lei. O immagini:

Non parole, ma la tua figura

che mi sovrasta mentre spengo

tre candeline o mentre sono seduto

sul manubrio della tua bicicletta

e mi accompagni a scuola… (Del mio tempo)

Immagini che hanno semplicità di acqua risorgiva. Eppure remote come l’eco della bufera: tutto nel poeta, insegnamenti e ricordi, odori e sapori, è “riconducibile a te…”.

Elegia e storia di fedeltà, come le precedenti questa raccolta di Renzo Favaron ribadisce, con dolcezza infinita il “qui” del luogo dove abita la figura materna e il “qui” dove lui adesso scrive “come un carbone ardente” (A volte). Anche irreparabilmente lontana, la madre è tanto presente da entrare nei versi come voce e persino personaggio, almeno quanto il figlio poeta, più avanti il padre e l’amico scomparso Thierry. Quasi ombre dantesche, loro due non sostano però a lungo, parlano al poeta e vanno. La madre è invece sempre presente, e non potrebbe che essere diversamente: è lei inizio, sostanza e destinazione del canto poetico.

Per l’intera raccolta Dolores – questo il suo nome – domina il centro infuocato dei versi, e sembra reggere i fili di ricordo e oblio dall’oltre vita in cui si trova. Dedica al figlio le desiderate “parole” che annullano il silenzio (per sé o con lo stesso dire poetico), le immagini che riaffiorano dal passato a lenire la nostalgia, la speranza di una ricongiunzione. E il desiderio di scriverne per sentire ancora il legame con lei:

Scrivo

Per dire ancora di sì, per sentire

Che esisto da qualche parte

E perché è il modo più semplice di ricordare…

Basta poco, infatti: “un foglio e una matita”, anche solo per “cancellare”, per “ricordare di non ricordare”. E poi, confessa il poeta, “oblio e memoria sono i miei roghi”.

L’incertezza può a momenti fermarlo, non gli fa “trovare parole / per ricucire l’aria lacerata, il danno”. O forse, si chiede, il danno c’era anche prima, quando standole accanto lui era “come una lampada oscurata / e tenevo per me tutto il suo chiarore”? (Ancora sì).

Comunque, nell’assenza un’incantata circolarità lega questa alle altre raccolte: anche là emergeva la figura materna, il gioco tra passato e presente, la santità wordsworthiana degli affetti del cuore, alcune immagini simboliche: “questa spiaggia / ininterrottamente levigata dall’acqua / pendolare dell’onda” (Diapason alpestre).

A ribadire che un unico filo ne annoda l’opera, tornano versi per la madre diventata ‘sostanza’ proprio nel momento in cui scompare, si “cancella” al posto del figlio “per riconciliare il mare”. Fattasi aria, vento, erba e acqua, lo circonda del suo amore. Non più sulla terra, lei si trova ovunque:

Madre, come il canale e il velo dei salici,

ora camminiamo insieme.

Ci accompagniamo per alta fedeltà

A qualcosa di pesante e di leggero,

di elementare e di fatale,

come una mano operante

o la bufera per sempre familiare (Al limite del paese fertile).

Il figlio possono trascinarlo dubbi, indecisioni che hanno violenza di tifon: le parole non dette sono quelle che gli pesano di più. L’uomo non riesce a concepire la lunghezza dell’eternità, il pensiero non regge: “guardavo e non vedevo”. Così i fiori di peonia coltivati da lei, alcuni appassiti ma “meravigliosi” come le tele di De Pisis “che fanno quasi cantare” (Guardo e non vedo). La consolazione arriva con il pensiero, o certezza, che la morte non sia la fine di tutto, bensì “ancora un appello, una chiamata” (Ancora un appello). Una forma diversa di vita, una trasformazione, non la fine di tutto.

É sempre la madre a rassicurarlo, a parlargli: “ci sono le betulle dal tronco bianco, i salici, i pioppi / e i gelsi …”, la campagna amata. “Se fosse questo il paradiso, ti confesso che mi / accontenterei”… gli confida (Flannery, voce di madre). Incalza il figlio con considerazioni inedite: “Forse morire una seconda volta / aggiunge qualcosa” (Appunto la matita). E’ la convinzione che quel colloquio, passato da vita a morte, non si estinguerà mai? In fondo, al poeta preme proprio questa continuità.

Impossibile, dunque, pensare a lei fuori dalla vita, sebbene abbia assunto un volto diverso. Tutto ciò che ne resta o la ricorda, ogni sua traccia terrestre o visibile in una punta di stella è prezioso, anche “fosse vuoto segno soltanto, / più esile di un refolo…”. La memoria seleziona, la più potente alleata della dimenticanza: “come uno scultore, / toglie di mezzo le cose inutili…” (Alleluja).

Al suo Teatrino di voci, suoni, silenzi e spazi, preghiere e redenzioni Renzo Favaron regala la forma classica del sonetto, alternato a schemi più liberi come le lettere in versi. Sempre, cura reverente al ritmo.

Il ritmo è “tempo ristrutturato”, scrive Brodskij, perché è il ritmo a fare il verso. Per un poeta ritmo e metro non sono semplici artifici tecnici, ma “formule magiche”. Anche per l’autore del Teatrino sono “magneti spirituali” (Conversazioni con Josif Brodskij) con cui richiamare a sé la protagonista, la madre Dolores.

Pubblicato da retroguardia

Docente e critico letterario. Dirige la rivista di critica letteraria "RETROGUARDIA". Si è occupato in particolare della narrativa di Guido Morselli e Gesualdo Bufalino. Altri interessi di ricerca riguardano anche la poesia contemporanea, la teoria della letteratura, il romanzo fantastico e comico, la metrica italiana. Suoi interventi critici sono apparsi in rete (Musicaos.it, Retroguardia, La poesia e lo spirito, ecc) e su alcune riviste di letteratura (Tabula rasa, Narrazioni, ecc). Socio fondatore dell’associazione culturale e membro del comitato di lettura di vibrisselibri, redattore de “La poesia e lo spirito” dal 2007.