Perché non ci devono vedere – o sentire – arrivare? Sparse riflessioni inattuali su un ‘modo di dire’ attualissimo, che forse non è solo una citazione

PERCHÉ NON CI DEVONO VEDERE – O SENTIRE – ARRIVARE?

Sparse riflessioni inattuali su un ‘modo di dire’ attualissimo, che forse non è solo una citazione.


di Luciano Curreri (ULIEGE)

A Luisa, Mea, Lucrezia e Ludovica, le donne che amo

e che mi hanno sempre sentito o visto arrivare.

«Anche stavolta non ci hanno visto arrivare» (Elly Schlein); «perché sì, spesso non ti vedono arrivare» (Giorgia Meloni). Dietro queste frasi è, in prima istanza, la citazione del titolo di Lisa Levenstein, They Didn’t See Us Coming. The Hidden History of Feminism in the Nineties (2020). Su «la Repubblica» del 7 marzo 2023, in un articolo di Raffaella De Santis, si legge che Schlein ha colto il messaggio di Levenstein (parola d’autrice), perché allude a quel movimento, a quella base che l’ha sostenuta, mentre Meloni non avrebbe parlato che di sé stessa, cioè come singola donna. Possibile. Ma non è ciò che mi interessa. Come non mi interessa pensare che dall’origine comune della citazione si possa solo dedurre che analisti e politologi stavano guardando dalla parte sbagliata, quella dei maschi. E poi a me, e ad altre persone come me, sembra stupefacente che si ritenga ancora una novità il guardare solo in una direzione – tipico di alcuni colli ingessati – e l’ascesa di donne più o meno ‘giovani’ (metto gli apici perché l’aggettivo non ci dà più un’idea chiara, tanto la nostra ‘età di mezzo’ è stata dilatata), viste e considerate le grandi figure femminili che hanno fatto la storia della politica e della cultura (anche la sopravvivenza del femminismo dal basso, dopo la cosiddetta fine della storia, oltre che dell’impegno e dell’utopia, e cronologicamente ben prima di #metoo, non è del tutto una novità assoluta).

Forse c’è altro dietro le frasi recentissime che le due protagoniste di spicco della nostra politica – di sinistra e destra – hanno usato, con una certa (e legittima) fierezza, per inquadrare le ormai desuete (ma dure a morire) pregiudiziali nei confronti delle donne; e a tal punto che a queste ultime (e, se non a tutte, almeno ad alcune) possono ormai apparire un vantaggio, le sterili credenze maschili di un tempo.

Ecco che sottovalutare, snobbare sono verbi (di fatto modalità statiche del non agire, del non percepire) che una tronfia cultura maschilista più che maschile tout court, una cultura attardata e invecchiata su sé stessa (fino quasi a portarne profane stigmate sul viso e nel corpo), farebbe bene a non frequentare più, a meno che non decida di immolare il proprio sguardo, potremmo dire, al killer silenzioso della vista, il glaucoma, male diffuso che, se non curato, porta alla cecità irreversibile. Insomma, un mondo che non sa ancora guardare avvertitamente alle donne e finanche a quella vita ‘giovane’ di cui le donne sembrano un’avanguardia, potrebbe anche essere un mondo di uomini ciechi e decisamente più vecchi (non: anziani) che adulti (maturi). E magari anche sordi, dal momento che le frasi in questione potrebbero – sempre per via di metafora (ma non solo) – essere applicate all’udito e declinate similarmente ma altrimenti in tal senso: «Anche stavolta non ci hanno sentito arrivare»; «perché sì, spesso non ti sentono arrivare».

Restano tuttavia almeno un paio di inattuali riflessioni cui, fra le tante che si possono proporre a questo attualissimo ‘modo di dire’, mi piacerebbe accennare.

C’è, in effetti, il rischio che questo ‘modo di dire’ diventi – un po’ lo è già – uno slogan, ovvero si svuoti di quanto di buono c’è o c’era – nel dar conto di un problema – e veicoli ben altre tendenze (e relative interpretazioni). E brevemente direi che se una situazione negativa (una marginalità subita e inascoltata) diventa poi una strategia per riuscire, quella cioè di non farsi sentire o vedere arrivare, siamo o saremo in riciclata presenza di un ‘modo di essere e di fare’ (politica ma anche guerra) che è vecchio come il mondo e che non mi pare dovrebbe caratterizzare la rianimazione dell’aperto e onesto confronto nei partiti e nei governi animanti le cosiddette democrazie occidentali; queste ultime, peraltro, sono sempre pronte a bacchettare le scorrettissime politiche altrui, in cui ci si fanno le scarpe a vicenda, agendo nell’ombra, un passo indietro, fedeli ma pronti, alla prima occasione, a scalzare l’amica/o, la/il collega, e tante altre vacillanti identità legate a inopportune parole usate ma smentite dal nostro tempo antico, statuario e seriale insieme.

In questa prospettiva, peraltro, nel momento in cui, se riesci nell’intento, esci dall’ombra e raggiungi la tribuna, tu sarai – e dovresti saperlo – la prossima vittima di chi non sentirai e/o vedrai arrivare. E così, come già in passato, chi vuole rottamare, con buona probabilità, sarà rottamato (il che, nel nostro sistema politico, può anche significare ‘promosso’, pur non avendo le competenze richieste alla maggior parte delle e dei ‘giovani’ d’oggigiorno, a partire da quelle linguistiche).

Come ci si difende? Producendo altri equivoci e altre modalità che minano alla base l’idea stessa di ‘gioventù’, di differenza, di liquidità, di pluralità: la rotazione non è mai presa in seria considerazione e l’elogio che ci si fa, da soli, è quello di esserci sempre stati, legittimando così quel voler restare che via via si scoprirà relativamente più difficile dell’arrivare e dell’essere arrivati. E la pochezza mortale nostra – tutta tesa a un’immortalità che non ci appartiene (e per cui pure chi crede dovrebbe attendere il responso di ben altra urna) – finisce per fare il resto.

Di più. Beneficiando ormai di una sovraesposizione mediatica (quasi sempre opaco specchio di una sottoalimentazione utopica), continuare ad affermare che non ti si sia sentito o visto arrivare è davvero un po’ specioso.

A questo punto, invece, direi che tu sia anche pronto a sconfessare il tuo ‘modo di dire’, che rischia di dare brutte idee alle altre e agli altri, come detto poc’anzi, e forse pure di confondere la tua realtà con quella di altri ambienti, di altre esistenze.

Quali altre realtà?

Facciamo solo un esempio cinematografico, attraverso il pensiero di un personaggio, che è anche voce narrante, tratto da un capolavoro del 1990: «Per un attimo credetti di essere morto, ma quando sentii quel casino capii che erano gli sbirri. Solo gli sbirri fanno tanta cagnara. Se fossero stati i ragazzi non avrei sentito un fiato: sarei morto e basta». È la trascrizione del doppiato italiano, ma si può tradurre diversamente, ché la versione originale è: «I wouldn’t have heard a thing»; «non avrei sentito nulla». Ma anche, perché il senso è quello: «Se fossero stati i ragazzi [quei bravi ragazzi], non li avrei sentiti arrivare». Come la maggior parte delle mie venticinque lettrici avrà capito, si tratta di Quei bravi ragazzi (Goodfellas), diretto da quel genio che è Martin Scorsese, tratto da un romanzo di Nicholas Pileggi che firma la sceneggiatura insieme al regista.

Per ora non aggiungerei altro. Ma sono disponibile al confronto e al dialogo, con tutte e tutti.

PS. Ringrazio, per i dubbi, mia moglie Mea, mia figlia Lucrezia, queer nata nel 1999, e gli amici Silvio Alovisio, Alessandro Barbero, Vittorio Frigerio, Filippo La Porta e Davide Messina.

NOTA. Un ‘aggiornamento linguistico e interpretativo’ lo si può ricavare da «Il racconto» di Fabrizio Roncone che, sul «Corriere della sera» del 16 marzo 2023, a p. 9, a proposito delle ormai famose «duellanti», scrive (mio il corsivo): «Strategia evidente [di Elly Schlein]: sono venuta qui per te [per te, Giorgia], parlo con te, guardami mentre parlo con te. Ora: se un po’ conoscete la Meloni, provate a immaginare anche la faccia che mette su. Una roba che, più o meno, dice: tranquilla cara, sto qui, adesso ti rispondo. Difficile dire se lo viva come un duello: di certo questa segretaria di 37 anni – determinata, libera, di puro fascino – Giorgia l’ha vista arrivare fin troppo bene; e sa certamente valutarne la travolgente freschezza (poi, tra qualche mese, vedremo se alla tramontana di novità, avrà saputo aggiungere anche solidità politica»). Ringrazio l’amico Giuseppe ‘Pippo’ Traina per la segnalazione.

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Pubblicato da retroguardia

Docente e critico letterario. Dirige la rivista di critica letteraria "RETROGUARDIA". Si è occupato in particolare della narrativa di Guido Morselli e Gesualdo Bufalino. Altri interessi di ricerca riguardano anche la poesia contemporanea, la teoria della letteratura, il romanzo fantastico e comico, la metrica italiana. Suoi interventi critici sono apparsi in rete (Musicaos.it, Retroguardia, La poesia e lo spirito, ecc) e su alcune riviste di letteratura (Tabula rasa, Narrazioni, ecc). Socio fondatore dell’associazione culturale e membro del comitato di lettura di vibrisselibri, redattore de “La poesia e lo spirito” dal 2007.