Per un’est-etica-politica militante s-militarizzata de-localizzazione

Verso Kabul- acrilico su tela 40×40- di Giacomo Cuttone

Per un’est-etica-politica militante s-militarizzata de-localizzazione


di Antonino Contiliano

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Non è né insolito né nuovo che – in funzione analitico-intellettuale – i quadri concettuali e il lessico teorico-conoscitivo trasmigri da un campo ad altro del sapere. Così il concetto di isotopia dal linguaggio della fisica passa a quello della poesia; l’onda sonora armonica di Louis De Broglie dalla musica passa alla fisica quanto-relativistica; l’equivalenza dalla geometria e dall’economia passa alla scrittura poetica. Egualmente, poi, le similitudini, le metafore, le analogie e le anomalie … dalla produzione letterario-poetica passano a quella delle indagini conoscitive e della scienza (in genere). Dal canto nostro pensiamo, invece, di far trasmigrare il termine “delocalizzazione” dal campo dell’economia-finanziaria (propria al pensiero unico del neoliberismo capitalistico globalizzato) a quello (in genere) dell’estetica, dell’arte e della poesia: lo riscriviamo come de-localizzazione. Come dire che le parole non si possono brevettare (non c’è il copyright). Non sono proprietà esclusiva del linguaggio del modello di un sistema (capitalistico o altro …). Parafrasando “Humpty Dumpty”, interrogato da Alice sulle parole che hanno significati così diversi (Lewis Carrol, Attraverso lo specchio e quel che Alice vi trovò), Humpty Dumpty ribatte che il problema è uno solo. Prendere posizione. Chi decide che! Chi è il padrone della lingua? Tutto qui! Così può succedere che chi – sotto il dominio di un regime identitario (Herbert Marcuse, Arte e rivoluzione) – dice pace, libertà e autonomia per mettere fine a una sporca guerra, in realtà significhi altro (vedere l’attuale guerra giocata in Crimea…). Il mettere fine alla guerra, infatti, significa «esattamente ciò che il governo belligerante sta facendo, anche se può essere in realtà tutto il contrario, e cioè intensificare il massacro invece che estenderlo; la libertà è esattamente ciò che il popolo ha sotto l’Amministrazione, anche se può essere in realtà tutto il contrario»1.

Intelligente o meno ogni arma, in questa strategia governamentale della democrazia guerraia dell’io-crazia del capitalismo globalizzato, ancora una volta (!), sarebbe legittima e umana (allora!) pur di spegnere il “conatus” dei ribelli odierni, e di contro-tendenza?

Il conflitto (polemos), tuttavia (senza tacere la voce – in generale – delle contraddizioni), per noi non è cosa che nelle guerre (delegate o meno che siano in nome della democrazia esportata … occhio al presente, e non meno al passato!) possa trovare il suo giudice democratico sovrano e imparziale! Parlando di democrazia, con la sua impareggiabile visualità sospensiva, l’attore Carlo Verdone aggiungerebbe: democrazia … “in che senso”?

De-localizzazione?

Seguendo le mutazioni semico-evolutive del verbale, o delle lettere, o dei grafemi o dei segni (gli interventi che simbolizzano il rapporto modificato con le cose), il rapporto stesso si propone sia quale nuovo rapporto differenziale, che nuova funzione semantica. Analogicamente, infatti, come avviene nel calcolo infinitesimale (cambiando alcuni parametri, subentra in azione la “proprietà” delle funzioni), le dimensioni della significanza simbolica (senza essere annullate) diventano grandezze-qualia sì evanescenti (mai però zero). Lo stesso zero dopotutto è poi parola di un nome (“x”) che, modificato da un differenziale “d”), indica sempre un rapporto in cui (semplificando al massimo) il nome non si perde, mentre l’identità si dinamizza mediante un differenziale (il sé di un significato che si modifica senza annullarsi, una deviazione minima). Nel nostro caso, il calco-lo differenziale semantico è affidato al ‘de’ della parola “de-localizzazione” in funzione di operazioni non ideologiche bensì ideo-logiche critiche (questo l’intento, almeno!).

De-localizzandosi, non si smette allora di scavare nel ventaglio delle parole del linguaggio del sistema sottoposto a modifiche. Il suo taglio infatti fa affiorare altre insorgenze critiche. Attento prevalentemente alle parole delle scritture artistiche (in generale), ridimensionando il classico engagement degli artisti, dei letterari e dei poeti, il soggetto militante critico, allora, non rimane inattivo e disimpegnato: esplora nuove invenzioni. Dalle sue indagini, non prive di supposizioni e verità ideo-logiche (non ideologistiche), emergono infatti nuovi modelli e schemi efficaci (gli eventi contingenti e i relativi mutamenti ambientali spingono gli organismi stessi a riadattarsi, o a reinventarsi rivoluzionandosi; è la società che forma la coscienza e non viceversa!). Alla regola, tra soggettivazione e processi soggettivazione, non sfugge nessun tipo di soggetto. Ora, de-localizzare un’estetica di controtendenza (in tempi di neolirismo “instant poetry” in rete, e in tempi in cui se ne dichiara – dell’estetica – il decesso in nome dell’eterno presente dell’oscena estetizzazione del neoliberismo capitalistico algoritmico- imperante i flussi informatici e finanziari del debito infinito, il deep learning, i soft power, i profilamenti identitari robotizzati, l’alienante “cancel culture” – cultura della cancellazione –, il nuovo detersivo lava-cervelli, etc.), è un volersi approssimare alle verità eterodosse di figure come Jacques Lacan e Alan Badiou (due che hanno rovistato criticamente – militanti – tra i lasciti del marxismo e del freudismo, delocalizzandoli). Due figure che, pur da pieghe diverse, hanno parlato di estetica da luoghi che nessuna estetizzazione capitalistica di classe potrà mai saturare. Jacques Lacan (XX secolo), nel rapporto tra l’ordine del reale, simbolico immaginario (siglato RSI), a latere del suo specifico freudismo, toccando il rapporto della verità dell’arte con il reale, ha lasciato di che pensare con le sue tre topiche (estetiche) sull’arte. Non distante, l’Alan Badiou di “Inestetica”: non un’anti-estetica, una contro-estetica, una non-estetica, bensì un’estetica la cui verità – immanente e singolare – è inerente alla particolarità dell’arte: una procedura cioè di verità molteplice irriducibile alla verità della scienza (sebbene come la matematica porti il linguaggio ai limiti dell’essere). Per il filosofo francese, Badiou, quattro sono, infatti, le verità (e come condizioni di verità in divenire– matematica/scienza, arte, amore, politica), così come l’essere non è Uno, ma molteplice. E qui la verità dell’arte non è subordinata alla trascendenza/esteriorità dei modelli idealisti o materialisti che siano- e men che alla teoria di un partito guida: il caso del vecchio impegno dei comunisti ortodossi-staliniani. Non c’è la V-erità, infatti. Ci sono verità molteplici. Molteplicità da cui non sfugge la collettività relazionale degli stessi individui eguali e liberi (l’umanità – scrive Marx, il Capitale – è “associazione di uomini liberi” e il comunismo, tra scienza e utopia, è un movimento che abolisce lo stato di cose presente). Il poeta d’altro canto – scrive Freud, l’analista del metodo delle libere associazioni –, mediante le sue creazioni e i mezzi tecnico-estetici impiegati ottiene «effetti emotivi […] come il superamento della (c.n.) nostra ripugnanza, la quale è certo in connessione con le barriere che si elevano fra ogni singolo Io e gli altri. […] il poeta […] ci seduce mediante il godimento puramene formale, e cioè estetico, che egli ci offre nella rappresentazione delle sue fantasie»2. Un comune godimento di piacere, di liberazione e di adesione a quanto dal poeta e dall’azione della sua opera ci permette di modificarci e di modificare lo stato delle cose che opprime (le barriere…).

Il sistema “RSI” di Jacques Lacan

Crediamo che sia necessario e urgente ridare la parola alle verità (se rimosse, non per questo la memoria sociale e collettiva le ha cancellate!). Così, biforcando e forcludendo, ci si de-localizza pascolando in altre alture. Del resto, tra i sentieri dell’articolazione, le parole militanti della lingua, come il cammino delle capre, sono sentieri a incrocio pluri-biforcante. E le biforcazioni – scrive il matematico René Thom –, sebbene manchino la coerenza tra concetti e significato, e siano imprevedibili, tuttavia aprono a nuove e utili conoscenze (pur in contraddizione con le vecchie credenze d’armonia): permettono di descrivere topologicamente i fenomeni discontinui e divergenti come transizioni di fasi (per inciso, ma con passione e in brevità, la nostra transizione guarda a un mondo del comunismo anticapitalistico e dell’eguale-libertà!). Così, a far memoria, accanto alle diverse asimmetrie d’ordine, nel sistema “RSI” (Reale/Simbolico/Immaginario) di Jacques Lacan (psicoanalista e filosofo) c’è la dismisura della de-localizzazione del soggetto, il “manque à être. Un uso “Humpty Dumpty”, si può dire. Il linguaggio di cui il pensiero si serve per catturare la realtà non è mai esaustivo. La realtà gli si sottrae e richiede parole di nuovo conio. La totalità dell’essere tuttavia è irraggiungibile. La mancata fusione totale lascia vivo, però, il desiderio della lotta per il godimento (che si sposta in avanti): la realizzazione-pienezza del linguaggio del modello del sistema concettuale collocato a lavoro è sempre messa in discussione e rivoluzione. Di de-localizzazione in ri-localizzazione e di soggetto e processi soggettivi però non se ne parla senza connessioni tra i diversi ambiti della conoscenza, del sapere e della pratica (filosofia, estetica, politica, economia, poesia, etc.). Il sapere dell’economia politico-capitalistica-neoliberista contemporanea, ad esempio, grazie alla scienza algoritmica-combinatoria (automi asemantici) controlla il tele-lavoro e domina sia i flussi informativi e finanziari che le resistenze della forza-lavoro e il rivoluzionamento della de-localizzazione industriale cibernetica (mondo ormai in balia della logica dello scambio del valore informatizzato). Una essenziale mistura intricata di rivoluzione tecno-informatica-robotica, i cui i processi neoliberisti (interni, transnazionali, globali) sono in continuo movimento: fanno rete web (Internet e social network) e profilano le identità individuali. Riconfermano, cioè, il potere di comando rinnovato, mentre il sapere ideologico dei media supporta gli individualismi più egoistici quanto cinici, mettendo in soffitta l’individualità sociale e la natura ociale del lavoro e dei rapporti umani (il discordo del padrone, direbbe Jacques Lacan). Il Lacan del linguaggio “militante”, l’analisi capace, cioè, di mettere a nudo le funzioni di ciascuno segno deputato a veicolare la formazione dei comportamenti e i limiti in re. Per Lacan, come è noto (anni Cinquanta del XX secolo), il pensiero che era stato de-localizzato nell’estetica poetica del solo significante (la creazione artistica, come può avvenire nella produzione poetica, era solo quello del primato del significante sonoro: «combinazione formale tra i significanti e la loro ec­centricità rispetto al piano del significato3»). Negli anni Settanta dello stesso XX secolo, ricorrendo anche alla formalizzazione frazionaria e algebrica, lo stesso Lacan invoca però un ritorno alla ragione e alle ragioni della teoria e della logica (come già a suo tempo indicava lo stesso Freud, il padre della psicoanalisi come scienza). Un ritorno che, nonostante il dubbio e le ombre (forse grazie a loro) passa attraverso una filosofia che intreccia il cogito cartesiano stesso con ciò che non è né pensiero né linguaggio, l’essere-in-quanto-essere (pura indeterminatezza materiale; il vuoto d’essere generico con cui l’uno e l’altra hanno però uno stretto e strano rapporto di con-vivenza e, di volta in volta, di determinazione singolarizzata). Il cogito di Cartesio – dice Lacan – infatti è dove non pensa di essere come logos. Semplificando: l’essere del pensiero è de-localizzato dove non-è, l’inconscio. Il pensiero pensa dove non può né essere né essere-pensare (“manque à être). E il linguaggio nei confronti di questo “reale” non è privo di “empasse” (fallimento, vuoto). Diverso dalla scelta di Martino Heidegger: la lingua come la sola casa dell’essere), nei casi dell’isteria analisi e lingua fanno cilecca (qui il sapere dello psicoanalista è muto, non sa dire dell’identità del soggetto).

Il linguaggio artistico, come suggeriscono i suoi (di Lacan ) tre schemi estetici o topiche (“estetica del vuoto”, “estetica anamorfica”, “estetica della lettera”) non ha miglior fortuna. Sebbene il valore dell’arte e della poesia non perdano di funzione e valore, l’incontro del soggetto con l’essere (il reale) rimane adombrato, mai è pieno. Scrive Massimo Recalcati: nella prima estetica lacaniana, l’arte è in rapporto col vuoto o con l’oggetto perduto – paradigma è l’opera degli oggetti desublimati (il Das Ding, la cosa) dell’artista Giorgio Mo­randi; nella seconda (la “funzione quadro”) si rapporta al dettaglio catturato della figura anamorfica (il teschio – il perturbante – nell’opera di Hans Holbein, Gli ambasciatori); nella terza, la funzione della lettera artistica è asemantica. Una singolarità della contingenza che siamo sempre stati. Esemplare il caso di Antoni Tapies, il pittore che riduce il suo stesso opera-nome alla lettera “T”, una croce. Il soggetto che, marcato dall’azione dell’Altro – scrive Recalcati –, non è più significato dal linguaggio e dai suoi nomi. L’azione del soggetto non è altro che disarticolare e ridurre l’io dell’artista a un fantasma immaginario (sembra il personaggio della “Gradiva” interpretato da S. Freud). È il soggetto che nello stesso campo simbolico individua il traumatico dell’elemento «irriducibile al simbolico, la marca fondamentale (asemantica) che istituisce il soggetto e il suo destino»4. È come se la scrittura del poema soggettivo fosse un effetto di contrazione/riduzione dell’azione dell’amplificazione come avviene nella poesia-haiku giapponese (Jaques Lacan, Lituraterra). Un componimento poetico, lo haiku, che (nato in Giappone nel XVII secolo) sembra contare soprattutto sul concetto di numero (segno di per sé asemantico)- tre versi per complessive diciassette more, secondo lo schema 5/7/5. Una contrazione formale che niente ha a che vedere con il contenuto o il significato, come è proprio ai linguaggi della scienza e della logica formale.

Alan Badiou

Alla triade lacaniana (RSI) farà riferimento lo stesso Alan Badiou (XX/XXI secolo) quando, per rimanere fedele all’evento politico e artistico come verità immanente e singolare di una idea (nel caso l’idea comunista o della poesia come produzione di operazioni e procedure-di-verità che danno conto del multiplo, il molteplice). “Inestetica” è il nome che Alan Badiou dà alla sua estetica possibile. Uno schema non più classico (estetica come catarsi), né romantico (il sensibile che rappresenta il sovrasensibile incarnato), né partitico (la verità è del partito). La verità, essendo una procedura di verità, è – scrive Badiou – immanente e singolare all’arte e alla poesia (come alla scienza e alla politica) in quanto linguaggi operativi propri. La verità della scrittura poetica però, pur portandosi – dice Badiou – ai limiti del linguaggio, ha una potenza bucata: c’è sempre un divenire di incalcolabile potenza militante che si sottrae alle forme. È la contingenza delle cose e del qualcosa, dei processi e delle azioni. Ed è qui che il fermo-immagini del pensiero (in atto) e di non immagini, di concetti e di non concetti, di idee, di fantasie o di veglie diurne e notturne deve pur affrontare il contraddittorio delle verità del potere stabilizzate. Un’ipotesi (anche questo il senso, forse) che, sconvolgendo le leggi del mondo dato (unipolare), deve misurarne i rapporti dell’“Ideo-logia” con l’essere collettivo quale soggettività sociale delle individualità in divenire. I soggetti singolari sociali (soggettivazioni di verità fedeli alla situazione storica, fedeltà all’evento), dice Badiou, quali quelli che hanno incorporato l’evento dei soviet comunisti o quelli del ’68 della contestazione giovanile e operaia della seconda metà del Novecento. Il filosofo francese Badiou (fautore di una estetica altra, l’“Inestetica”) infatti decide di «comparare la triade della politica-storia-ideologia a quella lacaniana reale-simbolico-immaginario, perché (c.n.) il reale politico può essere simbolizzato nella storia solo grazie a un’operazione della soggettività che per essere tale deve incorporare l’idea, farla diventare […] corpo-di-verità»5. Una soggettività, peraltro, non aliena all’utopia come una prefigurazione alternativa all’ordine esistente delle cose (un movimento che, come la bellezza di un sogno rimosso che ritorna, abolisce lo stato di cose esistenti/presenti). Militante, diagonale/raro, il soggetto – scrive Badiou – in una situazione evenemenziale (fuori dal sapere codificato), per il fatto che c’è di mezzo una procedura generica (e diagonale), attiva un’«esplorazione febbrile degli effetti di un nuovo teorema»6. L’esplorazione febbrile degli effetti, per esempio, della «precipitazione cubista del duo Braque-Picasso nel 1912-1913 (effetto di un intervento retroattivo sull’evento Cézanne), l’attività di S. Paolo, o quella dei militanti di una Organizzazione Politica»7.Una esplorazione – ancora Badiou – che oltre a toccare il rapporto tra finito e in-finito della verità molteplice, rivisita il problema del soggetto nelle situazioni evenemenziali. Un soggetto che non è né una sostanza, né una coscienza, né un punto vuoto, né organizzazione di un senso dell’esperienza, né una invariante della presentazione, né un risultato, né una origine (e il suo enunciato è aleatorio) ma una configurazione: «una configurazione eccedente della situazione»8. Del resto, basterebbero i soli nomi di Marx (critica dell’economia politica, il marxismo e il comunismo) e Freud (critica dell’identità tra ragione e coscienza, la psicoanalisi e l’inconscio dove è la coscienza) per dire quanto basta sulla delocalizzazione del soggetto e delle verità. Entrambi, dopotutto, si delocalizzano: l’uno dove non c’è il capitalismo; l’altro dove non c’è la coscienza (di altri, avanti). Per il filosofo di Inestetica (che non è una anti-estetica, o contro-estetica ma un’estetica non saturata da fondamenti filosofico-speculativi, come quelle classiche del romanticismo o del marxismo ortodosso e di partito), la scrittura artistica lega la voce e la vista, non esclusa quella dei poeti, a una procedura di verità in situazione (non conta il codice prestabilito). E una procedura di verità è il sito di un’inchiesta/indagine compositiva che, in quanto immanente e singolare, è produzione sì finita ma vera (verità scientifica, artistica, politica, amorosa).

E non c’è verità che non abbia effetti sugli altri e che non possa interessare il qualunque. Parlare dei poeti – scriveva Hannah Arendt – «è sempre un compito ingrato. I poeti esistono per essere citati e quello che si scrive su di loro è, nella maggior parte dei casi, superfluo. Le cose stanno così almeno per quelli che non sono né critici né storici della letteratura. Ma poiché la voce dei poeti riguarda tutti noi dal momento che nella vita pubblica e privata contiamo e facciamo affidamento su di loro, gli esperti in materia dovranno pure accettare che anche qualcuno di noi dica la sua; e i poeti, che scrivono o no su temi politici, dovranno pure rassegnarsi ad essere giudicati come cittadini da altri cittadini. Questo è tanto ovvio quando, come nel caso di Brecht, prese di posizioni o legami politici hanno avuto un’importanza decisiva nella vita e nell’opera dell’autore»9 (Michel Foucault, da parte sua, parlava della verità in termini di parresia, o di tale evidenza pratica che qualsiasi arzigogolato speculativo non era in grado di offuscarne il montaggio operativo/veritativo e l’azione della molteplicità sintattico-semantico-pragmatica). Verità composte, finite, limitate ma in divenire. Verità in divenire. Sono le verità proprie di ogni procedura di verità (molteplicità infinita/insieme-generico ulteriormente sempre nominabile come verità nuova), mentre il suo stato di veridicità dicibile è sempre il post-evento. L’evento nuovo che nella situazione storica vuole un nome per l’opera come configurazione finita e compiuta – come ogni opera artistico-po(i)etica – del soggetto-opera o autore. Il soggetto che (simultaneamente) la nomina verità singolare e immanente in quanto – dice Alain Badiou (L’essere e l’Evento/ 1995; Inestetica/2007) – nel tempo è produzione-procedura coestensiva al pensiero e al linguaggio dell’arte stessa (sic della matematica o della politica o della poesia).

Il soggetto franco

Lo schema della verità come procedura di verità singolare e immanente è la parola “franca” della parresia foucaultiana, un nuovo schema in cammino di cui le opere, visto che la verità non l’è esterna né verosimile, sarebbero così il reale operativo esistente (Né apparenza della verità esterna/trascendente della metafisica, né il verosimile dell’immaginazione funzionale alla catarsi delle passioni- la concezione aristotelica, poi freudiana e anche lacaniana).

Se l’arte ha un rapporto con la verità, come questa, è infinita. Infinità di forme finite come insieme di elementi determinati localizzati in una situazione d’essere generale e generico delle cose sottoposta a indagine, inchiesta (procedura). Una procedura linguistico-semiotica, simbolica, che non si chiude mai in forme finite ultime. La forma finita, discreta, come succede nella serie di numeri (secondo la logica delle classi o degli insiemi, a partire dall’insieme vuoto, generico) si ripete continuamente (all’infinito). Una rivoluzione permanente che deve continuamente reinventare il rapporto tra astrazione generale (atemporale) e contingenza storica (temporale) tra concetti e percetti e rapporti di potere di classe. Se l’egualelibertà è oppressa, elusa, da un potere (il capitalismo & affini) che, come classe, organizza, governa e persegue discriminazioni, sfruttamenti e divide l’umanità in “G 20” (paesi/individui ricchi) e “Last 20” (paesi/individui poveri) non c’è rivolta (ribellione, sovversione, etc.) che basti! Rivoluzione permanente, come invenzione permanente è il mondo e la verità (parresia) dell’arte (il generale) con le sue forme specifiche, non ultima la poesia (il fare poesia).

È l’arte, se procedura e spinta individuale alla verità, i cui effetti però concernono il collettivo (come quelli della scienza e della politica), a costringerci – direbbe Albert Camus – «ad essere combattenti» (L’uomo in rivolta, 1951). Oggi soggetti combattenti di egualelibertà nella società dei regimi del comando e del controllo politici di classe del capitalismo (rappresentativo o meno sia il governo della società). Non si può essere artisti e poeti senza essere soggetti combattenti, militanti d’avanguardia eretici e bolscevichi (rivoluzione comunista: una poesia-verità-arte bolscevica). Certamente non è del vecchio schema storicistico dell’ortodossia del partito che qui si ha nostalgia. Ma se il vecchio schema è fallito, non per questo non è possibile un nuovo schema. È la configurazione della verità di per sé al tempo stesso immanente e singolare (Alain Badiou, L’essere e l’evento/1995 e Inestetica/2007), la parresia che gli è propria. Quanto utile per spingere un soggetto sociale ad auto-riflettersi come una piega e com-posizione. Un soggetto non coincide con un singolo individuo: anche quando vive e lavora in un sistema che divide è coesistente con il suo essere sociale generale e generico (universale). E la verità parresiastica dell’arte-poesia – come evento non nominato nelle vecchie forme – è tale da spingere alla rivolta, al combattimento, alla rivoluzione bolscevica come se fosse il deducibile di un assioma.

C’è sempre una potenza degli eventi che sconvolge le certezze naturalizzate (alienazione feticizzata, direbbe Karl Marx; e non solo): fa il vuoto nel sapere dato e richiede nuove e inventive nominazione delle cose e degli eventi, senza che per questo il vuoto e gli eventi casuali siano esauriti e totalmente catturati nella/dalla rete degli interessi capitalistici dominanti (o di comandamenti di occasione che legiferano sicurezze!). Sia pure la rete degli attuali algoritmi del capitalismo dei flussi informatizzati, del deep learning (l’algoritmo definitivo dell’iterazione-combinatoria binaria – 0 1 –, gli automi robotici autocreativi e autonomi), o del soft power processuale (persuadere, convincere, condividere, etc.); quello che presuppone la non esistenza dell’essere sociale dell’uomo: ognuno è un prosumer e un individualista dedito alla concorrenza vita mea e morte tua. Vilipendio dell’egualelibertà di ciascuno e tutti.

Svolte biforcanti

Per concludere, a fronte, noi crediamo che sia necessario e urgente ridare la parola alle verità (se rimosse, non per questo la memoria sociale e collettiva le ha cancellate!). Del resto, le parole militanti della lingua – quale è l’ambigua “delocalizzazione” –, come il cammino delle capre, sono sentieri pluri-biforcanti. Così a far memoria,

  • come per Walter Benjamin, anche per noi (irriverenti e non devoti) il capitalismo non ci è religione (la religione del debito, lo “schlud”: il debito come colpa ed errore- W. Benjamin, Il capitalismo come religione/1921). Il debito come colpa e responsabilità del prestito, soggezione metafisica-politica, espiazione dell’indebitamento finanziario infinito. Ma c’è anche la responsabilità di non dimenticare e di agire per “il sogno di una cosa” (le fantasie non sono meno reali della realtà stessa che siamo, e non sono prive di ragioni d’essere);
  • perché con Bertotl Brecht «deriviamo la nostra estetica, così come la nostra moralità, dai bisogni della nostra lotta»10;
  • perché con Bertotl Brecht c’è il coraggio di scrivere la verità (qualunque sia il regime oppressivo e violento);
  • perché – ancora Brecht – si deve stare accorti nel riconoscerla, renderla maneggevole come un’arma e saper scegliere coloro nelle cui mani essa diventa arte efficace e astuzia divulgativa fra questi ultimi: «non basta denunciare la barbarie delle condizioni, se poi non risultasse chiara la ragione per cui veniamo a trovarci in queste condizioni. Dobbiamo dire che degli uomini vengono torturati perché i rapporti di proprietà rimangano immutati. Certo, se lo diciamo, perderemo molti amici che sono contrari alla tortura perché credono che i rapporti di proprietà si possano mantenere anche senza di essa (il che non è vero). […] Dobbiamo dirla inoltre a coloro che di questi rapporti di proprietà soffrono più di tutti, che hanno il maggiore interesse a cambiarli, ai lavoratori e a coloro che possiamo trasformare in loro alleati perché in realtà non partecipano nemmeno loro alla proprietà dei mezzi di produzione, anche se partecipano ai guadagni»11;
  • perché con Esiodo, non diversamente (ma di secoli ne sono passati …), i poeti possono dire ancora sia la verità che la menzogna;
  • perché (con il poeta Vladimir Vladimirovič Majakovskij, Come far versi), la verità emerge come: 1) «la presenza, nella società, di un problema […] sociale»; 2) «la cono­scenza esatta o, meglio, la percezione delle aspirazioni della propria classe»; 3) «il materiale. Le parole. L’inin­terrotto arricchimento dei depositi; dei magazzini del proprio cranio con parole necessarie, espressive, rare, in­ventate, rinnovate e di ogni altro genere»;
  • perché con il fantasma che si aggira per il mondo e l’Eu (il sogno di una cosa), il movimento che abolisce lo stato di cose presenti, amiamo e lottiamo (seppur con la forza delle parole e della poesia) per l’utopia quale ordine simbolico differente (valori alternativi, l’impossibile- possibile);
  • perché se la cosa è un delirio, non c’è sogno o fantasia dei poeti – scriveva Sigmund Freud (Delirio e sogni nella Gradiva di W. Jensen/1906) – che non abbia le sue ragioni d’essere e un’estetica. Sarà l’estetica dell’“isterica” (identità sfuggente), ma è sempre il rifiuto del dato e il conflitto (Marx e Freud – due autori, ricercatori e scienziati – hanno scandagliato il mondo delle verità feticizzate o nascoste facendole scendere dal cielo metafisico in terra vitale;
  • perché con i dissidenti e scavatori Jacques Lacan e Alan Badiou vediamo operante e vivo l’entusiasmo intorno all’essere delle verità e dell’estetica (i due sono maestri inquieti ed eredi della critica dell’economia politica del Capitale e di quella libidica dell’Inconscio; e a questi due, qui, solo per economia di discorso, ci agganciamo per dire dell’estetica);
  • perché punti di osservazione e modelli che, lavorando e producendo metamorfosi, scontrano le quiete credenze e fibrillano i processi della realtà, le condizioni e le procedure (e non alieni, entrambi i pensatori, alle riflessioni su arte, poesia e scienza e il co-implicato dei rapporti con l’essere, il divenire, il reale, il vuoto, le logiche, le formalizzazioni, le verità, etc.);
  • perché con Beraldi Bifo (Manifesto del dopo-futuro”, punti 8 e10), essendo sul «promontorio estremo dei secoli … Dobbiamo assolutamen­te guardare dietro di noi per ricordare l’abisso di violenza e di orrore […]. Viviamo da molto tempo nella religione del tempo uniforme. L’eterna velocità onnipresente è già dietro di noi, nell’Internet, perciò ora possiamo dimenticarla per trovare il nostro ritmo singolare. Vorremmo fare dell’arte forza di cambiamento della vita, vorremmo aboli­re la separazione tra poesia e comunicazione di massa, vorremmo sottrarre il dominio sui media ai mercanti per consegnarlo ai sapienti e ai poeti».12

Ma perché l’arte sia «forza di cambiamento della vita» non basta consegnare comunicazione e media solo a sapienti e poeti. Crediamo sia più convincente e probante, invece, rimettere in gioco la lotta di classe in proiezione del divenire-comunista, e fuori i cardini del vecchio modello totalizzante (la legge di gravità di Newton non è stata messa fuori gioco dalla gravità relativistica di Einstein). Né la forza di gravità in questa nuova forma, come nella logica dell’essere-futuro rivoluzionario, scinde il suo ritmo dal contenuto e dagli altri elementi del caso. E il ritmo, nel caso del divenire-comunista, è quello singolare del noi dei rivolgimenti. Insieme, per ricordare ancora Majakovskij, possono ancora lavare «le città dei mondi» (La nostra marcia), anche se «La classe / Anche lei / Non scherza nel bere» (A Sergèi Esénin). Per disperdere la marmaglia degli oppressori – ricorda ancora Majakovskij – occorre fare in tempo perché molto è il lavoro e vivere è sempre difficile. Ma se non si agisce collettivamente, insieme di diversità, non si vive il kairós a misura d’uomini ri-definiti. E per non rievocare solo immagini ereditate, è stimolante tenere vivo il movimento nel nostro tempo più recente con i suoi incontri pubblici e collettive riflessioni. Si pensi, per esempio, alla conferenza tenutasi a Londra nel maggio 2009 al Birkbeck Institute, per iniziativa di Alain Badiou e Slavoj Žižek, On the idea of CommunismL’Idea di comunismo; o a “La conferenza di Roma sul Comunismo, 18-22 gennaio 2017, siglato “C/17”.

Su questa scia, agganciandoci a “l’aver fiducia nel mondo” (Gilles Deleuze), in antecedenza abbiamo abbozzato qualche parola sulla responsabilità del ritardo e la necessità di riattivare sia l’ottimismo pragmatico sia il ri-lancio del comunismo come sogno rinnovato (il diritto di sognare, ricordava Gastone Bachelard, non è meno potente del nuovo materialismo razionalista e scientifico). È il sogno comunista delle passioni anticapitalistiche durevoli e ragionate. Le ragioni conflittuali consapevoli e disalienate del cammino collettivo processuale e contingente. Il comunismo, crediamo, come società democratica radicale di singolarità individuali e sociali associate, e senza denegare la potenza delle nuove rivoluzioni high-tech. Quelle che hanno incorporato la creatività del general intellect marxiano mettendola a lavoro (“frammento delle macchine”, GrundrisseLineamenti fondamentali di critica di economia politica) ma, diversamente dall’uso che ne fanno le riaccumulazioni capitalistico-finanziarie, al servizio dell’intera collettività umana (il marxiano ente naturale e generico …)13. E se non è vietato pensarlo e dirlo, perché non vedere una produzione poetica come il luogo della comunità democratica di tutti gli elementi che fanno l’insieme stesso poesia? C’è forse un essere della poesia al di fuori della relazione di interdipendenza di tuti gli elementi in gioco? Non ci sembra!

Marsala, 2 aprile 2022


NOTE

1Herbert Marcuse, Arte e rivoluzione, in «Comunità», n. 167, 1972, p. 295.

2 Sigmund Freud, Il poeta e la fantasia, in Saggi sull’arte, la letteratura e il linguaggio, Bollati Boringhieri, Torino, 2013 (ristampa), pp. 58-59.

3Jacques Lacan, Le Sèminaire. Livre V. Le formation de l’inconscient, Seuil, Paris 200, p. 56 (Nota tratta da «Aut Aut», n. 326/aprile-maggio 2005).

4 Massimo Recalcati Excursus: il paradigma della croce di Antoni Tàpies, in «Aut Aut», n. 326/aprile-maggio 2005, p. 155.

5 Giorgio Cesarale, Le nuove dimensioni della soggettività-1. Alan Badiou: Essere, Evento, Idea Comunista, in A Sinistra- Il pensiero critico dopo il 1989, Laterza, Bari 2019. p. 97.

6 Alan Badiou, L’essere e l’evento – traduzione di Giovanni Scibilia –, il melangolo, 1995, p. 331.

7 Ibidem

8 Ivi, p. 392.

9 Hannah Arendt, Il futuro alle spalle, Mulino, Bologna, 1968, p. 221)

10 Bertolt Brecht, Am­piezza e varietà dello stile realistico, in Scritti sulla letteratura e sull’arte, Einaudi, 1973, p. 211.

11 Ivi, pp.116-131.)

12 Franco Bifo Berardi, Manifesto del dopo-futuro, in Dopo il futuro- Dal Futurismo al Cyberpunk. L’esaurimento della modernità, Derive/Approdi, Roma 2013, p. 130.

13 Antonino Contiliano, All’ombra delle classi in fiore … il comunismo, in https://lagedorivista.wordpress.com/2021/01/03/allombra-delle-classi-in-fiore-ragionamenti-sullidea-di-comunismo/

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Docente e critico letterario. Dirige la rivista di critica letteraria "RETROGUARDIA". Si è occupato in particolare della narrativa di Guido Morselli e Gesualdo Bufalino. Altri interessi di ricerca riguardano anche la poesia contemporanea, la teoria della letteratura, il romanzo fantastico e comico, la metrica italiana. Suoi interventi critici sono apparsi in rete (Musicaos.it, Retroguardia, La poesia e lo spirito, ecc) e su alcune riviste di letteratura (Tabula rasa, Narrazioni, ecc). Socio fondatore dell’associazione culturale e membro del comitato di lettura di vibrisselibri, redattore de “La poesia e lo spirito” dal 2007.