Louis-Ferdinand Céline, Londres. Appunti di lettura

Louis-Ferdinand Céline, Londres. Appunti di lettura


di Luisa Crismani

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Se Guerre è già Céline, lo senti nel polso, Londres non lo è ancora, o molto poco. Ci vorrà Mort à crédit, ci vorranno i pamphlets per mettere l’Autore finalmente in piedi, pronto a percorrere la strada che ha davanti a sé.

Londres è vago, vagabondo, non senza meta, non ozioso, non da perditempo mani in tasca e naso all’aria, ma perennemente alla ricerca. Di cosa? Di Londra? (Molti commentatori sottolineano quest’aspetto). Macché. Dei protettori e loro puttane? Visto uno visti tutti. Di personaggi? Certo, Borokrom, Yugenbitz, Angèle, Cantaloup, Lawrence Gift…

Ma Céline cerca soprattutto se stesso. Non sa cosa fare, come farlo, adesso, questo secondo romanzo, dopo il successo travolgente del primo. Oscilla. Quando scriverà il vero suo romanzo su Londra sarà Guignol’s band. Tutta un’altra musica. Nessuna esitazione. Nessuna incertezza. In questa fase non è ancora lo style, il ‘come’ e forse nemmeno il ‘cosa’, piuttosto diremmo il ‘chi’. Chi è l’autore? Più e più volte Ferdinand si osserva, dice delle magagne che lo affliggono, i bourdonnements (rimbombi, acufeni, ronzii) che gli impediscono di dormire, il braccio pendulo… e si osserva anche quando le esperienze che percorre pian piano lo distolgono da se stesso (Vedete che non parlo più tanto di me? Che la mia attenzione si è spostata fuori? sui malati da curare? su una servetta che se avessi avuto il coraggio di fregarmene delle usanze e di parlarle, e magari di sposarla “lei m’avrebbe spiegato tutto e liberato di un sacco di guai da cui non uscirò più, scrivessi anche trecentomila pagine. Mi arrovello.” (Londres, p.59)

S’intende, l’opera di un autore, sulla quale è legittimo esprimersi, è quella da lui pubblicata in vita, le cose ‘postume’ trovate nei cassetti o in soffitta o, come in questo caso, riportate alla luce dopo un lungo colpevolissimo occultamento, si dovrebbe prenderle con le molle, se possibile astenersi da giudizi estetici o etici, e mai, come ahimè molti sembrano divertirsi a fare, scomodare la biografia dell’autore per cercare ‘il più vero del vero’: con Céline non ha senso mai, lui imbroglia le carte, le studia tutte per metterti fuori strada, lo dice bene Régis Tettamanzi (Londres, p.8-9).

(Ma che fine ha fatto Henri Godard?)

Bisogna, in Londres, come già in Guerre, farsi condurre dall’Autore, in un vagabondaggio non tanto in Londra quanto nella sua anima, nella sua testa, nel suo farsi scrittore con la determinazione dichiarata di non volerlo essere, di rifiutare questa etichetta: ‘écri-vain’ dice con sarcasmo, meglio ‘croniqueur’ (cronista) dirà in qualche intervista alla fine della vita, uno che dice le cose come stanno, descrive la realtà concreta, vista attraverso il prisma magico dell’immaginazione (“La vita immaginaria per fortuna è più forte. E’ adatta a quella specie di morti che siamo noi, a metà ricordi, a metà delirio. Il resto è irrespirabile. Sia detto una volta per tutte.”) (lettera a Marie Canavaggia, Saint Malo, 11 settembre 1943).

Dunque: Londres. Va riletto, dopo averlo letto una prima volta. E riletto ancora. Con Céline è sempre così. Stavolta ancora di più, il suo è un andare in giro indeterminato, vago, che ondeggia tra la precisione dei ritratti e le lunghe elucubrazioni, a volte noiose, cui in seguito avrebbe rinunciato, su se stesso, la sua famiglia, i suoi desideri, ecc. ecc.

Céline esce dal trionfo di Voyage e vuole scrivere il prossimo. Come? E quale contenuto? L’esperienza certo, lui è incapace di fiction. Ma non un’esperienza brutalmente messa sulla carta, senza mediazioni. No, ‘trasposta’. Ha in mente una trilogia: Enfance – La guerre – Londres, lo scrive il 14 luglio 1934 a Eugène Dabit. Poi butta giù due prime stesure, Guerre e Londres. In realtà a Londra, alla sua esperienza londinese aveva pensato già nel 1930, mentre scriveva Voyage ma subito aveva deciso che non era possibile farla stare dentro la storia di Bardamu, che avrebbe dovuto dedicarci un romanzo tutto suo, lo scrive a Joseph Garcin un martedì di settembre del 1930, dopo aver chiesto prima allo stesso chiarimenti e informazioni su qualche aspetto della città e della vita che vi si conduce, dato che a Londra lui era stato sì ma troppi anni addietro…

All’infanzia nel ‘34 sta già lavorando da circa un anno e ne è fagocitato. Sarà Mort à crédit, l’unico dei tre pubblicato da lui, se si eccettuano i brani di Casse-pipe usciti nei Cahiers de la Pléiade di Gallimard nel 1948 e che potrebbero – asserisce qualcuno – essere l’avvio del romanzo sulla Guerra.

Di strano c’è una cosa, che né su Guerre né su Londres tornerà più, dopo il primo abbozzo, non se ne servirà. Ne conserverà tuttavia un ricordo, un poco malinconico. Cosa sono se non i manoscritti quei fogli che volano nel Cielo (con la maiuscola) in quel bellissimo, struggente sottofinale di Féerie pour une autre fois ? Queste sono le domande che dobbiamo porci, se studiamo Céline, perché nel suo universo mentale tutto si conserva, tutto esiste contemporaneamente, nelle sue notti insonni… “Se avessi potuto dormire non avrei mai scritto una riga!” Altro che chiedersi quanto razzista, quanto misogino, quanto antisemita fosse! Molti lo fanno, commentando Londres, citando banalità quali il naso ricurvo e le orecchie a sventola di Yougenbitz, (L’Humanité, 30 ottobre 2022) descritti invece senza nessunissima malizia ma con simpatia – e su questo torneremo più avanti – oppure le donne “réduites à des objets de consommation sexuelle” (ridotte a oggetti di consumo sessuale) ,(Le Parisien, 13 ottobre 2022) che tempera più sotto “mais qui se révèlent plus intelligentes et plus fortes que leurs «macs»” (ma che si rivelano più intelligenti e forti dei loro «protettori») come se non fosse macroscopico che le donne sono prostitute, tranne qualche eccezione. Per esempio la ballerina Lady e l’attenzione quasi paterna che ha per lei Cantaloup, capo dei protettori (Londres, p.320-321). Forse il commento più calzante, più centrato sull’essenziale è quello di Antony Palou, su Le Figaro (13 ottobre 2022) che definisce Céline “un grand lyrique” “un sensible. Il regarde le monde avec una sainte pitié. A compris d’une manière viscérale que la guerre entre lui est le monde est sans trève” e “Devant un tel style, on se signe” (un grande lirico – uno sensibile – Guarda il mondo con santa pietà – Ha capito che la guerra tra lui e il mondo non ha tregua – Davanti il suo stile, ci segniamo).

Régis Tettamanzi, curatore di Londres – e con lui altri – invita gli studiosi a stabilire rapporti e paralleli tra Guignol’s e Londres e mette in primo piano la descrizione della città e del fiume che l’attraversa, per il quale, come sempre per l’acqua, tranne che per il mar Baltico, Céline ha quell’affinità che apre la sua scrittura alla poesia.

Je suis tenté dès que je vois l’eau” (sono sedotto dalla vista dell’acqua) (Guignol’s, p.179), “La Tamise c’est beau. […] La Tamise, ça m’ a toujours tenté.” (Il Tamigi è bello. […] Il Tamigi mi ha sempre attirato) (Londres, p.75)

Sarebbe questa una strada percorribile ma un po’ forzata, dato che Londres non è stato utilizzato per Guignol’s. Meglio prender nota, come sopra, degli echi che sentiamo, e non solo in Guignol’s. O guardare ai personaggi.

Yugenbitz è senza dubbio Clodovitz di Guignol’s ma quest’ultimo è meno protagonista, piuttosto un comprimario, anche se le caratteristiche fisiche sono simili, una su tutte la miopia. “Ses yeux par la réflexion myope des lunettes accaparaient toute sa figure” (I suoi occhi per il riflesso degli occhiali da miope, gli riempivano tutto il viso) (Londres, p. 137). “Il penchait partout, sur tout, myope comme trente-six taupes, ses gros yeux en boule roulant dessous ses lunettes.” (Si chinava su tutto, dappertutto, miope come trentasei talpe, i grossi occhi a palla ruotavano sotto gli occhiali) (Guignol’s, p.158). “Il se cognait partout sans lunettes, il était ignoblement myope […] il lui fallait des verres épais, des vrais cabochon comme calibre… Ça lui exorbitait les châsses, plus large que le reste de la figure.“ (Cozzava dappertutto senza occhiali, era schifosamente miope […] aveva bisogno di lenti grosse, fondi di bottiglia… Gli ingrandivano gli occhi, più larghi di tutto il volto). (L’indimenticabile Jonkind, il bambino ritardato in Mort à crédit, p.723 – non dimentichiamo che Céline sta lavorando a Mort à crédit).

Ma Clodovitz lavora in ospedale, quasi gratis, e Yugenbitz è per così dire un libero professionista, anche se povero in canna. In Londres Ferdinand, e con lui Borokrom, conosce casa e famiglia di Yugenbitz, da questi è ospitato abbastanza a lungo e da lui introdotto alla medicina. L’interno dell’abitazione è descritto, arredato con mobili d’occasione, tende vecchie e polverose. E apre a una di quelle chiuse che fanno di lui quello che è, inconfondibile, un poeta. “Elle est dure la peine qui monte des objets quand personne ne veut plus d’eux. On n’a ni défense, ni rigueur pour l’ameublement. La mort d’un ornement c’est la mort d’une âme. Un peu de grimace e de honte et c’est fini.” (E’ grande la pena che vien su dagli oggetti quando nessuno li vuole più. Non abbiamo cura né attenzione per il mobilio. La morte di un decoro è la morte di un’anima. Un po’ di finto imbarazzo ed è finita) (p.137). Qui un’altra eco. Ma da dove? Dove abbiamo provato la stessa emozione? Lo stesso sprofondare del respiro giù… più giù, appoggiarsi sul diaframma, farci cadere in una vertigine, come un vuoto d’aria? Ci pensiamo e ripensiamo… un poeta se ne ricorderebbe subito. Céline solo i poeti lo capiscono davvero. Guarda caso, quasi tutti i traduttori italiani di Céline sono poeti, hanno nelle vene, mischiata al sangue, quella sensibilità che permette loro di ricreare la sua poesia nella loro e nostra lingua, o almeno ci provano.

Ma torna il ricordo… dopo giorni di sonnambulismo alla sua ricerca, al suo repêchage: la zia di Bébert Le néant était toujours près d’elle et sur elle-même un peu déjà. Un rien de grog et de fatigue et ça y était, elle s’endormait en ronflant comme un petit avion lointain que les nuages emportent. Il n’y avait plus personne à elle sur terre.” (Il nulla era sempre accanto a lei e su di lei anche un poco ormai. Un goccio di grog e la stanchezza ed era fatta, si addormentava russando come un piccolo aereo lontano che le nuvole portano via. Non c’era più nessuno di suo sulla terra). (Voyage au bout de la nuit, p.348). E’ come nella musica, non la melodia, non il ritmo, ma la tonalità. D’improvviso va in minore. Chiude in minore.

Ma torniamo al personaggio. Yugenbitz ha tre figlie, tre piccole bambine, la più piccola, Sarah, non ha ancora cinque anni. Céline non può fare a meno dei bambini, disseminati ovunque nei romanzi. In Londres accenna ai bambini che giocano per la strada (p.55) e ai figli degli ubriachi, che non possono entrare nei locali e aspettano fuori nella nebbia (p. 74).

Molto ampliate, le descrizioni le ritroviamo in Guignol’s, rispettivamente alle p.105-106 e 29-31.

E arriviamo adesso alla questione della vocazione medica. In una lettera del dicembre 1934 al dottor Maurice Paturier, che aveva lanciato un’inchiesta sulla rivista Le Phare médical de Paris, in cui rivolgeva a medici scrittori queste due domande: -Come siete arrivati alla letteratura? – Che influenza gli studi medici e l’esercizio della professione hanno avuto sulla vostra opera letteraria?, Céline scrive: “Mi sembra molto difficile attualmente raccontare storie che parlano di uomini senza essere prima di tutto un medico. Per quel che mi riguarda se cerco le origini della mia vocazione, mi sembra che partito da tutt’altra zona mi sono avvicinato alla medicina per la necessità assoluta di sapere meglio, di meglio comprendere quel che succede all’interno degli uomini, là dove si formano i sentimenti.” Quindi vede, per sé, la medicina e la scrittura strettamente collegate, e traspare nei romanzi la sua attenzione per il dato ‘fisico’, ‘corporeo’, di persone, animali, di tutti gli esseri, animati o no. Oltre agli oggetti in casa di Yugenbitz, c’è per esempio quel “réverbère qui n’est jamais tout à fait éteint, comme une âme, pendant l’hiver” (lampione che non è mai del tutto spento, come un’anima, durante l’inverno) (p.50), ma anche il laboratorio di Purcell, vuoto: “Un atelier, l’endroit des hommes, devient adorable, irrésistible, dès que les hommes sont partis. Toute la tendresse qu’on n’ose pas vient sans crainte alors prendre sa place.” (Un’officina, luogo da uomini, diventa incantevole, irresistibile, quando loro se ne sono andati. Tutta la tenerezza che non osiamo viene senza paura e prende posto) (p. 470).

Clodovitz di Guignol’s introduce Ferdinand alla medicina prima facendogli reggere la lampada per illuminare il malato cui farà l’iniezione, poi sarà lui a far luce e Ferdinand farà l’iniezione. Ma Yugenbitz farà molto di più. Oltre a dargli i libri per studiare, (è di rilievo il fatto che ‘come’ studiare gli verrà spiegato da Borokrom, un bombarolo anarchico, non certo un intellettuale), affidargli il compito di assistere Bijou. “Il m’a degoûté moins le Bijou du coup, quand j’ai commencé à lui faire chaque matin son lavage complet, à lui ôter le pus qu’il avait collé partout. Il sentait fort, même. On s’intéresse c’est drôle peu à peu à ce qu’il aille mieux, à ce que tout s’arrange. On fait des voeux. Par la pourriture on gagne la sympathie.” (A un tratto mi ha disgustato di meno Bijou, quando ho cominciato a fargli ogni mattina il lavaggio completo, a togliere il pus che aveva incrostato dappertutto. Puzzava anche, tanto. E’ strano mi interessava poco a poco che stesse meglio, che tutto andasse a posto. Facevo gli scongiuri. Con la putrefazione arrivava la simpatia) (p.154), lo porterà con sé in giro a visitare i malati. Il primo sarà un bambino di sei mesi, Peter, che morirà. Ed ecco un altro dei ‘luoghi’ che saranno anche del Céline maturo. La sua fedeltà ai ricordi. “Vous savez combien je suis fidèle – effroyablement – c’est une passion chez moi qui domine toutes les autres – je n’ai je crois jamais rien abandonné de ma vie – pas un être pas un souvenir pas une chose. Le temps n’efface pas chez moi – il grave” (Lei sa come sono fedele – spaventosamente – è una passione che domina tutte le altre – non credo di aver mai abbandonato niente in tutta la mia vita – né un essere né un ricordo né una cosa. Il tempo non cancella in me – incide” (lettera a Marie Canavaggia da Copenaghen, il 18 marzo 1947).

Sulla morte di Peter scrive: “Vingt ans sont passés depuis , cependant bien des choses encore, des bien étranges et bien lourdes, et petit Peter qu’est toujours là, pour un dixième, pour un petit soupir. J’en ai bien soigné depuis, des plus petits encore que Peter, mais il me semble toujours, dès que j’en vois un qui s’épuise un peu, qu’il va me quitter pour un rien. Ces souvenirs qui rendent la médecine délicate.“ (Vent’anni sono passati da allora, molte cose strane e gravi, e il piccolo Peter è sempre là, per un nonnulla, un piccolo sospiro. Ne ho curati tanti dopo, anche più piccoli di Peter, ma mi sembra sempre quando ne vedo uno che perde le forze, che mi lascerà in un soffio. Questi ricordi rendono la medicina difficile) (p.178-179).

Il medesimo stato d’animo Céline lo dichiarerà in Féerie e sarà il ricordo di Courtial :”Il est dans mon chagrin Courtial, même après tout ce qu’est arrivé, des brutalités si infectes et des déboires si capitaux que je devrais plus me souvenir de rien, le naufrage de tout ainsi dire, quand même Courtial est toujours là, il m’est à regrets et profonds. C’est pas demain que je rencontrerai un ami comme lui, un maître, sans ostentation, faste, blabla, non, mais un modeste, un esprit, et l’Univers là dans sa main […] “ (E’ la mia amarezza Courtial, anche dopo tutto quel che è successo, brutalità così schifose e fallimenti così totali che non dovrei ricordarmi più di niente, il naufragio di tutto per così dire, eppure Courtial è sempre là, lo rimpiango, e profondamente. Non incontrerò certo domani un amico come lui, un maestro, senza esibizione, sfoggio, blabla,, no, uno modesto, un ingegno, e l’Universo là, nella sua mano […]) (Féerie pour une autre fois, vers. C, p. 905-906).

Londres è un romanzo che non verrà mai scritto. Malinconico, triste. Come il violoncello di Saint-Saëns, Il cigno.

Angèle, la puttana dal sesso insaziabile, a volte perverso, contorto, quell’Angèle che in Guerre ha denunciato il suo protettore Cascade, lo ha fatto condannare a morte è qui a Londra, con il nuovo protettore Purcell che la trascura per fabbricare maschere a gas (come farà in Guignol’s il colonnello O’Collogham zio di Virginie. La situazione è la stessa – anche se Tettamanzi dice di no – in entrambi i casi ci saranno gravi incidenti di percorso, quasi fatali in Londres). Angèle finisce pazza, ricoverata in manicomio. Fabbrica una dopo l’altra bambole di pezza, che culla, mette a letto, dà loro il seno da poppare e poi distrugge, per costruirne una nuova la mattina dopo. Desiderio di maternità? Céline non lo dice. E’ così perché è stata picchiata, ha subito un trauma fisico, alla testa. Freud non potrebbe dirci niente. Céline sta studiando Freud, frequenta l’ambiente della psicanalisi in Europa, Vienna, Praga soprattutto, ha amiche psicanaliste. Questo suo interesse traspare anche in Londres, verso la fine, è Purcell che vorrebbe curare, un Purcell molto cambiato, irriconoscibile, che lo abbraccia come un figlio “on sentait qu’il pouvait pas donner tout son secret, qu’il en gardait comme malgré lui, et qu’il aurait bien voulu qu’on lui dise en quoi qu’il était fait. J’aurais voulu être médecin moi dans ces moments-là, médecin de la tête moi, j’y aurais dit.” ( Si capiva che non poteva rivelare tutto il suo segreto, che lo teneva nascosto suo malgrado, e che avrebbe voluto che qualcuno gli dicesse in cosa consisteva. Avrei voluto essere medico in quei momenti, medico della psiche, gliel’avrei detto) (p. 458).

E Borokrom? Altro grande personaggio céliniano (fa la sua comparsa anche in Bagatelles). In Guignol’s è presentato così: “Moi j’ai connu un vrai archange au déclin de son aventure, encore tout de même assez fringant, même resplendissant dans un sens. J’ai jamais su vraiment son nom. Il avait de trop nombreux papiers. Enfin on l’appelait Borokrom […] Il jouait à ravir du piano“ (Ho conosciuto un vero arcangelo alla fine della sua avventura, ma ancora arzillo, splendente in un certo senso. Non ho mai saputo il suo vero nome. Aveva numerosissimi documenti. Lo chiamavamo Borokrom […] Suonava magnificamente il piano) (p.100).

In Londres: “Mais celui qu’on préférait nous c’était Stephan Borokrom, un ami. On s’occupait pas beaucoup de ce qu’il bavait. On l’attendait seulement. On allait le reconduire un peu vers chez lui.“ ( Ma il nostro preferito era Stephan Borokrom, un amico. Non ascoltavamo molto quel che blaterava. Lo aspettavamo. Lo accompagnavamo un tratto verso casa sua.) (P.79). “Avec Borokrom on ne s’ennuyait jamais une minute. Il savait jouer de l’accordéon et du piano pas mal du tout. Dans sa tôle, au Pleyel, il se donnait des heures entières au-dessus du magasin des gages…“ (Con Borokrom non ci si annoiava un attimo. Sapeva suonare fisarmonica e pianoforte niente male. A casa sua, su un Pleyel, lo faceva per ore sopra il magazzino di pegni…) (p.87).

Un bombarolo, dai mille nomi, mille carte d’identità. In entrambi i romanzi suona il pianoforte per il suo padrone di casa, usuraio in entrambi i casi, Van Claben in Guignol’s, Orbitane in Londres. Borokrom è alloggiato in soffitta, dove ci sono molti strumenti musicali, tra cui il pianoforte, e libri. Sotto, il padrone, con il suo patrimonio di pegni d’ogni genere. In Londres dice: “Je connais peu d’hommes que je méprise autant que lui et il le sait. Tout le port de Londres rempli de merde ne me suffirait pas pour le noyer.” (Conosco poche persone che disprezzo come lui e lui lo sa. Tutto il porto di Londra riempito di merda non mi basterebbe per annegarlo) (p. 81).

In Guignol’s ammazzerà davvero Van Claben, facendolo precipitare a testa in giù, nel tentativo di fargli rigurgitare le monete d’oro che ha ingoiato.

Ma il Borokrom di Londres ha tratti di umanità che lo rendono caro, ci si affeziona. E’ grande e grosso, sempre sporco, spesso ubriaco, affamato insaziabile, ma le sua mani traggono melodie dagli strumenti musicali, siano il pianoforte o la fisarmonica e le sue labbra raccontano fiabe alla piccola Sarah e suonano per lei l’armonica a bocca, ancora e ancora e ancora… la bambina non andrebbe mai a dormire. E quando ruberà la marmellata destinata solo alle bambine, la piccola lo scaccerà di casa, infuriata e delusa. Per poi essere

assalita da una tristezza senza fine, tanto che il padre teme si ammali. E una sera, qualche giorno dopo, chiede a Ferdinand di aprirle la porta che dà sulla strada, quella porta da cui lui era uscito, scacciato da lei, e con una vocina piccola piccola “comme pour appeler dans la nuit un petit chat “(come per chiamare di notte un gattino) lo chiama: “Viens, gros bonhomme, viens! Viens, je t’aime bien, gros bonhomme!…“ (Vieni, buon omone, vieni! Ti voglio bene, buon omone!…) (p. 189-190). Momenti come questo ti fanno invidiare chi dovrà vedersela con la traduzione di Londres.

Incontriamo poi Yorick , un vecchio scozzese che suona il flauto perché la tosse non gli consente più di suonare la cornamusa e con quello guida e accompagna la gente che si perde nella nebbia, dominante come la pioggia sarà in Guignol’s. Anche in Londres piove:

Il pleuvait sur sa figure.

-T’as des cheveux dans le nez.

Elle sentait pas. Elle sentait plus que les choses qu’on ne se disait pas. Elle avait la tremblote.

– Tu peux le dire, qu’il fait froid. Tu peux le dire.

( Le pioveva sulla faccia.

– Hai capelli nel naso.

Non sentiva. Sentiva solo le cose che non ci dicevamo. Tremava.

-Puoi dirlo che fa freddo. Puoi dirlo.)

E’ una scena tra Ferdinand e Angèle. (p. 196)

In Guignol’s piove spessissimo, piove soprattutto nelle scene tra Ferdinand e Virginie, quella ragazzina inglese di cui Ferdinand è innamorato pazzo, unica vera storia d’amore raccontata da Céline.

Tornando alla nebbia e a chi ci perde l’orientamento, qui c’è Yorick, in Guignol’s sarà Nelson, col suo grido ‘Poëp! Poëp!’ a risolvere i problemi. Nelson è anche pittore di strada, ruolo ricoperto in Londres da Aumone.

Non è infine possibile non segnalare il gatto Mioup, con il quale Ferdinand rimane, da solo, alla fine del romanzo.

Quando arrivi a p. 448, la descrizione del gatto, rintanato nel soprabito che Ferdinand ha preso da Purcell, dove si trova come a casa sua, il suo affacciarsi a curiosare, senza miagolare mai quando c’è gente… il paragone con Bébert, l’eroe della trilogia germanica e, bisogna dirlo (Vitoux ci ha scritto su un libro) della vita di Céline, è inevitabile…

Personaggi, dicevamo. E’ la strada più immediata, non occorre nemmeno rileggersi tutto Guignol’s, e gli altri echi sono così profondi che solo il puntiglio spinge a controllare.

C’è invece un altro itinerario possibile, se leggiamo e rileggiamo Londres ed è quello dello stile, della forma, della lingua, del linguaggio. E’ una prima stesura, certo. Rivista la prima parte? Le altre due no? Non è molto importante dato che una versione definitiva non c’è, e non potrà mai esserci… Però bisogna fare attenzione a piccole cose. Alle y. Anche in Guerre, non appena possibile, sostituiscono le i: “ Le poète a bien du mal. Autrefois comme icy. “ (p.247) All’intercalare di ‘Bien.’ e ‘Bon.’ Ho segnato solo alcuni: Bien: p. 59, 160, 287, 297, 385, 393, 447, 449, 456, 460, 466, 470, 477, 483, 488, 491, 504. Bon: p. 376, 403, 449. Battute d’arresto? Un cambiar discorso? Bisognerebbe vederli tutti e farci un ragionamento. Sono come i tre puntini? Da dove ha tirato fuori Céline quell’idea? Ha cominciato in Mort à crédit, cui sta lavorando proprio mentre scrive Londres.

Poi, il suono delle parole, per esempio in fondo a p. 218: “Aumone, qu’est un artiste et qu’a pas eu de veine non plus, et puis Rodriguez qui lui parle, qu’a eu plus de déveine encore” [sottolineature ovviamente mie]

La ricerca del linguaggio, p.270-271: Pétoche, frayeur, trouille, pétouille: quattro termini diversi per indicare la paura di Yugenbitz.

Infine, la dichiarazione di poetica, che Céline manterrà per tutta la vita (vedi le ultime interviste) “l’atroce qui rend l’avenir encore plus aride et coupant que le couperet dans l’aube, c’est qu’on aura pas trouvé les deux, la forme et le fond, pour donner aux autres la chanson, pour leur rendre avant qu’on crève soi toute cette infection et cette bouze toute divine et bien aimable, le si tendre, le chaud, jusqu’au coeur même et plus près encore du pire moment des choses. Puisque c’est là qu’il est et que j’en ai toujours été bien sûr que l’endroit là est tout musique, et tout je t’aime et tout chansons. C’est l’absolu quoi, si tout près de la misère et si loin des choses de plaisir, je le sais bien.” (l’atroce che rende il futuro ancora più freddo e tagliente della lama della ghigliottina all’alba è che non avremo trovato le due cose, forma e contenuto, per dare agli altri la canzone, per restituire loro prima di crepare tutto questo fetore e questo sterco così divino e gradevole, la tenerezza, il calore fin dentro al cuore e più vicino ancora al momento peggiore delle cose. Perché è lì che si trova e ne son stato sempre sicuro che quello è il luogo tutto musica, tutto ti amo e canzoni. E’ l’assoluto, vicino molto vicino alla miseria e lontano dai piaceri, io lo so bene) (p.526-527).

Nel 1959, in un’intervista di Louis Pauwels e André Brissaud, Céline dichiarerà che la prigione è un luogo nobile, perché là dentro l’uomo soffre, la fiera di Neully è un luogo volgare, perché la gente ci si diverte…

Quando, alla fine, ripensiamo a tutto quello che abbiamo letto e riletto, ci vengono in mente alcuni particolari, per esempio le grosse dita di Borokrom, così abili a suonare il pianoforte e l’organo (vedi ad esempio le p. 87 e 89) e che nel finale infila nelle mutandine delle ragazzine che escono da scuola… che non avevano idea… “Ça durait pas une minute. Elles s’envolaient vite, c’est le cas de le dire, bondissaient vers le jour d’un trait comme un oiseau qui remonte au ciel. On le revoyait plus jamais. Il me faisait sentir ses doigts“ (La faccenda durava neanche un minuto. Volavano via subito, è il caso di dirlo, balzavano verso il giorno di colpo come un uccello che sale al cielo. Non le rivedevamo mai più. Lui mi faceva sentire l’odore delle dita) (p. 523). Sublime Céline. Alla fine i sopravvissuti: Ferdinand, Borokrom, Yugenbitz, Rodriguez, i gatto Mioup vanno incerti verso un destino incerto, senza speranza. Ferdinand pensa anche al suicidio… Forse l’unico personaggio del romanzo che possiamo immaginare meno infelice è la Joconde, la puttana tisica che ha deciso di tenersi il bambino, dopo un tentativo di aborto che è grande pagina di letteratura (p.338-340) ed è andata a Rennes… Pensiamo a questo romanzo mai scritto davvero e vorremmo metterci a studiarlo. Céline sta lavorando contemporaneamente a Mort à crédit, il romanzo veramente ‘nuovo’. Cosa ha trovato, mentre butta giù Londres, che gli servirà per l’altro? Forse è questo che si poterebbe cercare di capire, invece di fare il confronto con Guignol’s. Ma noi siamo solo semplici lettori. Meglio non porci mete troppo ambiziose. Ci chiediamo ancora una volta dov’è finito Henri Godard.


Nota

I rinvii ai romanzi portano l’impaginazione dell’edizione Gallimard nella Pléiade.

L’intervista di Louis Pauwels e André Brissaud si può vedere su you tube o arrivarci attraverso il sito Le petit célinien.

Anche Londres uscirà per Adelphi, nella traduzione di Ottavio Fatica

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Pubblicato da retroguardia

Docente e critico letterario. Dirige la rivista di critica letteraria "RETROGUARDIA". Si è occupato in particolare della narrativa di Guido Morselli e Gesualdo Bufalino. Altri interessi di ricerca riguardano anche la poesia contemporanea, la teoria della letteratura, il romanzo fantastico e comico, la metrica italiana. Suoi interventi critici sono apparsi in rete (Musicaos.it, Retroguardia, La poesia e lo spirito, ecc) e su alcune riviste di letteratura (Tabula rasa, Narrazioni, ecc). Socio fondatore dell’associazione culturale e membro del comitato di lettura di vibrisselibri, redattore de “La poesia e lo spirito” dal 2007.