LEGACCETTI (Recensioni come ricordi): Carlo A. Madrignani, Verità e narrazioni. Per una storia materiale del romanzo in Italia

Carlo A. Madrignani, Verità e narrazioni. Per una storia materiale del romanzo in Italia, a cura di Alessio Giannanti, Giuseppe Lo Castro, Antonio Resta, Pisa, ETS («La Modernità letteraria», 71), 2020, pp. XXVI, 468

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di Luciano Curreri* (ULIEGE, Belgique)

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Questo legaccetto è più lungo ed è pure un po’ diverso, forse. Forse ci sono un po’ più «io» ma non mi pare che ci sia ragione di vergognarsene, specie alla mia età e in un astratto contesto che vuole scrivere il racconto della tua vita al posto tuo e ‘pulirla’, perché diventi spendibile, visibile, perché possa tradursi tutta in slogan altrui (altruisti mai e giammai) e in curricula leggibili, traducibili.

Bref, rivendico qui quel racconto che spetta a me e a tante altre persone: il racconto di chi non vive bene soltanto in un hortus conclusus accademico o in cordate di progetti europei. Se poi penso, una volta di più, alla recensione come a un ricordo, e quindi anche come a un racconto-saggio che ha il desiderio mai dismesso di partire dalla vita vera, e non solo da un libro – anche se di grande libro si tratta: Carlo A. Madrignani, Verità e narrazioni. Per una storia materiale del romanzo in Italia, a cura di Alessio Giannanti, Giuseppe Lo Castro, Antonio Resta, Pisa, ETS («La Modernità letteraria», 71), 2020, pp. XXVI, 468 –, devo dirVi che sono ancora più convinto di poter tentare qui una recensione diversa da quella che feci alla prima raccolta saggistica postuma di Carlo A. Madrignani – Verità e visioni. Poesia, pittura, cinema, politica, a cura di Alessio Giannanti e Giuseppe Lo Castro, con uno scritto di Antonio Resta, Pisa, Ets («La Modernità letteraria», 39), 2013, pp. 200 – e che finì su «Filologia e critica», III, 2013, pp. 477-478, per i buoni uffici di Claudio Gigante.

Lo chiamavo dopo le dieci di mattina, perché, mi disse, era «uno che usciva dalla doccia alle dieci». E io ho sempre rispettato l’intimità degli altri, encore que… Fu uno dei pochi che rispose a una mia ‘birichina’ cartolina del 1991. Quest’ultima iniziava male e finiva peggio: «Tu che sei del Trentasei […]». Non dirò chi non rispose a simili appelli. Dirò che risposero solamente Carlo Alberto Madrignani e Vittorio Roda. Punto. Gli unici, fuori della mia Torino, che mi dissero di andarli a trovare, di portare la tesi, quel che avevo – avevo scritto – all’epoca. Da Torino mi fiondai a Bologna e a Pisa, con la mia compagna (che per me era già mia moglie; e per Lei pure, per fortuna, io ero già suo marito). Alla stazione di Bologna finimmo per incontrarci sovente, con Roda, che saliva a piedi da via delle Lame, e a quella di Pisa con Madrignani, che ci arrivava in bici e che finì per chiamarmi «Currers», forse perché ottenevo improbabili lingue straniere aggiungendo una esse, forse intuendo un destino di corsa altrove, in Spagna o in una qualche terra francofona: «il est propre de M. Curerì courir». Al che io presi a chiamarlo «Grande Madrignans» e Lui, sornione: «è giusto». Quel «Grande», che si sentiva maiuscolo di rispetto e stima, introduceva e sfumava l’ennesima ‘birichinata’ del sottoscritto, che oggi, in seno all’affetto custodito e maturato da immutati rispetto e stima, conserva alcune lettere dei migliori anni della nostra vita, fra cui due relative a un mio saggio-fiume (da giovane che scrive come se si trattasse sempre dell’ultima cosa potenzialmente assennatta e pubblicabile, un po’ prima della fine, della défaite) sul Forse dannunziano e la ‘sua’ Leila fogazzariana. Già, L’ultima fiamma di Madrignani è un capolavoro di ‘analisi’ che risale all’inizio degli anni Ottanta, come introduzione alla ristampa del romanzo negli «Oscar» Mondadori (pp. V-XVIII), e che dice ancora oggi quanto Madrignani – che non fu un Gioanola, un Lavagetto o un Orlando – seppe servirsi della ‘psicanalisi’ per sfumare gli apporti più ideologici e banalizzanti di tanti critici (almeno da Salinari in su, per cui cfr. le pp. 196-207, quasi al centro del volume, con azzeccatissima scelta; p. 200 in particolare); e non a caso «cercando, forse ottimisticamente, alleanze materialistiche perfino nella psicanalisi», come già suggeriva cinque anni prima, in un pezzo fondante (nella prima sezione del volume, et pour cause, alle pp. 12-24; citazione da p. 23) apparso su «Belfagor» (settembre 1975, pp. 505-516), intitolato Filologia e/o psicanalisi e dedicato a Sebastiano Timpanaro, Il lapsus freudiano. Psicanalisi e critica testuale (Firenze, La Nuova Italia, 1974; ma cfr. oggi la nuova edizione a cura di Fabio Stock, Torino, Bollati Boringhieri, 2002).

In quei primi anni Novanta, incerti ma straordinari per quasi rinata formazione post-laurea e pre-dottorale, tra servizio civile, esperienza giornalistica radiofonica e primi articoli su riviste, il supporto umano e intellettuale di Madrignani, insieme a quello di Roda e di Guido Baldi (già professore-maestro al Liceo che mi invitò a fare qualcosa nella prima edizione del suo famoso manuale), dell’Anna Dolfi e di Dario Cecchetti, di Jacques Dubois e Pierpaolo Fornaro, fu cosa rara e raramente plurale. E così finii per imparare qualcosa da tutti e non imitare nessuno in particolare, che poi è la cosa migliore che possa capitare a un giovane che non sgomitava, non faceva il questuante ma si ostinava a voler scrivere di letteratura, fare critica e narrare, buttar giù saggi e racconti.

Leggere racconti e romanzi, saggi e studi, lo si faceva non appena si poteva (un po’ meno poesia, è vero e mi dispiace, e più cinema che teatro). Ma per vivere (nel senso di ‘mantenersi’) si faceva altro (pur tentando sempre un letterario ‘addomesticamento’ della realtà): si caricavano e scaricavano bancali di libri col muletto nelle prime grandes surfaces dalle 6h00 alle 10h00 e si insegnava anche alle medie e alle superiori e ci si muoveva parecchio, trent’anni fa, proprio come oggi, in una girandola di istituti di cui fatico a ricordarmi il nome. E tuttavia una battuta scambiata con Madrignani, che rise come un matto, chiamandomi per la prima volta «Grande Currers», me ne fa tornare in mente uno: «Ti rendi conto, Grande Madrignans, che io insegno al “Baldracco” e pubblicherò un articolo su “La battana”». Rispose poco dopo, con sporgenti occhi lucidi sotto gli occhiali: «E allora? Tout se tient, Grande Currers, questi sono i tuoi anni migliori. Anche se fai finta di non saperlo, sei libero, sei felice… e hai pure una bella compagna». Se ricordo bene, feci finta di tirargli un cazzotto da film sulla spalla, mentre Lui si schermiva.

Ecco, tutto questo resta! Soltanto una «reminiscenza» che lo snob di turno accompagna con «un risolino di stupore»? E perché no? Si è talmente distratti da quanto di noi finisce in crediti, fasce, punti, punteggi, tabelle, cioè da un sistema che non ritrova un dettaglio del sapiens a pagarlo oro, che l’unica è metterci la faccia per davvero (magari brutta, magari pure fisiognomicamente paranoica, ma almeno non quella di un androide). Non per esibizione ma per ritrovare e ridare un senso – un nocciolo di verità? – a ciò che facciamo con la letteratura, con le sue narrazioni in specie. Non dimentichi del pudore, sappiamo quanto questo costi caro e, in certi ambienti in particolare, impedisca verità e narrazioni.

Ecco, grazie alla cura di Alessio Giannanti, Giuseppe Lo Castro e Antonio Resta e alle loro tante indicazioni nelle belle pagine introduttive (pp. VII-XXI), tutto questo io ritrovo anche nel postumo Verità e narrazioni (2020) di Madrignani. E lo ritrovo a partire, per esempio, dalla ‘rivelazione’ che, a inizio anni Novanta, ancora e per l’appunto, fu per me la lettura di «…prima della parola e della memoria…», ovvero dell’introduzione – significativamente un’altra introduzione – a Mario Pratesi, Da fanciullo. Memorie del mio amico Tristano, a cura di Carlo A. Madrignani e Giancarlo Bertoncini, Pisa, ETS, 1991, pp. 7-21 (nel volume sopra citato, cui provo ad avvicinarmi sempre tra racconto e saggio, è alle pp. 281-289). Sono pagine dense, da leggere insieme a un altro pezzo fondante raccolto con acume nella prima sezione di Verità e narrazioni: La grandezza dei minori in Gaetano Carlo Chelli, Giornate di studio, Massa 17-18 ottobre 2004 (Massa, Accademia dei Rinnovati, 2007, pp. 189-196): sono pagine pubblicate in tre lustri di aperta e curiosa coerenza che hanno origine circa quaranta anni prima nel famoso volume dedicato a Capuana e il naturalismo, edito da Laterza nel 1970.

Per quell’Otto-Novecento narrativo che ho amato e amo ancora tanto (e poi anche per il Settecento di All’origine del romanzo in Italia. Il «celebre» Abate Chiari, per I tipi di Liguori nel 2000, ma con la complicità di Marco Cerruti, e pure di quel Cerruti che del Settecento s’era fatto un grimaldello per entrare in certo Otto-Novecento, come in molte, belle pagine di Notizie di utopia, del 1985), il grande Madrignani è il primo che mi ha detto chiaramente che «i cosidetti minori [autori e testi] sono il sale della terra» perché «senza di loro non si capiscono gli orientamenti e i bisogni del pubblico, né si valorizzano il gusto e le motivazioni di letterati più attenti e acuti a livello di gusto di quanto si sia soliti credere […] D’altra parte anche i capolavori nascono da un humus di solidarietà o di ostilità in cui gli stimoli di nuove forme di espressione si presentano spesso appena abbozzate. Non ha senso studiare la letteratura del secondo Ottocento, puntando tutto l’interesse, che so, su D’Annunzio; lo storico letterario è un archeologo più o meno fortunato; ricostruisce un paesaggio partendo anche da reperti modesti e facendo opera di valutazione e di connessione arriva a tirare fuori piccoli tesori o testimonianze significative […] Eppure questo tipo di accertamento [contestuale] è stato fatto solo in parte, credo per il sacro orrore di cadere nella linearità sociologica o nell’egemonia antropologica. Evitando il predominio, ma non gli stimoli, di tali discipline si arriva a cogliere la ricchezza e la varietà di questo patrimonio [contestuale e «non soggettivo, né arbitrario»]» (p. 49).

Quel poco che di d’Annunzio (e di Fogazzaro, Chelli, Oriani..) son riuscito a dire di nuovo e pertinente (anche se non ‘vincente’), in due, tre volumi, deriva anche da queste indicazioni, che non vogliono dire che a d’Annunzio si deve rinunciare. Puoi pure credere, come io credo, che i migliori contesti siano quasi sempre figli di un testo minore (https://orbi.uliege.be/handle/2268/173165), cioè che un certo lavoro delle colonie sia più importante e fecondo di quello del canone-impero, ma d’Annunzio non lo butti mica via: ci ‘giochi’ altrimenti.

Con Baldi, poi, negli stessi anni, ho sempre pensato che uno studioso (anche solo per provare a essere tale, cioè per assomigliare a un lettore audace e generoso) doveva confrontarsi (quasi come in un’iniziazione) con grandi scrittori (e grandi bibliografie). Il rischio è stato sempre quello di lasciarsi travolgere da una testualità-personalità che fa ombra (oltre che dalla grande bibliografia).

Ed è qui che interviene a mettere le cose ‘apposto’ il discorso di Madrignani. L’accertamento del contesto, per quanto possa apparire arduo e/o dispersivo, va perseguito contro l’altrui «sacro orrore di cadere nella linearità sociologica o nell’egemonia antropologica». Di più. Il Nostro mette tra parentesi i due sostantivi che hanno fatto più male che bene – in campo critico-letterario (e non solo) – e invita i suoi lettori ad apprezzare gli «stimoli» delle due «discipline», per cogliere vera «ricchezza» e «varietà» del «patrimonio» narrativo, culturale. Da qui la sua idea di collaborare a o di creare decisamente collane che ospitassero testualità in tal senso, ovvero in vista di quel vasto accertamento che la grande editoria degli anni Novanta cominciava già a ‘schifiltare’, riproducendo ormai quasi coattamente più o meno quello che la generazione di Madrignani (o di uno Spinazzola, del 1930) aveva ritrovato come patrimonio, certe volte in seno a una scelta condivisa (Federico De Roberto), certe volte altra (Emilio De Marchi per Spinazzola; Luigi Capuana per Madrignani). Non si trattava certo di nostalgici e cinici ‘bari’, né di ‘canonizzatori’ lieti, né di lettori che si fermavano alle «Cento pagine» einaudiane di Calvino o alla «Biblioteca dell’Ottocento italiano» diretta per la Cappelli da Mariani, che peraltro non erano affatto banali, come è noto (le riproposte, ché le cure non erano tutte alla stessa altezza e Madrignani, come altri, se ne accorge e lo scrive anche, a proposito del suo amatissimo Manoscritto di un prigioniero di Carlo Bini, per cui cfr. p. 99).

Tra ETS e Sellerio, tra Liguori e Illisso, Manni e Quodlibet e Rubettino, Madrignani cercherà fino all’ultimo di dare nuova vita a quel ricco e variegato patrimonio otto-novecentesco, affidandosi a introduzioni, talora a più semplici note, tutte non lunghe ma densissime, tutte avvertite nel proporre il testo e il contesto che il primo concorreva a ri-creare come «patrimonio» di un collettivo mai dato per disperso o finanche per morto e sepolto (ne trovate diverse, nel ricco volume, alle pp. 53-60, 87-98, 99-105, 227-240, 243-253, 254-257, 258-263, 272-280, 281-289, 377-391, 392-394, 444-447, 448-455, e si passa da Chiari a Guerrazzi e a Bini, da Collodi a Pratesi, da De Amicis a Scarfoglio, da Dessì a Calabrò e a Riccarelli).

Solo testi? No. Sono testi intesi – lo stimolo è anche antropologico e sociologico ma non lineare né egemonico – come uomini, come memorie, come identità da ri-accogliere in casa, in biblioteca, in aula attraverso – come recitava l’aletta di prima di copertina della collana ETS «Piccola Miscellanea» fondata e diretta da Madrignani – «il piacere della scoperta, della rivisitazione, dell’incontro inusitato e stimolante […] all’insegna di un sapere illuministicamente non-sistematico né unidirezionale [che] vuol stimolare i distratti lettori a ripensare, e gustare, disparati e trascurati suggerimenti di cultura e di arte».

Quando fondai «le drizze» da Nerosubianco a fine 2008, riuscendo a proporre una trentina di titoli in una dozzina d’anni (fino ad oggi, sostanzialmente, anche se la pandemia ci ha tolto quasi un anno e mezzo di vita e di attività concreta: https://www.nerosubianco-cn.com/it/collane/le-drizze), pensai molto a quanto mi aveva detto Madrignani per telefono. Certo, feci di testa mia ma lo scavo e il patrimonio, il coraggio di osare erano anche i Suoi, forse pure amplificati. Del resto, come non ho mai voluto imbrigliare in una definizione amici e colleghi (come hanno saputo fare altri e più maturi compagni di viaggio, e penso a quel Gianni Turchetta che rifiuta l’etichetta di «sociologo» per Spinazzola), non ho mai voluto imbrigliarmi e, tutto appiattito, riconoscermi nel percorso di un solo «maestro», che riconosco peraltro nella non-ripetizione. Insomma, una certa amplificazione distorta ma anche un’opposizione non velata dicono e portano molto più rispetto e stima di un’aderenza modesta al dettato del critico cui sei e resti vicino. Ma un buon ‘basso continuo’ si sente ed è fecondo anche quando stride (discorda ma riaccorda, diversificandosi e non snaturandosi); anche quando il ‘giocare’ col récit antiquisant delle Vergini delle rocce dannunziane ti spinge a divertirti di più col peplum fin de siècle che con la logica binaria nutrita dall’egemonica ideologia, tutta intenta a far la spola tra superuomo e inetto.


*Luciano Curreri (Torino 1966), ordinario di Lingua e letteratura italiana all’Université de Liège dal 2008, fa parte della redazione di «Retroguardia 3.0» ed è attivo soprattutto come saggista e narratore. Recentissimi due esperimenti sostanzialmente impuri ed ibridi: Il non memorabile verdetto dell’ingratitudine. Seguito dai «Sei pensieri grati e gratis», InSchibboleth («Margini», 6), Roma 2021, e Tutto quello che non avreste mai voluto leggere – o rileggere – sul fotoromanzo. Una passeggiata, con Michel Delville e Giuseppe Palumbo, Comma 22, Bologna 2021. In seno al 150° anniversario della Commune de Paris, da ricordare infine e almeno il birichino e fortunato La Comune di Parigi e l’Europa della Comunità? Briciole di immagini e di idee per un ritorno della Commune de Paris (1871), Quodlibet («Elements», 20), Macerata 2019.

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Docente e critico letterario. Dirige la rivista di critica letteraria "RETROGUARDIA". Si è occupato in particolare della narrativa di Guido Morselli e Gesualdo Bufalino. Altri interessi di ricerca riguardano anche la poesia contemporanea, la teoria della letteratura, il romanzo fantastico e comico, la metrica italiana. Suoi interventi critici sono apparsi in rete (Musicaos.it, Retroguardia, La poesia e lo spirito, ecc) e su alcune riviste di letteratura (Tabula rasa, Narrazioni, ecc). Socio fondatore dell’associazione culturale e membro del comitato di lettura di vibrisselibri, redattore de “La poesia e lo spirito” dal 2007.