«Il pirata! Giammai!»: parola di negriero. Una causerie sull’universo piratesco salgariano a partire da “Gli scorridori del mare” (1900)

Clicca sull’immagine per ingrandire

L’intervento seguente è stato presentato agli Amici e Colleghi del panel 4/ «Pirati» e del gruppo di ricerca internazionale e interuniversitario animatore del Seminario «Altri briganti»*, il 18 gennaio 2022, in seno a una mezza giornata di studi on line di cui trovate qui sotto, dopo il mio articolo, il programma della stessa e del ciclo nel quale s’inseriva, insieme alle università e ai centri interuniversitari che sono alla base di questa bella iniziativa corale, collettiva, che dovrebbe poi finalizzarsi ulteriormente in un convegno, dal vivo, in quel di Bari, nel corso di un 2022 che tutti speriamo diverso e maggiormente frequentabile e percorribile in tutti i sensi.

Per rendere la mia causerie più leggibile si è prodotta una sola nota (il testo spiega il perché) e si sono ridotti al minimo i rinvii bibliografici, inseriti nel discorso stesso. Detto questo, mi permetto di rinviare fin d’ora alla densa Postilla bibliografica, che esplicita e completa i rinvii bibliografici del mio saggio introduttivo, I cannóni del cànone salgariano, a Emilio Salgari, Il ciclo del Corsaro Nero. Il Corsaro Nero, La Regina dei Caraibi, Jolanda, la figlia del Corsaro Nero, Introduzione di Luciano Curreri, Einaudi («ET Biblioteca», 56), Torino 2011, pp. XXIII-XXVIII.

Una bozza di questo intervento è stata caricata su ORBI per una decina di giorni, a partire dal 14 gennaio 2022, in accesso ristretto, cioè a disposizione dei colleghi dell’ULIEGE e, a richiesta, per tutti i colleghi e amici interessati, del Seminario e non, per un centinaio di visite tra visualizzazioni e telescaricamenti (e ringrazio in particolare, per il feedback, Gianluca Albergoni, Alex Bardascino, Alberto Maria Banti, Willy Burguet, Fabio Danelon, Lea Durante, Roberto Fioraso, Vittorio Frigerio, Gian Luca Fruci, Claudio Gallo, Stefano Jossa, Andrea Montanino, Fabrizio Scrivano, Gianni Turchetta, Michele Ziviani).

L. Curreri (Aywaille, Belgium, 24 gennaio 2022).


«Il pirata! Giammai!»: parola di negriero.

Una causerie sull’universo piratesco salgariano a partire da Gli scorridori del mare (1900).

di Luciano Curreri (ULiège, TRAVERSES, CIPA, Belgique)**

Permettetemi, innanzi tutto, di ringraziare Gianluca Albergoni e Gian Luca Fruci, per avermi invitato a ripensare una parte importante dell’immaginario salgariano. Talmente importante che all’inizio avevo concepito una causerie troppo vasta e, in fin dei conti, non troppo utile. Un malinteso circa il tempo di parola mi aveva condotto a sognare, a ‘inventare’ innanzi tutto, un problematico regesto di ammutinati, anticonformisti, artisti, banditi, comunardi, deportati, nichilisti, patrioti, pirati, ribelli1. E il trovarmi di fronte a queste legioni, peraltro declinabili pure al femminile, in buona parte quanto meno, mi ha spinto a cercare una specie di minimo comun denominatore avant la lettre nell’homme révolté; bref, penso a un’umanità maschile e femminile a un tempo con cui arriviamo a superare la prima metà del Novecento, visto che il saggio di Albert Camus (1913-1960) esce nel 1951, se non ricordo male.

La rivolta come diritto dell’umanità, come risorsa del suo agire, la rivolta che tanto mi seduceva e seduce, non ha mai distolto la mia forse ingenua curiosità dall’incipit camusiano, potenzialmente foriero di una certa ‘incoerenza’, quanto meno nella percezione che ne avevo da giovane: «Qu’est-ce qu’un homme révolté? Un homme qui dit non. Mais s’il refuse, il ne renonce pas : c’est aussi un homme qui dit oui, dès son premier mouvement». Certo, capivo l’aspetto nobile, alto, di quel «no» che era anche un «sì». E tuttavia temevo – e temo ancora oggi – la potenziale e ‘positiva’ deriva di quel «no», come ‘movimento’ che è un po’ ‘calcolato’, forse anche un po’ troppo ‘calcolato’: insomma un movimento che era ed è ancora tipico di un certo porsi – disporsi – di un’umanità che dice «no» a una deriva del sistema ma consente a una brutta piega dello stesso.

Insomma, ho finito per passare dal regesto, qui confinato in nota, a fine documento, alla causerie e forse a una sorta di potenziale, incipitario, ‘decostruttivo’ pamphlet

Il capitano Solilach – protagonista della prima parte di Gli scorridori del mare, pubblicato da Emilio Salgari per l’editore Donath di Genova con lo pseudonimo Romero nel 1900 – di fronte alle insistenze del suo secondo, Parry, che lo invita a convertirsi in pirata, finisce per replicare e quasi per ‘cantare’ a un tempo, con postura post-romantica e melodrammatica: «Il pirata! Giammai!» (p. 94: il rinvio è all’edizione integrale di Emilio Salgari, Gli scorridori del mare, Vallardi [ma stampa Garzanti], Milano 1973; il mitico Vittorio Sarti, Nuova Bibliografia Salgariana, Pignatone, Torino 1994, p. 68, scheda n. 34, indica in Vallardi la ripresa più conseguente e significativa del testo pubblicato da Donath, citando quattro edizioni Vallardi tra il 1922 e il 1949).

Ora, Solilach è un negrerio nell’estate del 1832, cioè è ancora un negrerio che si dice «uno all’ultimo (viaggio)» quando anche la Francia, proprio a inizio anni Trenta, finisce per dichiararsi contro la tratta, dopo quanto era stato fatto soprattutto, fin dal 1807-08, da quell’Inghilterra sempre smaniosa di avere la mainmise sugli Oceani per sé e il suo impero, anche se a partire, in questo frangente, da una causa giusta, che tuttavia non aboliva la schiavitù ma solo la tratta dei neri.

Ecco, «Il pirata! Giammai!», che è parola di negriero, è la mia piccola entrée en matière, cioè è il dettaglio che penso possa far sistema, con un «no» eticamente forte (i pirati sono assassini, ladroni… lo si dice più volte, nel testo) che è seguito da un «sì» economicamente positivo, rentable, figlio del secolo XIX: un «sì» che quindi è l’accettazione di un destino altro ma non alto, né nobile, cui il capitano Solilach si presta alternando un’autorità secca a un suo codice d’onore cha fa un po’ acqua da tutte le parti, a guardar bene. Il capitano, in effetti, non ha in simpatia il suo secondo ma è grazie alle spedizioni militaresche di quest’ultimo in terra africana se riesce a imbarcare centinaia di schiavi in più… Solilach, a tratti, sembra un ragioniere e fa conti su conti di quanto guadagnerà con quel carico di merce umana, cui peraltro, in un’occasione almeno, fa patire la sete di brutto, al di là di quanto si potesse già patire all’epoca, in assoluto, stipati nella parte più malsana della pancia di una nave, legati come salami, l’uno attaccato all’altro, con poca aria e poca luce. E poi discute con i compratori cubani il prezzo di uomini, donne e bambini e tira pure sul prezzo. L’alibi morale arriva praticamente a cose fatte ed è tutto in quel tentativo di «lasciare uniti mariti e mogli, genitori e figli» (p. 82) che però non risponde propriamente a una fase della trattativa, della transazione. Sappiamo che Solilach, nel disporre gli schiavi per la vendita, «con una delicatezza assolutamente sconosciuta fra i negrieri» (ivi), cerca di rendere evidente ai due compratori che meglio sarebbe non dividere le famiglie degli schiavi, ma poi tratta il prezzo di uomini, donne e bambini, in base alle esigenze degli stessi compratori cubani che – Solilach lo sa – cercano solo robustezza, al limite bellezza, e la giusta età, negli schiavi. Anche l’alibi morale è accettato dagli stizziti compratori perché torna «a loro vantaggio» (p. 88). Sembra quasi che Salgari – che pure aveva già affrontato il tema della tratta, solo qualche anno prima, via una trama peraltro assai simile, in I drammi della schiavitù, uscito per i tipi di Enrico Voghera, di Roma, nel 1896 – sia a disagio e dia un colpo al cerchio e l’altro alla botte, negando quasi l’oggettività del mercato di cui è responsabile il negriero attraverso la battuta sprezzante di uno dei due compratori, che però assomiglia un po’ a una sorta di ‘verità rivelata’: «In verità, capitano, non eravate nato per esercitare la tratta» (ivi). Che bravo, questo negriero, che rivolge una «preghiera» (ivi) ai compratori di schiavi e sogna la pensione in seno a un sempre ultimo o penultimo viaggio e forse immagina pure schiavi felici perché venduti congiuntamente alle famiglie!

Perché questo battere incoerente sul capitano Solilach? Per dare, per l’appunto, un valore alla sua parola, quella di un buon negriero (ma non pentito), quando dice: «Il pirata! Giammai!».

Mi consentite di esagerare? Solilach è di una noia mortale ed è quasi sempre fuori dell’azione. Fa i conti, organizza i trasporti… Posso esagerare ancora di più? Solilach è «la banalità del male». Ma paradossalmente deve incarnare il polo ‘positivo’ di una storia di pirati, che sono il polo negativo nutrito dai soliti marinai ammutinati che in pirati, per l’appunto, si trasformano, continuando a fare quel che, di fatto, facevano già prima come negrieri, cioè ladrare, vendere il maltolto e uccidere alla bisogna (e non solo).

Certo, Solilach libera l’erculeo capo della tribù nera resa schiava da Parry, ma lo libera perché in esso si specchia, come capo-capitano, come portatore di una dignità e di una robustezza senza pari fra i suoi fratelli neri. Bonga, questo il nome del ‘superuomo’ di colore, che sembra il revenant di Niombo, il gigantesco nero liberato dal capitano Alvaez – questo sì pentito – nei citati I drammi della schiavitù, non può non far venire in mente il nome (e il progetto, che si realizza per Niombo, di tornare alle spiagge amiche) del nero Babo nel Benito Cereno, racconto lungo di Herman Melville (1819-1891), edito nel 1855 in rivista e nel 1856 in raccolta; racconto in cui si esalta anche «l’apparizione di un grande re negro prigioniero, Atufal» e in cui anche il negrerio Benito è, di fatto, nobilitato (Beniamino Placido, Le due schiavitù. Per un’analisi dell’immaginazione americana, Einaudi, Torino 1975 e 1978, p. 61). – Certo, pensare al Benito Cereno di Melville (la cui vera fortuna, critica e di pubblico, comincia di nuovo, dopo gli inizi fortunati in vita e l’indifferenza che colpisce i capolavori della maturità, a metà degli anni Venti del Novecento), è forse un po’ azzardato e più semplicemente, per la miscela che fa di negrieri e pirati, bisognerebbe evocare il romanzo breve di Eugène Sue, Kernok le pirate (1830), o il più ‘centrato’ e articolato Edouard Corbière, Le Négrier (1832 e 1834): il primo si può leggere, oggi, ch’io sappia, nel francese in cui è stato scritto, sia in un’edizione Marabout, Verviers 1978, in seno a una lungimirante collana diretta da Hubert Juin, sia in Eugène Sue, Romans de mort et d’aventures, édition établie par Francis Lacassin, Laffont («Bouquins»), Paris 1993, pp. 1-55; il secondo, invece, nella bella antologia Pirates et gentilshommes de fortune, présenté par Dominique Le Brun, Omnibus, Paris 2011, pp. 7-277.

Ben diverso è Parry, il secondo che è a capo dell’ammutinamento e si libera del capitano che, fino all’ultimo, non fa che andare avanti e indietro sul ponte della nave senza prendere provvedimenti per spegnere quella rivolta che è nell’aria quasi quanto il tabacco fumato dalla ciurma. Insomma, Parry sarà anche il ‘cattivo’ ma come pirata ‘accetta’ Bonga. Non gli garba fin da quando lo cattura, lo tiene d’occhio, intuisce che Bonga sarà la sua ‘nemesi’ ma non è più un negriero e si guarda da Bonga un po’ come si guarda da tutto l’equipaggio e, in particolare, da Banes, un brasiliano che stimava Solilach e che vuole vendicarlo alla prima occasione, insieme a Bonga, per l’appunto, con cui organizza qualche scherzo ai pirati, come quell’apparizione fantasmatica che non risponde certo alla disseminata «tonalità dell’incubo» di Melville (ivi, p. 62) ma ha una sua efficacia.

Detto questo, in quanto ‘pirati’, gli africani, i brasiliani, gli europei stanno insieme e il lato ‘razzista’ del ‘cattivo’ sfuma in seno alla fratellanza e all’utopia di un isolotto perso nel Pacifico che, in piccolo, fa pensare a Libertalia. Parry, sbagliandosi peraltro, dà anche fiducia a una tribù di indigeni incrociata in una delle classiche soste in cui i pirati cercano di riparare i danni procurati alla nave dalla solita battaglia. Sembra quasi un Olivier Masson attaccato dai Malgasci di Madagascar.

Se leggiamo in tal senso la seconda parte di Gli scorridori del mare, possiamo notare – magari insieme allo scontento Banes – che Parry sa comandare e condurre una nave, sa andare all’attacco e sa uscire dai pasticci, quando è inseguito, e con delle mosse non banali. Di più: sa ovviare a un tradimento eclatante, perché sa reagire rapidamente ed essere duro, ‘cattivo’, ma sa fare festa, sa costruire una comunità. E se alla fine, per forza di cose, deve perdere tutto e saltare in aria con i suoi più o meno fedeli pirati e il suo isolotto-microcosmo, non se ne va all’inferno prima di avere ucciso Bonga, in seno a un regolamenti di conti vecchi e nuovi ma soprattutto per il brutto tiro concepito e condotto a termine dal grande re africano per vendicare chi aveva detto: «Il pirata! Giammai!».

Facciamoci una domanda, allora. Come si faceva a intitolare ai ‘pirati’ un romanzo che dei ‘pirati’ non voleva saperne, pur dedicando loro la sua seconda parte, in seno a un equilibrio non banale? In effetti, Gli scorridori del mare è un romanzo che è diviso in due parti quasi uguali: la prima, che mette in scena la vita dei negrieri e degli schiavi, e la seconda, che fa dei negrieri e del nero capo tribù degli schiavi una banda di pirati, volenti o nolenti che siano. Peraltro, un solo precedente volume, del 1896, titola, ch’io sappia, ai pirati, ed è il famoso I Pirati della Malesia, che unisce le avventure narrate in due precedenti romanzi, cioè I misteri della Jungla nera (in volume nel 1895, ma la pubblicazione duplice in rivista risale al 1887 e al 1893-1894) e Le Tigri di Mompracem (in volume nel 1900, ma la triplice pubblicazione d’appendice risale al 1883-1884, al 1886 e al 1890-1891).

Certo, fare incontrare degli eroi è più facile – Sandokan, Yanez, Tremal-Naik, Kammamuri – ed è più facile far nobilitare agli stessi i pirati, per le loro origini ma anche perché, come mi è capitato di suggerire diverse volte, nella seconda parte del ciclo indo-malese in specie, questi pirati finiscono per adottare una strategia ‘imperialista’ simile a quella dei loro nemici, almeno da Alla conquista di un impero (1907) a La caduta di un impero (1911), attraverso i sostantivi fondanti che si accampano in quasi tutti gli altri titoli della seconda parte del ciclo: Sandokan alla riscossa (1907), La Riconquista del Mompracem (1908), La Rivincita di Yanez (1913). Tanto che è quasi più facile fare un unico fascio piratesco e imperialista di inglesi e malesi che credere, troppo prospetticamente, ai ribelli, ai rivoltosi terzomondisti, come si è fatto sovente (specie in certe riduzioni cinematografiche e ancor più televisive). Come osserva, non senza ragione, Fernando Savater in Pirati e altri avventurieri. L’arte di raccontare storie (2008, ma trad. it. di Paolo Collo, Firenze, Passigli, 2010, p. 139): «Certo è che Sandokan non fu affatto un protagonista ‘democratico’, il suo autoritarismo sconfinava nel dispotismo ed erano in genere le questioni strettamente personali a spronarlo, molto più degli ideali nazionalistici che alla fin fine gli erano piuttosto lontani». Di più: anche in certi duelli, Sandokan sposa un individualismo pragmatico fino al cinismo. In Le due Tigri, nel confronto finale tra la Tigre della Malesia, Sandokan per l’appunto, e la Tigre dell’India, Suyodhana, il nobile, il cavalleresco, il generoso eroe approfitta di uno scivolone del secondo per spaccargli il cuore. E qui forse sarebbe d’uopo ricordarsi che negli Strangolatori del Gange, il ‘predecessore’ dei Misteri della Jungla nera, Suyodhana propone a Tremal-Naik di unirsi ai tughs nella lotta «per la libertà indiana e la distruzione dei nostri oppressori dalla pelle bianca».

Detto questo, mentre fare incontrare gli eroi e le loro passioni amorose, ripeto, è più facile, è decisamente più difficile mettere insieme i negrieri dei citati I drammi della schiavitù (1896) e quei pirati che pur ne discendono quasi per linea diretta in forza di un ammutinamento in Gli scorridori dei mari (1900). E per quest’ultimo, più che la scelta dello pseudonimo, Romero, vale quella di «scorridori», da «excursor», «excursores» al plurale, un tempo esploratori, soldati in avanscoperta, anche spie, ma pure manipoli di disturbatori, quasi da ‘guerriglia’, e ora autori delle scorrerie: scelta che è calibrata dal complemento di specificazione più vasto che ci sia all’epoca per l’avventura, il mare (e poco importa che si parli via via di oceani e si scivoli dall’Atlantico al Pacifico in forza del passaggio di consegne tra negrieri e pirati). Quel che importa è che non si parli né si traduca con «corsari» e che dalla prima metà dell’Ottocento non si scenda a quella del Seicento, e su a salire, lungo i due secoli più importanti della corsa, della filibusta, della pirateria, tra XVII, per l’appunto, e XVIII. Perché? Perché il corsaro è, in qualche modo, un pirata legale e conduce – da privateer – una sua guerra ‘privata’, più o meno legittimata e sostenuta da una documentazione che l’autorizza a ‘armare la corsa’ e a distinguerla quindi dalla ‘scorreria’ pura e semplice. Indebolire il nemico della nazione cui appartiene, sfumarne la capacità commerciale, la sicurezza dei trasporti, e a un tempo non dimenticare chi si è e, se l’occasione si presenta, fare il pirata per davvero, ovvero ladrare, vendere il maltolto e uccidere, approdando magari a un’isola del tesoro o della libertà, per l’avventura e l’utopia anarchica che la nutre. Perché? Perché in un mondo che nel Seicento diventa globale e in cui tutte le compagnie delle Indie (e non solo) si fanno una spietata concorrenza in seno, per di più, ad assetti europei sempre più terremotati, in un mondo in cui tutti sono contro tutti, il pirata diventa una volta di più il nemico di tutti, come diceva già Cicerone e come ha saputo dire di recente, con più moderne argomentazioni, et pour cause, Daniel Heller-Roazen, in The Enemy of All. Piracy and the Law of Nations (UK, Zone Books, 2009; in Francia è edito da Seuil e in Italia da Quodlibet, nel 2010).

Certo, vale per i corsari salgariani, sia per il ciclo dei corsari e/o del Corsaro nero (1898-1908), sia per il ciclo delle Bermude e/o dei corsari delle Bermude (1909-1915), quello che si diceva sopra per i pirati malesi e per Sandokan in particolare: il loro patriottico eroismo è minato da tali tradimenti e disfatte da partorire facilmente un autoritarismo che sconfina nel dispotismo e che è mosso più da questioni personali (vendette, amori…) – in seno a quello che potremmo chiamare ancora un malinconico e melodrammatico post-romanticismo – che da prese di posizione nazionalistiche, più o meno storicamente fondate. E tuttavia è anche e proprio per questo che il corsaro è e diventa leggenda, in Salgari, mentre il pirata è e resta un ladrone e assassino, un brigante, un po’ come appare anche, negativamente, nel ciclo delle Filippine o della «guerriglia» (1897-1901), tra Le stragi delle Filippine (Donath, Genova 1897) e Il Fiore delle Perle (Donath, Genova 1901), ma siamo già negli anni Novanta dell’Ottocento: qui sono davvero i ribelli, i rivoltosi a essere indicati come positivi, perché si battono contro le vecchie colonie spagnole (poi sotto l’influenza americana), mentre i pirati sono, una volta di più, il polo negativo di una vicenda che è storica ma che è anche e soprattutto centrata, una volta di più, su una storia d’amore personale che, al solito, divide l’eroe post-romantico e malinconico di Emilio Salgari; eroe che si batte, innanzi tutto, contro sé stesso e la famosa lacerazione tipica di tanti eroi, scissi tra la causa, la vendetta, da un lato, e l’amore, la passione dall’altro.

_____________________________

[Leggi tutti gli articoli di Luciano Curreri pubblicati su Retroguardia 3.0]


* Martedì 18 gennaio 2022 alle ore 16:00, si è tenuto il panel 4/PIRATI del seminario di ricerca “Altri briganti. Immaginari del fuorilegge in età moderna e contemporanea”, organizzato congiuntamente da Università di Pisa, Università degli Studi di Bari Aldo Moro e Centro Interuniversitario di Storia Culturale.

Il seminario si inserisce nel quadro del PRIN 2017WLPTRL “Il brigantaggio rivisitato. Narrazioni, pratiche e usi politici nella storia dell’Italia moderna e contemporanea”, coordinato a livello nazionale da Carmine Pinto (Università di Salerno) e per l’unità locale dell’Università di Bari da Annastella Carrino e Gian Luca Fruci.

Tutti gli interessati potranno seguire il seminario online su piattaforma Teams, utilizzando il link: https://www.cfs.unipi.it/c/220118-altri-briganti-pirati

Comitato scientifico
Gianluca ALBERGONI (Università di Pavia)
Gian Luca FRUCI (Università di Pisa)
Alessio PETRIZZO (Università di Bari)
Giulio TATASCIORE (Università di Salerno)

Programma

4/PIRATI– 18 gennaio 2022, ore 16:00

Coordina Gian Luca FRUCI (Università di Pisa)

Paolo CALCAGNO (Università di Genova)
Pirati o corsari? I barbareschi visti dai liguri tra XVI e XVII secolo

Lise ANDRIES (CNRS-Université de Paris IV-Sorbonne)
Pirates de l’Atlantique au XVIIe et XIXe siècle: un rêve héroïque et brutal

Isabelle GUILLAUME (Université de Pau et des pays de l’Adour)
De la toile au livre: les corsaires de la République et de l’Empire représentés par Louis Garneray

Andrea ZAPPIA (Università di Genova)
Storie mediterranee. Corsari, schiavi e rinnegati tra immaginario e realtà

Luciano CURRERI (Université de Liège)

Quasi un regesto degli «hommes révoltés» di Emilio Salgari: ammutinati, anticonformisti, artisti, banditi, comunardi, deportati, nichilisti, patrioti, pirati, ribelli. Una causerie «Il pirata! Giammai!»: parola di negriero. Una causerie sull’universo piratesco salgariano a partire da Gli scorridori del mare (1900)

Discussants: Alberto Mario BANTI (Università di Pisa), Lea DURANTE (Università di Bari)

Informazioni e contatti

[email protected]

[email protected]

Locandina Altri Briganti PIRATI

** Luciano Curreri (1966), dopo aver studiato, fatto ricerca e insegnato in sei università di tre paesi europei, è diventato ordinario di Lingua e Letteratura italiana nel 2008, all’Università di Liegi, in Belgio. Ha al suo attivo una cinquantina di volumi, di saggi e studi (monografie, raccolte, cure ed edizioni) e di racconti. Ha collaborato alla prima edizione del Baldi-Zaccaria e, come esperto, ha partecipato ad alcune puntate di «Il Tempo e la Storia» (2013-2016) e di «Passato e presente» (2019-2020) andate in onda su RAI 3-RAI STORIA e dedicate a Spartaco, Salgari, Pinocchio e le pinocchiate, l’Italia in miniera, la Comune di Parigi, Pastrone e l’alba del cinema.


NOTA

1 Almeno in nota, mi permetto di segnalare un potenziale percorso, che potrebbe essere affrontato dal sottoscritto, in seno all’idea sopra evocata e rinviata ad altra occasione, e/o con un gruppo di Amici maiuscoli e storici (da Fabrizio Dall’Aglio a Fabio Danelon, da Roberto Fioraso a Vittorio Frigerio e a Claudio Gallo, da Giuseppe Traina a Gianni Turchetta): Les «hommes révoltés» d’Emilio. Quasi un regesto di ammutinati, anticonformisti, artisti, banditi, comunardi, deportati, nichilisti, patrioti, pirati, ribelli:

Le stragi delle Filippine, (Salgari, ciclo delle Filippine o della «guerriglia»), Donath, Genova 1897; Filippine; metà e seconda metà anni Novanta dell’Ottocento; ribelli + (delle vecchie colonie spagnole, poi sotto l’influenza americana) e pirati Il Fiore delle Perle, Donath, Genova 1901; idem

Il corsaro nero, (Salgari, ciclo dei corsari), Donath, Genova 1898; America Spagnola; anni Sessanta/Ottanta del Seicento; corsari, filibustieri, pirati +.

La Capitana del Yucatan, (Salgari), Donath, Genova 1899; Cuba; metà e seconda metà anni Novanta dell’Ottocento (guerra ‘imperialista’ + ispano-americana );

Gli orrori della Siberia, (Salgari), Donath, Genova 1900; Russia/Siberia; Ottocento; militari e nichilisti deportati in Siberia/ribelli (patrioti?) +/– (è  da notare l’atteggiamento filopolacco).

Gli scorridori del mare, (Salgari), Donath, Genova 1900; Africa centro-occidentale e centro America (tratta degli schiavi); anni Trenta dell’Ottocento; commercianti di schiavi-schiavisti (con codice d’onore [sic]) + e ammutinati/pirati .

Avventure fra le pelli-rosse, (Landucci/Salgari), Paravia, Torino 1900; regioni occidentali degli Stati Uniti dipendenti ancora in parte dal Messico e Texas e Nuovo Messico in particolare; metà Ottocento circa; i banditi della prateria…

La Gemma del Fiume Rosso, (Landucci/Salgari), Belforte, Livorno 1904; Tonchino (Vietnam settentrionale); […]; banditi

I briganti del Riff, (Salgari), Bemporad, Firenze 1911; Nord Africa; 1909 (guerra ispano-marocchina scoppiata nell’estate di quell’anno); pirati e/o patrioti (–/+ encore que)

La caduta di un impero, (Salgari, ciclo indo-malese), Bemporad, Firenze 1911; India: metà Ottocento…; volgari banditi/banditi o insorti che fossero (con segno ) vs cacciatore di topi (con segno +)

La Bohème italiana, (Salgari), Bemporad, Firenze 1909; Italia (Torino); tra fine Ottocento e inizio Novecento: ‘comunardi’ anticonformisti e artisti.

E poi c’è sempre, come al solito, ciò che resta (di più o meno noto) a lato dell’elenco cronologico e geo-storico abbozzato che precede e che potrebbe essere alla base anche di una Antologia, dove si potrebbero riprendere in considerazione I misteri della Jungla nera e Le due tigri per la presenza dei thugs, assassini, ladri, et j’en passe, e però fortemente antinglesi, soprattutto quando combattono insieme agli insorti contro gli inglesi, per l’appunto. E all’elenco sarebbe forse da aggiungere il ciclo del far west – Sulle frontiere del Far West (1908), La Scotennatrice (1909), Le Selve Ardenti (1910) – con i crudelissimi indiani in rivolta contro i bianchi.

Pubblicato da retroguardia

Docente e critico letterario. Dirige la rivista di critica letteraria "RETROGUARDIA". Si è occupato in particolare della narrativa di Guido Morselli e Gesualdo Bufalino. Altri interessi di ricerca riguardano anche la poesia contemporanea, la teoria della letteratura, il romanzo fantastico e comico, la metrica italiana. Suoi interventi critici sono apparsi in rete (Musicaos.it, Retroguardia, La poesia e lo spirito, ecc) e su alcune riviste di letteratura (Tabula rasa, Narrazioni, ecc). Socio fondatore dell’associazione culturale e membro del comitato di lettura di vibrisselibri, redattore de “La poesia e lo spirito” dal 2007.