Il gatto e il filosofo. Stefano Scrima, “Sette vite non bastano”

Stefano Scrima, Sette vite non bastano, Aprilia, Ortica editrice, 2022, pp. 84, € 9,00


di Stefano Lanuzza 

.

Dialoga col suo sacrale gatto birmano di nome Washington il giovane filosofo Stefano Scrima (1987), che al suo peloso interlocutore dallo sguardo insostenibile dedica il volumetto carico di pensiero Sette vite non bastano (Aprilia, Ortica editrice, 2022, pp. 84, € 9,00).

Mantiene una certa aria di sufficienza, quel felino che lascia vagare i suoi dolci, flemmatici occhi blu senza mai perdere di vista ogni cosa; e quando il filosofo gli chiede reverente di cedergli almeno una delle sue rinomate “sette vite”, quell’araldo infero lo guarda compassionevole da distanze abissali facendo le fusa prima d’inalberare le sue segnaletiche orecchie rosse e, senza sprecarsi in risposte, fa intendere che a lui, sette vite, mica bastano.

Allora che può eccepire il filosofo cui, per quanto ha da fare, una sola vita non è sufficiente? Per dirla tutta, a lui, al pari del grande Miguel de Unamuno cui ha dedicato il libro Non voglio morire (2015), di morire non va proprio. “Non voglio morire; non voglio e non voglio volerlo” dichiara il per una volta edonista Unamuno.

Così, contro l’ingiustizia della morte o per perorare addirittura la vita eterna, il filosofo si risolve di raccomandarsi al… diavolo che precipitando dai superni siti si è procurato due bernoccoli sulla fronte, da tutti denominati ‘corna’. È poi uno – l’irredento anarchico Lucifero “portatore di luce”, come dire di cognizione della verità del reale – che, a differenza del defunto Demiurgo di Nietzsche, è ben vivo e lotta per esistere. Magari istruendo, come specula Scrima in L’arte di disobbedire (2020), su quella cosa di cui molto si dice ma che a tanti, per ignoranza, poco interessa, ossia la Libertà: la diabolica vocazione per il libero pensiero critico che ragiona, non obbedisce, vuole la consapevolezza e tenta senza timore di cogliere dall’Albero paradisiaco il ‘frutto proibito’ della conoscenza. Il suo biasimevole peccato? È di “saper pensare”, infine un altro modo del “saper disubbidire”.

Un po’, al diavolo e al filosofo tocca di soffrire da quando si sono imposti di non osservare “nessun ordine trascendente”, menando “vita malinconica” non meno che filosofica, poetica e visionaria: giusto tema per un libro di posseduti dalla malinconia che Scrima compendia in L’arte di soffrire (2018) accomunando in una campionatura del malessere Marsilio Ficino e Baudelaire, Keats e Sartre, Huysmans e Freud, Kant e Goethe, Leopardi e Pavese… Sono irrimediabilmente malinconici, malmostosi e nauseati dalle insulsaggini, sofferenti per l’insensatezza del mondo ‘per com’è’ cui non sanno opporre un mondo ‘per come dovrebbere essere’. Tuttavia, riescono a trasformare “la loro nausea in bellezza”: in filosofia arte letteratura… Sade, Lautréamont, Kafka, Mallarmé, Artaud, Michaux, Camus, Céline, Cioran, Pessoa, Bukowski ecc.: è con gusto esperto che l’autore li enuclea da una biblioteca delle meraviglie riassumendone le prerogative nel suo coerente Nauseati (2016), libro che ben s’intona col più impegnato Il filosofo pigro (2017), “pontuario” per “imparare la filosofia senza fatica” legando il pensiero alla vita quotidiana, al viaggio e al riposo, alla natura, alla beatitudine dell’amicizia e dell’amore benriposti, come all’indipendenza del pensiero contro i tabù e la stupidità che non capiscono la funzione dell’intelligenza esercitata dal motto arguto.

C’è una cogente ricerca del vero con tratti di svagato ‘realismo magico’ nella filosofia comparatisticamente letteraria di Scrima. La sognante pigrizia da lui spesso evocata? È una forma disillusa di critica sociale, una montante “protesta”, per esempio, contro il culto positivistico del lavoro che condanna i soggetti al consumismo e li fa schiavi dello stolido ‘sviluppo senza progresso’ già stigmatizzato dal Pasolini degli Scritti corsari (1975).

Ecco alfine Scrima che, come ispirato dal suo gatto – un fatato indolente, un messaggero del soprannaturale avverato, un torpido guru convinto che “la fatica è per i cani” e alieno dal cedergli manco una delle proprie invidiabili sette vite –, raccoglie le idee che, se non scrive, ha difficoltà a riconoscere. Allora scrive il filosofo per comunicare o supporsi utile pur pensando alle virtù dell’onesta inutilità dello scrivere, che in ogni caso è un “lasciar fluire il dolore dalla testa alle dita”.

Ha il vizio del gioco, delle puttane”? Macché: ha solo quello, “nobile e schernito”, dei libri. Ne acquista di continuo, li spreme “come limoni”: lo “fanno sentire al sicuro” seppure a rischio di mandarlo in “bancarotta”, l’altro nome d’una specie d’instabile beatitudine. E quale grata perversione portarseli “a letto”! Legge: per liberare le nuvole della mente e poterle guardare in volo. Tiene pure conto “che di un libro che sia privo d’ironia non si può pensar nulla di buono”. Servono i libri a farti cambiare o almeno mettere in discussione qualche idea scontata. Non si legge per compiacersi, rassicurarsi, consolarsi. Allora, se non volete essere banali, “regalate libri. Regalate universi”, altre vite.

Lui? Se vive, lo fa… “per passione”: poiché, per lui, “vivere è una religione”, pur sapendo che non si può “sopravvivere alla vita”. Ah la vita, “il più grande dei complotti”; ah “l’immortalità dell’anima”, che “non esiste”.

E la felicità? È un sentimento “che non torna”.

Ricordare”? Fa pari col “dimenticare”.

Le idee? Coltivarle, possibilmente godersele senza realizzarle.

Filosofo col raro dono della sintesi fulminea, Scrima, se occorre, sa pensare “breve” o per aforismi: che non significa pensare “veloce”.

Egli soffre della “sonnitudine” di chi si ritrova a dormire solo mentre anelerebbe a “poter abbracciare il mondo”. Vero che “passiamo un terzo della nostra vita a dormire”, ma è “così poco”. Dormire gli piace non meno che al suo gatto, già nume tutelare dei Victor Hugo, D’Annunzio, Baudelaire, Gautier, Colette, Maupassant, Joyce, Freud, Hemingway, Léautaud, Céline.

Lavorare? Guarda che la filosofia “non ti farà mai trovare un lavoro”. Al cultore di “oziologia”, collezionista di pigre dolcezze, pudori e nausee, soprattutto piacerebbe un lavoro “inutile” non dissimile dal gioco e, perché no, dal non-lavoro dello stesso Iddio, “il più grande fannullone di tutti i tempi”, giocherellone beatamente disinteressato delle sorti del mondo e pedagogo fallimentare dei viventi. Ma tu, se davvero “vuoi imparare a vivere”, accompagnati a un austero sereno soave gatto: che “ti insegnerà, anche se malvolentieri”.

(Firenze, 14 marzo 2022)

_____________________________

[Leggi tutti gli articoli di Stefano Lanuzza pubblicati su Retroguardia 3.0]

_____________________________

Pubblicato da retroguardia

Docente e critico letterario. Dirige la rivista di critica letteraria "RETROGUARDIA". Si è occupato in particolare della narrativa di Guido Morselli e Gesualdo Bufalino. Altri interessi di ricerca riguardano anche la poesia contemporanea, la teoria della letteratura, il romanzo fantastico e comico, la metrica italiana. Suoi interventi critici sono apparsi in rete (Musicaos.it, Retroguardia, La poesia e lo spirito, ecc) e su alcune riviste di letteratura (Tabula rasa, Narrazioni, ecc). Socio fondatore dell’associazione culturale e membro del comitato di lettura di vibrisselibri, redattore de “La poesia e lo spirito” dal 2007.