Due parole su “Algebre e Sigilli”. Il lascito del poeta Mario Grasso

Due parole su “Algebre e Sigilli”. Il lascito del poeta Mario Grasso


di Antonino Contiliano

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Se l’algebra è un linguaggio simbolico formalizzato e per equivalenze e similarità sviluppa operazioni (discorsi) regolarizzati mediante l’uso delle “lettere” (variabili generali) come simulazione, interpretazioni e significazione di cose generali quanto particolari non diversamente è osservabile nell’ordine simbolico di “Algebre e Sigilli” (Prova d’Autore, Catania, 2021), le poesie dell’ultimo libro di Mario Grasso (scomparso da poco). Un testo di poesia non è meno formalizzato di una equazione o delle equivalenze del sapere geometrico-matematico che associano invisibilità e incognite. Anche qui equivalenze e similarità rimandano a certe connessioni logiche per dire e interpretare cose che mettono in corrispondenza verità razionali e tessuti sensibili (fenomeni reali, irreali, attuali, potenziali, virtuali). È come se equivalenze e similarità mettessero il comune pensiero matemico o concettuale astratto delle cose con la percezione corporea stessa delle cose stesse sotto forma idee estetiche e sovradeterminate da surplus patemico variamente colorato ma vigilato (le variabili dell’attendere e dell’immaginare “a lune di quadrante”, ovvero come una misura sinestetico-metaforica che cerca di delimitare gli angoli delle quadrature sferiche del vedere, del pensare, dell’alludere, dell’inseguire “cabale”, del “grattarsi” per rinsavire…). Il senso critico non abbassa cioè la guardia: “Le attese un poco grattano le unghie / scheggiate guance e rotule /mentre cammini a lume di quadrante / ogni ombra è gigante e il tanto poco. / Ma l’ombra alita fuoco / e un crocchio vi si agita virtuale: /all’istante i miasmi / non sono più fantasmi / a beffa ogni segnale / quando illude una meta / un’ora vale un’altra per Godot. / […] / Quale cabale insegue la tua mente? / Algebra e sigillo dovunque / e ti gratti per niente / anima e cuore: Gratta che ti passa / l’ansia in bottiglia, / in bottiglia anche la salsa.” (L’ombra agita fuoco, p. 15). Ogni operazione appare come il muoversi immobile di Godot: la comicità dell’inquietudine in azione.

Nelle poesie del nostro autore la funzione poetica (Roman Jakobson, Saggi di linguistica generale) delle equivalenze e delle somiglianze tra gli elementi (parole o sintagmi …) del discorso è – ci sembra – una ricca produzione di sensi. Nelle “ripetizioni” creative e delle equivalenze fonosemantiche (Jurij Mihajlovic Lotman, La struttura del testo poetico), la serie di rimandi – mediata da sonorità, ritmi, metafore, allegorie, obliquità grammaticali e sintattiche, neologismi, iconicità … – si può dire, infatti (s.n.), che, analogamente, agiscano come la potenza di una forza-lavoro produttiva di ricchezza significante. Analogamente che nell’economia politica qui si produce infatti un plusvalore semantico; un’eccedenza cioè che nell’accezione della stessa critica dell’economia della politicità della poesia è irriducibile ai calcoli della comunicazione standardizzata privata e privatizzata. Se nell’economia dei mercati della modernità industriale e postindustriale capitalistica la forza-lavoro dei soggetti crea infatti plusvalore per profitti e le rendite privatizzati (mentre le equivalenze tra lavoro prestato e salario ricevuto ne dicono anche le contraddizioni), nelle poesie le contraddizioni del lavoro linguistico-semiotico (come gli ossimori, i paradossi, le ambiguità …), mediate sussurianamente dai rapporti di equivalenza tra significanti e significati (come dalle differenze e dalle ripetizioni delle denotazioni e delle connotazioni) ci attestano invece del plusvalore della poesia come “bene comune”; un bene cioè egualmente godibile da tutti e ciascuno. È l’impegno di una semantica comunicativa per altre relazioni etico-politiche collettive possibili. Una svolta della cooperazione sociale democratica alternativa offerta dall’azione delle parole, dei suoni, dei ritmi e delle immagini (in un testo poetico, diversa la parte di ogni elemento, infatti ogni parte non è meno importante di un’altra!). Perfino dove il confine dei concetti, dei significati e dei legami è piuttosto incerto e vago (come nei paradossi, nelle ambiguità e nella non linearità della costruzione, nelle inversioni, nella frammentazione…), la poesia trova le sue sfumature di senso e i suoi spazi non euclidei egualmente godibili da tutti e ciascuno. Sono i sentieri offerti dalla plasticità della lingua e percorribili nel loro viario anomalo come l’azione di “una macchina da guerra” nomade/mobile (Gilles Deleuze/ Felix Guattari) che, delirante, buca l’ordine esistente del mondo dato e la sua presunta armonia (asimmetrie, sproporzioni, insorgenze evenemenziali non amano essere ignorate: un modello è sempre un artificio…!). Non diversamente dal delirio delle frequenze caotiche che anima i cristalli – i sogni congelati di ogni matematico ortodosso –, qui agiscono le pulsioni desideranti che vitalizzano le algebriche operazioni delle poesie come “eterotopie” (Michel Foucault) orientando criticamente la memoria culturale-storica di ogni poeta che si curi anche con l’insonnia nomade e rizomatica. E tutto ciò non manca nella produzione poetica e letteraria complessiva di Mario Grasso, né nel suo “Algebre e Sigilli” (qui vigile è la memoria e si apparenta con chi – per dirla con Foscolo – ha lasciato e lascia eredità d’affetti).

In queste poesie – come in tutta la produzione poetica del nostro autore – la manipolazione dell’ordine simbolico e i richiami alle matrici poetiche del passato, letti benjanamente con il tempo presente, infatti, sono di casa e in ebollizione. Una fermentazione variamente graduata come un’eccedenza di sapori/saperi del pluslavoro dei segni poiein della lingua (il semantico plusvalore poetico). Il rapporto di equivalenza tra significante e significato delle parole e dei legami versali e strofici è in tale eccedenza che il totale della poiesis trasborda: non è a somma zero. Se “x” è il patrimonio delle regole, del lessico e del non-lessicale investito (come potrà osservare il virtuale lettore cui lo stesso poeta – Mario Grasso – si rivolge nella nota personale annessa al libro), la produzione dei testi e la circolazione sociale semantica che li accompagna, infatti, sarà “x+1” (un plusvalore poetico condiviso senza discriminazione di sorta). In una, tra il reale e la verità dell’irreale, qui l’orizzonte è quello dell’essere-insieme-con. Il più-di-valenza semantica culturale-politica che, diversamente dal profitto privato e individualistico, è stimolo al “bene comune” e tendenza antagonista. Un conflitto che, nel contesto della realtà storica egemone le individualità sociali dei produttori e dei consumatori di poesia, si troveranno quale potenza critica sensibile quanto soprasensibile.

Non diversamente dall’utile del lavoro dell’economia politica – crediamo (per analogia) –, l’utile poetico è capacità dunque di generare nuovo “valore” di senso. Un campo di bisogni, proiezioni e rotture che, tra realtà e sogno, producono verità d’uso demistificante. Sono le verità irreali della poesia in quanto vita della stessa verità di tutti e insieme nesso inventivo di concettualità e immaginazione spazio-temporalità inedito, e non meno universo di sogni/utopie in divenire esposti/e al rischio dei colpi cecchini. Emblematico nel libro del nostro autore, in tal senso, è la poesia “La fine di una taccola ingegnosa molto ingenua e molto ambiziosa”. Il volatile che, rappresentato dal lavoro artistico di Giulia Sottile, si pone sul dorso di un’aquila – come su un aeroplano – mentre un cecchino di guardia (si legge) la colpisce a morte in volo (il disegno, per inciso, capeggia sia la copertina che la quarta di copertina del libro). Come dire che la partita a scacchi della poesia e del poeta non è che un gioco di attraversamento del rapporto dinamico e conflittuale “sans trêve et sans merci” tra le cose e le parole come una lotta non priva di autoconsapevolezza a timbri variabili.

Verità non standard dunque quanto intriganti e stimolanti le soggettività del chiunque (il nostro, non diversamente e per astrazione concettuale, ama porgersi come “il qualunque, il generico uomo generale; il qualunque cioè dell’universale singolarità). L’universale dell’astrazione logica che, nel caso, unita alla manipolazione/ricombinazione “errante” del discorso poetico, disancora le esemplificazioni richieste dal mercato comunicativo consensuale; quello cioè proprio alle poesie “trasparenti” e dolcificate del consumo anestetizzante (il lirismo beatificante degli individualismi delle pene e delle solitudini dematerializzate, astoriche ed emotivamente suadenti). Non così nel mondo delle poesie di “Algebre e Sigilli”. Non meno significanti degli astratti “matemi”, qui le operazioni poietiche, irragionevolmente efficaci, porgono infatti il discorrere degli enunciati tematici (sinuosamente connessi) in sintesi determinate quanto giudizi di valore e critiche assunzioni versus i miasmi dei media alienanti in corso d’opera. Sguardi sagaci e salaci (autoironia, ironia e sarcasmi raffinati) che denudano (ampio senso) i versi intolleranti e insopportabili delle cose che dicono sulle verità delle abitudini, delle idee e dei comportamenti degradati e degradanti come un campo di negatività aggredibili. Un esser-ci in/di cui i soggetti individuali e sociali del nostro tempo sono al tempo stesso attori e spettatori di parti in tensione e distorsioni lapidabili.

Così, come un Catullo del carme 39 contro Egnatius (ebete ridens che ha denti sempre puliti quanto più li lava col piscio), non manca di lanciare mirate sferzate ad “Antonio”, al “governo”, alle guerre e agli obiettivi del loro malagire/malfare. Sono le verità (le sferzate) che il nostro “qualunque” – tra il divertito e il serio – mette avanti per ridicolizzare la creatività poetica di un certo “Antonio” (Antonio, adesso, devi smettere di copiare “ […] / con tecnica del vischio /…/ il tuo lercio ricamo senza fiato /spudorato oltraggio alla poesia? / Ladro strisciante dove è sacrestia” (p. 86); o per smascherare le amministrative verità reali del potere puparo che “… d’inverno ci promette estate / e quando tutto è buio dice: aspettate!” (p. 13); o per denunciare il “mondo scafista” o quello delle guerre politico-sociali che della vita fanno morte. Morte “… / dalle termopoli fino a Waterloo / alla Baia dei porci / a Hiroshima. / … Allora le Crociate adesso l’Isis / contrappasso e compenso? / Quel migrare per vivere / e morire a vista di / un mondo scafista” (p. 49). Né, crediamo, che l’ironia pungente e demistificante i siffatti modelli, posizioni, fatti e misfatti (variamente concretizzatesi nella storia e visualizzati) siano valutazioni fuori posto per un poeta che (non alieno alle cure dei sentimenti e delle passioni delicati e radicati, come nella poesia dedicata a Nives, o nei testi dove la lettera maiuscola segna il peso delle parole “Sole”, “Amore”, Nulla), non salta sui treni di passaggio né si guarda dalle altezze delle auto-piramidi. Né sarebbe possibile per il nostro (così schivo e a volte pungente scarica elettrica urticante) che apertamente dichiara di avere come compagni di viaggio (come nella nota di suo pugno annessa al libro) nomi quali James Joyce, T. S. Eliot, Angelo Ripellino, Eugenio Montale.

Se l’attenzione poi cade sui cinque testi poematici della seconda sezione di “Algebre e Sigilli”, ci si trova a dovere fare i conti con le costruzioni poetiche che – compagna di dialogo Virginia Woolf e il suo “Nulla” – impegnano scrittura e lettura sul piano di un regime poetico che è (s.n.) in tensione col filo che tesse l’essere del nulla. E, questo, non è certo argomento di famiglia per il palato dei lirismi pubblicitari incoraggiati dalla logica dell’imprinting mercifico. Le confezioni poetose cioè delle piazze influencer reclamizzate dalla voce del prendi due e paghi uno che sfilano sulle passarelle di moda e affollano le reti social del capitalismo cognitivo. Le nuove fabbriche digitali che, mirando ad estrarre emozioni come valorizzazione collaterale, badando bene a star lontane da certe asperità intellettuali come il “vuoto” e gli interrogativi sull’essere del ni-ente e dei suoi processi in itinere. Il venire delle emergenze che sfugge alle ingiunzioni imperative della réclame online “stira e ammira”, mentre le turbolenze della storia materiale, snebbiate, inquietano. Il nulla woolfiano che in un giorno vuoto non è nebbia infatti si aggira inquieto fra i versi del nostro autore e si pone come un essere che configge, dispiega, espande e territorializza grandezze e misure spaesanti. Dimensioni che, come lo ‘zero’ matematico, creano fatti ed effetti di grandezza non evanescenti. I fenomeni cioè come cifre che per il poeta e intellettuale Mario Grasso non sono la nebbia dei vapori acquei dei circuiti del mi piace/non mi piace degli smalti digitali, se via via il “nulla” è quello che ha partorito e generato il continuum di morti, sfruttamenti, guerre, razzismi, classismi e cicatrici di lunga durata (memoria ed evangelico calendario storico ): “ […] / più o meno adolescenti / leggendo oltre ai fumetti qualche album / edito da Nerbini; c’era Buffalo Bill e altri eroi tenaci, / quell’odore di abete bruciato e i pellirossa. / […] Compresi fin d’allora cosa è razza e rimasi male / non potrò condividere razzismi visi pallidi o neri. […] Madonna mia, che anni, che squallore nel nostro / ceto medio! I bombardieri americani a notte, gli Spytfire /al mattino e al pomeriggio, mitragliamenti e tessere / per pane: l’aratro nero fascista aveva tracciato il solco ma aveva solo parole per difenderlo. / I tedeschi da padroni in fuga macellavano / anche viandanti innocui a Castiglione di Sicilia la strage […] / La facciata è ogni legge e la promessa giustizia / si frantuma, s’impenna e non rinnova l’anima perduta. / Giunge papa Francesco e il Vaticano si sgretola / […] / lascia disorientati i soldati di Cristo con piedi sopra cocci / taglienti, bocce rotte nel dare riti festaioli a piazze / […] / Lasciate libertà a chi vi deride col disprezzo più antico. […]” (pp. 97-98).

Ora, per non dimenticare, di questo disprezzo antico sferrato ai poteri e ai potenti, il poeta Grasso ce ne dice pure nell’opera collettiva Compagni di strada caminando/2003 (a cura di chi scrive). Così nel rigore letterario che gli è proprio, il Papa che proclamava “Dio del mondo la Pace”, il pontifex dei tanti credenti dagli occhi bendati, divenne il motivo di una sonante stridula invettiva: “ […] / papa polacco sanato di santo concluso in-petrato / perdoni e spadroni ai condoni cordoni tuttoro massiccio / ti vesti di riccio a invocare le colpe passate perdoni / scomunichi i gay che convivono scandisci anatèmi / proibisci divorzi adulteri patate cresciute negli orti vicini / ma taci omertoso chi fabbrica armi e bombarda. […] / parato alla farsa grottesca guardone di stragi innocenti / t’imbocchi al denaro dei ricchi mercanti di vite ammazzate / perché non scomunichi le armi e gli armati? ti pisci / al pericolo della pernacchia del dio della guerra? […] / … Mostrate di avere coglioni / con chi fa le guerre che sia maledetto e perduto il cibo ed il fiato / di quanti coltivano armi e poteri di morte e il Dio sia la Pace”. E come non ricordare poi il suo più recente e ultimo “Dalle Termopili di Simonide all’Ucraina di Sevcenko – Il Gioco Perenne tra Potere e Innocenza”!, la poesia pubblicata (prima della scomparsa) nella nostra antologica web “Il wu wei della poesia contro le guerre” (un’antologia non-antologia di voci poetiche passate e presenti, lette e registrate dall’attrice Fabiola Filardo e pubblicate poi sulle pagine web della rivista “retroguardia.net). È il testo poetico (CT. 03 / 04 / 022) dedicato all’attuale guerra russo-ucraina (2022/2023). Anche qui l’elaborazione stilistica, tra memoria storico-poetica e sofferta soggettività etico-politica temporale, i giochi dei poteri sono apostrofati per il loro carico di perpetua violenza sulla vita e i diritti altrui. L’elogio dei combattenti per la libertà diventa onta per gli aggressori: il coraggio di morire “per trionfo dei deboli sui forti”. Un passaggio che si nota per l’uso classico di una contraddizione che, nella tecnica del poiein, oscillando tra paradosso e dissociazione semantica, fa sì che due parole, morfologicamente diverse, abbino stesso significato ma elevato a valori diversi. È la combinazione espressiva-concettuale del Morendo non perirono : “ […] : / Morendo non perirono / eterno lor s’ergevano / di gloria un monumento. […] / E / per ripetere il sangue e la barbarie / dell’era atomica duemil’e ventidue / gli ucraini e il Testamento loro / due secoli dopo Ševcenko: / Quando sarò morto seppellitemi /in un tumulo alto / nell’immensa steppa / della mia dolce terra ucraina, / da dove potrò contemplare / gli sconfinati campi / e le rive scoscese; ascoltare / l’antico Dnepr più infuriato. […] … Intanto grida / la miseria perenne umana e il canto / del cieco Omero e quanto / nel rancore sia ancora / Hiroshima, Nagasaki, i santi Lager, / alle Termopoli, allora, il sacrificio / e oggi, a stupri, morte e distruzioni, / […] / resta vana la parola, i morti / definiti eroi, quasi a sberleffo, contro il si vis pacem para bellum, / la maledizione tanto cara / ai dittatori, ai secoli, alla vita … /criminale protervia come gioco / le guerre dei potenti e gli innocenti.”

In conclusione – e volendo sintetizzare per approssimazione (non esclusi i nostri limiti) – tutto questo procedere scritturale di temi e motivi (diversi) in versi, sul piano estetico è – ci pare – una scelta e non meno un processo di educazione al gusto come un’economia critica della politicità del far poesia. Un sigillo del poeta che – indicazione di saputa tecnologia retorico-logica, quanto incorporazione fluente di immagini e orizzonti di senso virtualmente reali – respinge i riduzionismi formalizzati degli algoritmi digitalizzati e le semplificazioni enunciative (così care agli omogeneizzati dei poteri della disciplina e del controllo). È, crediamo, la logica della poesia che mostra come certe operazioni tecniche (le distorsioni, le sonorità, le consonanze, le allitterazioni, i neologismi, o i “luoghi comuni”: analogie, anomalie, ossimori, rapporti reciproci, contrari e fini per cui si agisce), spremendo i vari legami dell’intreccio poetico, aprano a nuove associazioni, dissociazioni, combinazioni, derivazioni. In tal senso qui piace ricordare “Delirio del consumatore” (pp. 23-24). In stralcio: “Bande sonore inquietano il percorso /nei sogni una catena spezzata / salda invece è ogni ansia / ogni mulino spinge ruote /ingranaggi in grano ingrana la massa / e già scrutina scompagina trasforma /molìre il grano è il suo lavo ingrato / […] /Ecco allora le bande se sonore / se criminali bande paesane / tra clarini, grancasse trombe e mazze / per tamburi a distrarre folla e gregge / sprofondarla nel sogno tra il sonoro /donarle feste con farine e forche”.

Infine – semplificando – non ci impediamo di dire che “Algebre e Sigilli” si presenta anche come un lavoro che sul piano simbolico (richiamando l’analogia algebrica) suggerisce astrazioni quali chiavi di lettura e di interpretazione del mondo e di quanto in esso si processa senza tregua. Un continuo rivoluzionamento delle produzioni e dei rapporti di produzione che l’attualizzano manipolando oggettività e soggettività, l’impasto delle relazioni reali quanto misto alle nuove fantasmagorie dell’era digitale. Sigilli come segni testamentari politici quanto culturali incontrovertibilmente legati alle prassi degli individui sociali storicamente determinati. Sono i segni che – crediamo – “Algebre e Sigilli” ha lasciato come un lascito. Un’eredità. Un’eredità che, pur non ignorando le dinamiche temporali (e i diversi processi di soggettivazione in divenire di cui ciascuno è attore e spettatore), si vorrebbe cogliere e continuare come analoghi eredi ‘inattuali’. Diciamo si vorrebbe perché non ci manca (nel rapportarci) il senso della misura rispetto a qualia dell’opera del nostro autore (per l’identità dell’autore rimandiamo, limitatamente, il lettore alle tracce indicate a piè pagina1). Tra i lasciti di Mario Grasso, grazie agli eredi catanesi, è anche l’ultima iniziativa del premio di narrativa in lingua italiana, il premio nazionale CeSPOLA” (Centro Studi Panormita di Operatività Letterarie e Artistiche). La prima edizione del premio, patrocinato dalla Fondazione Sicilia, e coordinata dall’attenta regia della sua coordinatrice e presidente, l’avvocatessa e scrittrice Laura Rizzo, si è svolta negli ambienti della Villa Zito (PA, nov. 2022). Per inciso, CeSPOLA è anche il nome della testata che gli eredi catanesi (presidente la scrittrice Laura Rizzo) hanno in cantiere per dare seguito al lascito dell’intellettuale Mario Grasso e alle indicazioni in esergo della testata: a) “La scrittura è, per chi la produce, cura perfetta per mantenere in ottima salute la subliminalità individuale”; b) “La lettura è, per chi la pratica, la cura appropriata al mantenere potenza e lucidità di informazione in ogni età. Un cantiere di parole e categorie che spingerebbero a continuare ma …

Marsala, gennaio 2023


NOTA

1 Mario Grasso (http://www.mariograssoscrittore.it) vive a Catania dove è direttore letterario di una Casa editrice nonché di Lunarionuovo e della Gazzetta Dialetti (http://www.lunarionuovo.it) di cui è fondatore. Pubblica ogni settimana dal 1995 sul quotidiano La Sicilia una rubrica set­timanale di filologia e costume “Il Vocabolario”. Tra le opere edite: Il gufo reale, pref. di Giuseppe Fava (Palermo, 1968); L’Arca di Noè (Catania, 1970); Il mulino d’Aci (Milano, 1972); La paglia di nessuno (Bologna, 1974); Testi e testimonianze (Udine, 1976); I sette arcieri di Bajamazol (ibidem, 1978); Le vestali di Samarcanda, pref. di Giacinto Spagnoletti (ibidem, 1979); Friscalittati, pref. di Giuseppe Bonaviri e Salvatore Ros­si (Caltanissetta-Roma, 1982); Lettere a Lory, pref. di Antonio Di Grado e Giuliano Gramigna (ibidem, 1984); Tra Sole e Luna, pref. di Giovanni Raboni (Milano, 1986); Concabala (Milano, 1986); Vocabolario sicilia­no, pref. di Maria Corti (Catania, 1989); Pamparissi (Catania, 1990); Fine dell’adolescenza (Catania, 1992); Lingua delle madri (ibidem, 1994); Mi­chele Pantaleone personaggio scomodo (ibidem, 1994); La danza delle gru (ibidem, 1999); Cruccheri (Caltanissetta-Roma, 2002); Tra compiute lune, pref. di Stefano Lanuzza (ibidem, 2003); Cu t’inghitau? (Catania, 2005); Saggilemmario, pref. di G. Amoroso e G.V. Vicari (ibidem, 2010); Acedd’i puddu, pref. di Daniela Saitta, (ibidem 2012); Fiabestrocche, con lo pseu­donimo di Sara Smigoro (ibidem 2013); Occasioni, (ibidem, 2016); Nuzza ’mbriaca (ibidem, 2017), Sicilia: luoghi del genio (ibidem, 2019); C’era una volta un certo Stefano D’Arrigo di Ali Marina. Saggio consistente in risposte all’intervista dello scrittore Salvatore Cangelosi (ed. Torri del Ven­to, Palermo 2020). Nel Saggio di Giuseppina Sciortino, Campanili Siciliani 20 risposte alle altrettante domande della scrittrice Sciortino, sulla Sicilia, nel tempo, nelle sue tradizioni e dialetto/dialetti (ed. Prova d’Autore, 2021); Aquilia delle poiane (ibidem, 2021); Algebre e sigilli (ibidem, 2021).

Ha tradotto e curato una antologia delle opere di Taras Sevcenko (Ca­tania, 1989) per la quale gli è stato conferito assieme a Garcia Marquez il “Premio intemazionale Franko” a Kiev. Ha tradotto in siciliano l’edizione integrale del Pinocchio di Collodi (Catania, 1990). Traduzioni di lirici greci e poeti latini in antologie edite da Bompiani, a cura di Vincenzo Guarraci- no. Tre le tesi di lauree triennali svolte sulle sue opere letterarie in dialetto, più una laurea magistrale sul narratore e poeta, nell’università di Padova, relatore il prof. Silvio Ramat: Mario Grasso, uno scrittore tra simboli e polemiche (Anno Accademico 2009/10). Nell’università di Catania, laurea di Melania Campailla, e in

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Pubblicato da retroguardia

Docente e critico letterario. Dirige la rivista di critica letteraria "RETROGUARDIA". Si è occupato in particolare della narrativa di Guido Morselli e Gesualdo Bufalino. Altri interessi di ricerca riguardano anche la poesia contemporanea, la teoria della letteratura, il romanzo fantastico e comico, la metrica italiana. Suoi interventi critici sono apparsi in rete (Musicaos.it, Retroguardia, La poesia e lo spirito, ecc) e su alcune riviste di letteratura (Tabula rasa, Narrazioni, ecc). Socio fondatore dell’associazione culturale e membro del comitato di lettura di vibrisselibri, redattore de “La poesia e lo spirito” dal 2007.