DEGAS TRA PITTURA E LETTERATURA. Uno studio di Marco Fagioli

Marco Fagioli, L’ultimo Degas. Museo delle Culture, Firenze, Aión, 2017, pp. 245, € 24,00

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di Stefano Lanuzza

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Forse bisognerebbe poter scrivere come un artista figurativo disegna o dipinge e uno scultore sbozza, intaglia, scalpella, plasma o scolpisce… Ci prova Marco Fagioli, critico d’arte con esperienze internazionali e con all’attivo numerosi volumi anche interdisciplinari che spaziano dall’arte orientale a quella occidentale moderna e contemporanea. Altresì, Fagioli è un assiduo studioso di letteratura dedito ai prediletti Benjamin, Céline, Lévi-Strauss o allo scrittore palestinese-americano Edward W. Said.

Una conferma della vocazione comparatistica dell’autore, che coniuga la critica d’arte con quella letteraria, è il suo L’ultimo Degas. Museo delle Culture, Lugano (Firenze, Aión, 2017, pp. 245, € 24,00) dove Edgar Degas (1834-1917) appare, oltre che “completamente estraneo all’Art Nouveau”, come il meno integrato nell’eterogeneo gruppo degli impressionisti (Renoir, Manet, Sisley, Cézanne, Pissarro, Monet: impareggiabile manipolo di precursori di tutta l’arte a loro successiva).

‘Pittore di figure’ la cui naturalità è soprattutto allegorica, Degas è refrattario “al plein air e alla pittura di paesaggio” eseguita, per esempio, da Cézanne che dipinge, appunto, ‘all’aria aperta’ e, trasvalutando la maniera impressionista, si fa precursore del Cubismo.

“Tra gli impressionisti” denota Fagioli “Degas era quello che più proveniva da una formazione neoclassica e purista. [Formazione] tutta segnata da un rapporto con la tradizione della grande pittura europea” fenomenologizzata nella fase di passaggio dall’Ottocento al Primonovecento: prima che la Belle Époque dell’Esposizione Universale del 1899, del can-can, delle Folies Bergères o del Moulin Rouge ceda allo scoppio della Grande Guerra seguita dal crollo dei facili ottimismi diffusi in Europa dalla seconda Rivoluzione industriale presto consegnata alla pulsione di morte dei popoli e asservita alla produzione di nuove macchine belliche inaugurate nella Seconda Guerrra (1939-1945)… “Degas non fu” avverte lo studioso “un pittore della Belle Époque, anche se la fase finale della sua vita corrispose al tempo del mondo parigino. Egli si sentì piuttosto un sopravvissuto e sdegnosamente […] scelse di restare solo” dedicandosi anche alla sperimentazione delle possibilità artistiche della fotografia.

“Per analizzare bene il carattere del rapporto tra visione ed espressione che definisce la pittura di Degas,” spiega Fagioli intento a perseguire lo scopo di ‘far leggere’ nel proprio testo le immagini del suo artista di riferimento “si deve ricorrere a procedimenti analoghi della letteratura, e in particolare può essere illuminante il paragone con la scrittura di Marcel Proust”, il quale “ricorda Degas attraverso i discorsi dei suoi personaggi”.

Sono ‘frammenti’ di realtà oggettiva quelli che Proust e Degas riescono a comporre/trasporre in un discorso d’insieme dove la trascrizione linguistica proustiana funge da risonanza della tecnica pittorica degasiana e certo classicismo del pittore si transustanzia prima in un indeterminato impressionismo, poi in un vago o mai forzato naturalismo e infine in un antiaccademismo che talora lo approssima al realismo dei Maupassant e Zola. Anche se – tiene a precisare il critico – va stabilito che “Degas non fu mai né realista né naturalista, [ma] un impressionista fuori dalla linea dell’Impressionismo”; nonché, col suo armamentario tecnico implicante “il disegno, la pittura, il pastello, l’incisione”, un indocile e perfino stizzoso destabilizzatore del contesto dell’arte del suo tempo.

Quanto accomunerebbe l’autore della Recherche e Degas è il loro modo di comporre secondo i modi dell’‘associazione di idee’: l’uno i blocchi testuali i cui “cerchi associativi memoria-immagine si estendono progressivamenente nel racconto”, l’altro gli spazi del dipinto che spesso è costruito, trasgredendo i moduli prospettici usuali, “per linee oblique” ai fini di un’efficace “rappresentazione del movimento”. Quel movimento che dal pittore è rappresentato soprattutto nella sua serie delle “ballerine” e nello studio dei “nudi di donne spiate nella loro vita segreta”: ciò che spinge uno scrittore in crisi mistica come Joris-Karl Huysmans a imputare a Degas certe raffigurazioni paranaturalistiche della donna condotte “con un ‘accento particolare di disprezzo e odio’”… L’assunto è puntualmente contraddetto dallo stesso Degas che, poco interessato al sex appeal e al femminino, così precisa il suo disincanto: “Le mie donne sono persone semplici, oneste, che non badano ad altro che curarsi il fisico”. Parole che vorrebbero richiamarsi non tanto ad ambizioni realistiche o a un facile naturalismo, quanto alle implicazioni esistenziali suggerite dal corpo.

“Guardando, analizzando, spiando le danseuseso i corpi femminili nell’intimo di una toilette,” riflette Fagioli “Degas guardava il suo Io profondo, il suo se stesso, e quindi questo voyeur di donne spiate dal foro della serratura era alla fine un voyeur” autoreferenziale.

Poi Huysmans torna nuovamente a occuparsi di Degas nei libri L’art moderne (1880) e Certains (1889), approfondendo con giudizi positivi la propria analisi “sui nudi presentati dal pittore nell’ultima mostra degli Impressionisti”. Le opinioni di Huysmans sono avallate in À soi-même. Journal (1867-1915) da Odilon Redon che invoca “rispetto, rispetto assoluto” per Degas; che, con sprezzo d’ogni bon ton, non si perita di esprimersi su Huysmans nei seguenti termini: “È un coglione. Perché si occupa di pittura? Non ne capisce niente! Tutti questi letterati che credono di poter fare della critica d’arte, come se la pittura non fosse la cosa meno accessibile” (Alice Michel, Degas e la sua modella, “Mercure de France”, 16 febbraio 1919).

Un altro lusinghiero referente letterario di Degas – approfondisce Fagioli – va soprattutto ricercato “nella scrittura di Gustave Flaubert e nelle sue costruzioni in cui la ‘solidité’ assume un valore portante nel senso osservato da Proust.[…] Degas, andando oltre il classicismo della sua formazione e il tipo particolare di impressionismo della sua pittura più matura, giunge alla fine a un linguaggio in cui lo spazio oggettivo, strutturato attraverso la composizione, diviene spazio interiore, costruzione mentale”. Ne deriva un’identificazione che nullifica gli straniamenti fra pittura e letteratura, due arti che sempre più, dalla fine dell’Ottocento a oggi, appaiono ‘sorelle’.

Una vera “summa dell’arte di Degas” – precisa ancora il critico – appare infine “il libro di Valéry, Degas. Danse. Dessin” (1938), indispensabile anche “per intendere appieno la portata del significato rivoluzionario che ha avuto la visione del nudo femminile di Degas”, un esercizio di stile teso alla ricerca di verità non purovisibilitiche o ad effetto estetizzante.

Implicitamente, nel suo saggio, Valéry affronta il problema del linguaggio dell’arte figurativa che, a differenza della scrittura, non ha per scopo quella “precisione” negata dallo stesso Degas allorché, contraddicendo le teorie filomimetiche del Realismo, sostiene che “il Disegno non è la forma, ma la maniera di vedere la forma”: un’affermazione che a Valéry – nota Fagioli – fa correre “il rischio di accedere a una visione simbolista dell’opera di Degas, che in ultima analisi al pittore non si addice”. Ciò, pur tenendo conto del dipinto Intérieur (cm. 81×1,14; 1868-1869) che, ricco di valenze simbolico-psicologiche, richiamerebbe un episodio di stupro raccontato nel romanzo di Émile Zola Thérèse Raquin (1867)… Infine Degas “è stato il pittore che, al di là della frequentazione biografica, più ha interessato Valéry nella sua concezione dell’arte”.

E. Degas, Intérieur

Il risvolto simbolico di Interiéur – un quadro che non vuole trasmettere ‘impressioni’, ma è corredato di détailsriverberanti il codice narrativo di Zola – rappresenterebbe, peraltro, un modo per non aderire a moduli pedissequi del realismo e del naturalismo… Così, quando il modernista Manet si esprime su Degas affermando: “Gli manca la naturalezza”, non sa di rivolgere un complimento al più anomalo e aristocratico degli antimodernisti.

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Pubblicato da retroguardia

Docente e critico letterario. Dirige la rivista di critica letteraria "RETROGUARDIA". Si è occupato in particolare della narrativa di Guido Morselli e Gesualdo Bufalino. Altri interessi di ricerca riguardano anche la poesia contemporanea, la teoria della letteratura, il romanzo fantastico e comico, la metrica italiana. Suoi interventi critici sono apparsi in rete (Musicaos.it, Retroguardia, La poesia e lo spirito, ecc) e su alcune riviste di letteratura (Tabula rasa, Narrazioni, ecc). Socio fondatore dell’associazione culturale e membro del comitato di lettura di vibrisselibri, redattore de “La poesia e lo spirito” dal 2007.