Dovete sapere che non tutte le raccolte dello scrittore americano sono all’altezza. Anzi, ad esser scrupolosi, alcune raccolte di racconti sono proprio brutte; per esempio: A sud di nessun nord. Oppure l’intervista della Pivano: sicuramente inutile. Invece, se proprio devo segnalarvi dei titoli, vi consiglio Storie di ordinaria follia e Post office.
Che vi posso dire di Bukowski? E’ certamente uno degli scrittori più popolari del nostro secolo. E ciò non è un male. Con uguale facilità ha scritto romanzi, racconti e poesie. Nei suoi testi spesso narra con sottile ironia la società americana del suo tempo o tratta argomenti falsamente erotici, ravvivando così quel genere; in più, introduce un nuovo tipo di linguaggio, più duttile e vivo, che è diventato il modello della produzione narrativa di alcuni scrittori europei e americani (vedi Raymond Carver ).
Bukowski crea l’alter ego Henry Chinaski e ci si butta dentro. L’intensità della scrittura, insieme all’ironia, bilancia il grado di sovraesposizione dell’Io.
Bukowski sente e narra tutto l’orrore dei lavori a tempo e, soprattutto, l’intollerabilità della truffa della promessa americana.
Altra cosa: i personaggi di Bukowski hanno la forza che nasce dall’assenza di sottigliezze psicologiche. Questa affermazione potrebbe sembrare una contraddizione in termini, e non è la sola contraddizione dello scrittore che ha ispirato e continua a ispirare pagine e pagine ai maggiori e minori scrittori europei. Eppure, nei racconti di Bukowski, i personaggi hanno un posto nella memoria di chi legge e il lettore assimila completamente la loro esperienza. Come ciò avvenga, non saprei dire. Il resto è da bere così com’è versato nella coppa della propria anima.
Stop, non scrivo oltre, poiché lo scrittore americano non avrebbe approvato le mie letture critiche: pensava che parlare di letteratura per ore fosse da pazzi e da sfigati. Ed io potrei pure accettare di passare per pazzo, ma per sfigato mi pare troppo. Non oggi, almeno.
f.s.