“Cato Maior de Senectute” di Marco Tullio Cicerone

Cicerone- Cato Maior de Senectute

di Francesco Sasso

Cato Maior de Senectute (L’arte di invecchiare) di Marco Tullio Cicerone è un’operetta in cui parla quasi costantemente il vecchio Catone (Scipione Emiliano e Lelio gli altri due personaggi), che loda la vecchiaia e ribatte le accuse che vengono generalmente rivolte:

 

«E dunque, quando rifletto dentro di me, trovo quattro cause per cui la vecchiaia appare infelice: la prima è che distoglie dalla vita attiva, la seconda è che rende il corpo sempre più debole, la terza è che priva il vecchio di quasi tutti i piaceri, la quarta è che non è molto lontana dalla morte. Di queste cause, se volete, vediamo quanto ciascuna sia importante e quanto sia giusta» (pag.43)

 

 Mantenendo il discorso sul tono di una serena conversazione, egli dibatte una ad una le quattro cause e nega che la vecchiaia e la morte debbano essere considerati un male, poiché

 

«Rimane intatta ai vecchi l’intelligenza, a patto che rimangano fermi gli interessi e l’operosità, e questo non solo in uomini illustri e famosi, ma anche in chi ha avuto una vita riservata e quieta» (pag. 47)

 

e, comunque:

 

«Di ciò che abbiamo, solo di questo è lecito far uso, e qualunque cosa fai, falla secondo le tue forze» (pag. 49).

 

Nel De Senectute Cicerone delinea l’ideale di una vecchiezza operosa, dedita alla coltivazione della terra – bellissima la parte in cui descrive la magnificenza della natura – e dello spirito, nonché all’ammaestramento dei giovani.

 

Catone, in particolare, fa notare come i personaggi più illustri della storia della repubblica abbiano sopportato tali mali con grande forza d’animo e non li abbiano temuti.

 

Tuttavia l’appuntamento con la morte immancabilmente arriverà:

 

«Che c’è infatti di più stolto che prendere l’incerto per il certo, il falso per il vero? […] Quando infatti la fine arriva, allora ciò che è passato è sparito; rimane quel tanto che tu hai saputo conseguire con il tuo valore e le tue buone azioni. Passano le ore e i giorni, i mesi e gli anni, e il tempo trascorso non torna mai indietro, né si può sapere quello che verrà poi. Il tempo che viene concesso da vivere a ciascuno, di quello lui deve accontentarsi» (pag. 77)

 

Bella l’immagine del vecchio/navigante che, dopo un lungo viaggio, vede terra:

 

«e davvero la vecchiaia è per me così gradevole, che più mi avvicino alla morte, più mi sembra di vedere terra e di essere prossimo ad entrare finalmente in porto, reduce da una lunga navigazione» (pag.79)

f.s. 

[Cicerone, L’arte di invecchiare, trad. Bartolomeo Rossetti, Tascabili Economici Newton, 1994, pp.97, 1000 lire]

 

 

Pubblicato da retroguardia

Docente e critico letterario. Dirige la rivista di critica letteraria "RETROGUARDIA". Si è occupato in particolare della narrativa di Guido Morselli e Gesualdo Bufalino. Altri interessi di ricerca riguardano anche la poesia contemporanea, la teoria della letteratura, il romanzo fantastico e comico, la metrica italiana. Suoi interventi critici sono apparsi in rete (Musicaos.it, Retroguardia, La poesia e lo spirito, ecc) e su alcune riviste di letteratura (Tabula rasa, Narrazioni, ecc). Socio fondatore dell’associazione culturale e membro del comitato di lettura di vibrisselibri, redattore de “La poesia e lo spirito” dal 2007.