Breve nota su tre elegie di Hölderlin dal “Quaderno in folio di Homburg”

Breve nota su tre elegie di Hölderlin dal “Quaderno in folio di Homburg”

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di Domenico Carosso
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L’Almanacco delle Muse per l’anno 1808 è il progetto poetico che Hölderlin elabora al suo ritorno a Nürtingen da Ratisbona, quando inaugurando una fase di profonda rielaborazione di alcune elegie, come Ritorno in patria, Stoccarda e Pane e vino che induce e anzi costringe lo studioso che se ne occupi a rivedere le proprie considerazioni. Che sono di due tipi. Hellingrath e Beißner, all’opera durante la prima guerra mondiale, di cui peraltro fu poi vittima, il primo, e il secondo attivo negli anni dal 1943 al 1947, trascurano, con buone ragioni i testi monchi, scarni, sempre visti e rivisti dall’autore, in fin dei conti e in buona parte illeggibili, e lo stesso fa il compilatore della StA, (Stuttgarter Ausgabe, edizione di Stoccarda) che considera valide solo le pagine compiute e “leggibili”.

Lo studioso considera in due distinte sezioni gli inni e le elegie che sono di forma compiuta, mentre trascura i cosiddetti “abbozzi innici” che hanno posto in altra sezione, e tutto il resto come frammenti e notizie non altrimenti integrabili nel corpo autentico del testo finale.

Uno dei più recenti commentatori, Michael Knaupp, ha da parte sua deciso di pubblicare e commentare solo le pagine sicuramente hölderliniane, tralasciando quelle ambigue, troppo corrette o i passi scritti e riscritti.

Dunque propongo alcune considerazioni sul testo “definitivo” delle elegie.

L’elegia Heimkunft, an die Verwandten (Ritorno in patria, ai parenti) si conclude ‒ dopo un magnifico inizio, la festa della montagna e della valle che si risvegliano dalla notte chiara, col vento che muove e agita i cuori che parlano più parole nuove, e questa volta non indicibili ‒ si conclude con un inaspettato riferimento alle scoperte, che vanno là dove hanno casa le idee («Aber Erfindungen gehen wo Einfälle das Haus hat». Una variante accolta da Reitani, autore del monumentale HölderlinTutte le liriche, suona così: «Ma dileguano le idee, se la casa ha rovine perfide», «wo Einfälle das Haus hat / Hehlings».

Nella prima frase Einfall significa idea, mentre la seconda propone la variante «crollo, rovina».

In comune con le precedenti elegie questa ripropone il motivo del viaggio e del ritorno, della memoria cui si riferiscono gli uomini pronti ad un’esistenza armoniosa e priva di conflitti.

Stoccarda,scritta nel 1800, contiene a sua volta varianti in una seconda stesura. Cui si richiama il «grave destino non eloquente» che è quello di una storia la quale sembra non aver lasciato proprie tracce nella comunità. Identico è invece l’inserto, nelle due stesure, che invita i giovani al seguito del dio della gioia Bacco ad accompagnarlo nel suo andare verso il settembre della vite e del vino, insomma l’autunno, rimandando le nozze al maggio felice.

«Se vuoi sposarti, pazienta, gli amanti fa felici il maggio («Freier beglüket der Mai)», un commento che in altra stesura non è così diretto e ampio.

«I viandanti sono ben condotti e hanno / ghirlande abbastanza e canto, Hanno la verga sacra / Tutta adorna di uve e fronde con sé e ombre / Di abeti; di borgo in borgo si esulta, di giorno in giorno / E come carri cui siano attaccate libere fiere / Così procedono i monti e rapido e pigro il sentiero». (trad. Vigolo).

Tigri e pantere trascinano, secondo la tradizione mitologica, il carro di Bacco, altre volte paragonato a Cristo e a Eracle. Ma su questo punto ritorneremo.

Con i viandanti sono nominati, nella sezione terza, gli eroi del tempo passato, Barbarossa, il benigno Cristoforo e Corradino, il cui destino esalta i cuori, e li dispone ad accettare alcuni fatti della storia; perché il passato come il futuro, è sacro ai cantori, e «nei giorni d’autunno plachiamo i cuori».

Col Dio manifesto e palese, che cioè manifesta gli avvenimenti, e partecipa ad essi, questi si rivelano e si ammantano di una nuova luce, e poeticamente «Offen steht jetz wieder ein Saal», aperta è di nuovo una sala, e i termini offen, offenbar, das Offene, segnalano la divina apertura della poesia, che rivela e accoglie, ovunque e in particolar modo nella valle mattutina, in Heimkunft e in Stutgard.

In Pane e vino, ai vv. 57 e seguenti, si ripropone l’aperto, nei termini di un segno originario, la presenza del Dio che “ove giunge crea”: «così prendono stanza i celesti, e spargendo un brivido fondo / fuori dalle ombre scende, fra gli uomini, il loro giorno” (trad. Vigolo, versi 88-89).

Come la valle, l’apertura della sala è la dispiegata struttura della rivelazione, dell’accoglienza totale e cordiale, e «risanato è anche il giardino, e rianimata da piogge stormisce la valle lucente. E il divino, in Hölderlin, è anch’esso aperto e palese, come appena accennato, aperto e comune, pronto a darsi a tutti, non solo ai poeti

Sempre in Pane e vino il poeta motiva la visione esperia, cioè occidentale, del futuro e riprende il motivo dell’aperto scrivendo:

«Fuoco divino anche incita, di giorno e di notte / ad incamminarci Su vieni! Guardiamo allo spazio aperto / cerchiamo quello che è nostro per lontano che sia», con la denominazione dei celesti come atto fondativo della creazione della cultura, e collaborazione tra gli umani e il divino. In più il divino si manifesta nel vino, trait d’union tra Dioniso e Cristo che li fa fratelli, e il vino come «dono di cui potessimo umanamente allietarci», verso 133).

Il luogo del divino è la Grecia beata, dimora dei celesti tutti, che invita e ricordare i pensieri della gioventù, cioè la «sala grandiosa, dove il suolo è mare, e mense i monti / certo a quell’unico uso eretti fin dall’antico … un antico in cui splendono i detti che colgono lontano (vv. 55-61, trad. Crescenzi)».

L’elegia Ritorno in patria (Heimkunft), poi, prima sezione, fa seguire alla visione della valle aperta e accogliente una riflessione naturalistica, che è la seguente. Il colore degli ulivi greci, che Anacreonte chiama chloròs, è spesso e impropriamente tradotto nell’aggettivo “glauco” mentre Savinio spiega, con Hölderlin alla mano, che la qualità marina di questo aggettivo, il suo umidore, le immagini opache che esso evoca, la sua stessa sonorità cupa, rotonda, sdentata, molle, da “tuffo”, si addice alle cose marine e soprattutto sottomarine, non al fogliame dell’olivo greco, così terrestre, così asciutto, così palladico1.

In tale contesto e ambiente “naturalistico”, terra e luce, gli «angeli della casa» e gli «angeli dell’anno» sono detti i custodi perché, salutando, portano il sereno all’apparire radioso nella cui chiarezza la natura delle cose e degli uomini è conservata intatta nella sua verità. Gli angeli procurano il sereno, e la casa è lo spazio che si apre per gli uomini che solo in esso possono trovare il dono della terra intatta, la propria salvezza.

Questa considerazione di Heidegger mira a chiarire che ciò che è conservato intatto è di casa nella sua essenza. Inoltre quanto i poeti «considerano / o cantano riguardano soprattutto gli angeli e lui», e lui è il dire poetico.

Inoltre «il poeta tragico fa bene a studiare il lirico, il lirico l’epico, l’epico il tragico; poiché nel tragico sta la perfezione dell’epico, nel lirico la perfezione del tragico, nell’epico la perfezione del lirico. Sebbene poi la perfezione di ognuno sia un commista perfezione di tutti, peraltro solo uno dei tre lati è in ciascuno ciò che più spicca ed è messo in esponente»2.

Anche qui l’uno si inserisce nel diverso, e viceversa, e si ha una circolarità dei movimenti estetici, a volte riuniti sotto un unico vocabolo, come succede con la parola Einfall e i suoi due diversi e opposti significati, presenti nella sopracitata elegia Heimkunft, Ritorno in patria.

Considerare il lirico come perfezione del tragico è il particolare interesse di Hölderlin; il ritmo poetico è attivo nel perire, nel dileguare che però si sublima in una Begeisterung, un’esaltazione che si risolve nel tutto, nell’insieme articolato e altamente significativo del tutto, dell’intero processo, insomma della totalità.

Proprio in questo senso astratto e poetico si incontrano come due estremi che si integrano e nei quali lo Spirito trova accoglienza, esibendo le strutture sintattiche e categoriali nelle quali trova poi posto il suono della lingua che assumerà in sé il poetico.

«Così l’astratto» – scrive Vigolo – «è un momento necessario della creazione poetica hölderliniana. È una sorta di anacrusi, di tempo in levare, prima della battuta poetica vera e propria, in cui l’astratto si corporeizza in suono –parola. L’astratto è l’elemento arido e tralucente dell’aorgico che cerca una personalità nell’organico, come l’organico la cerca nell’aorgico, negli elementi, negli dèi» (Vigolo cit., pp. LXXIII).

Sarà possibile cogliere questo aspetto se non ci si limita alla singola immagine ma si abbraccia l’intera figura, la forma, ciò che rende viva l’elegia inserendola nel tutto delle singole composizioni.

Succede così, per esempio, che in Pane e vino si passa dalla visione quotidiana del lavoro, tra perdita e guadagno, del tedesco, alla considerazione mitopoietica delle figure trascendenti e fascinose di Cristo, fratello di Dioniso e di Eracle, e del loro mondo, a tutta prima diverso dal nostro, che però nei momenti alti a quello divino si ispira.

Le elegie in parola mostrano poi anche un dolce agognare, una sobrietà che Goethe, pur così avaro di considerazioni positive sul lavoro di Hölderlin, chiamò Genügsamkeit, propria davvero della poetica del Nostro. La quale che esprime il gusto della misura, della levità e pone l’attesa della realizzazione del divino nell’armonica contrapposizione con l’umano ed è poi anche vivente intuizione, identità della Begeisterung, non solo vicinanza dell’umano e del divino, ma entusiasmo e spiritualizzazione, che investono da parte loro l’umano divenire, ponendolo in concorrenza con la Begeisterung.

Non diversamente Hegel considera, nella sua Scienza della logica, l’inquietudine del divenire che però precipita in un risultato calmo, del tutto simile alla sobrietà hölderliniana3. Che si esercita nelle elegie sopra velocemente discusse.

Le traduzioni italiane sono:

F. Hölderlin, Poesie, a cura di G. Vigolo, Oscar Mondadori, 1971, ristampa 1976

Id., Tutte le liriche, a cura di L. Reitani, Mondadori, Meridiani, 2001

Id., Poesie, a cura di L. Crescenzi, Rizzoli, Bur, 2001

I passi citati sopra compaiono col nome del curatore-traduttore e con la pagina dell’edizione volta per volta chiamata in causa.


NOTE

1 A. Savinio, Ascolto il tuo cuore, città, Bompiani 1988, p. 185.

2 F. H., Frammenti sulle arti poetiche, ed. ted. Meiner, 1986, III, p. 275.

3 Hegel, WdL, a cura di G. Lasson, Meiner, I, p. 93.

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Pubblicato da retroguardia

Docente e critico letterario. Dirige la rivista di critica letteraria "RETROGUARDIA". Si è occupato in particolare della narrativa di Guido Morselli e Gesualdo Bufalino. Altri interessi di ricerca riguardano anche la poesia contemporanea, la teoria della letteratura, il romanzo fantastico e comico, la metrica italiana. Suoi interventi critici sono apparsi in rete (Musicaos.it, Retroguardia, La poesia e lo spirito, ecc) e su alcune riviste di letteratura (Tabula rasa, Narrazioni, ecc). Socio fondatore dell’associazione culturale e membro del comitato di lettura di vibrisselibri, redattore de “La poesia e lo spirito” dal 2007.