“La Volonté du roi Krogold” di Louis Ferdinand Céline (appunti di lettura) [Parte 1/3]

La Volonté du roi Krogold di Louis Ferdinand Céline (appunti di lettura)


di Luisa Crismani

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ovvero cronaca dal Medioevo, aggiungeremmo noi, un medioevo da opera, scrive l’autore alla sua segretaria Marie Canavaggia, perché, aggiunge, “che fare della realtà!”. Alla stessa Canavaggia in un’altra lettera, scriverà che l’immaginazione è l’unica virtù che si confà a noi, “specie di morti a metà tra ricordo e delirio, perché il resto è irrespirabile”.

Ma non di Medioevo da opera si tratta. Nessun romanzo di Céline contiene tanta violenza. Fisica. Di un corpo contro un altro corpo, di una folla massacrata, di un cavallo morto di sete e di fatica, di persone sbranate da cani, di torture, di incubi. Due grandi temi giganteggiano in questo romanzo: la violenza e la paura.

E’ un manoscritto, rivisto più volte, dicono i curatori dell’edizione, quasi pronto per essere dattiloscritto, e poi ricorretto magari tante altre volte ancora, com’era solito fare l’autore. Non pronto quindi per la pubblicazione, ma Céline a questo lavoro teneva tantissimo, a Milton Hindus scriverà che lì stava tutta la sua musica.

E’ con questa curiosità che si legge e rilegge.

Perché? Come mai Céline ci teneva tanto? Per via della Bretagna? Una parte dell’azione si svolge a Rennes. Per via delle ascendenze nordiche? I francesi, quelli stessi che in Voyage sosteneva essere un’invenzione: gente arrivata da tutta Europa, sull’onda di carestie, pestilenze, invasioni dei barbari, magari barbari anch’essi, e fermati, arrestati, bloccati dall’oceano.

Ma invece poi si ravvede e le radici celtiche, sue e dei suoi compatrioti, le rivendicherà sempre. Fino a Rigodon, e siamo nel 1961, in cui immagina la Francia invasa dai cinesi, che moriranno poi tutti distrutti dall’alcool… piaga che aveva segnalato come letale per un popolo, anche il suo. E bravo Céline! Fustigatore dei cattivi costumi.

Krogold lo scrive durante la guerra, tra il 1939 e il 1940, anni un cui, lo si evince dalle lettere, le sue preoccupazioni personali riguardano soprattutto un trasloco (andrà a vivere con Lucette da sua madre, rue Marsollier), e il lavoro come medico, e avrà un posto al dispensario di Sartrouville. Della scrittura di Krogold non parla con nessuno, tranne quel cenno alla Canavaggia.

Fatto sta che c’è la guerra, e Krogold se l’è portato dietro sul Chella, dov’è imbarcato come medico di bordo.

Ci ha lavorato durante la navigazione? Malgrado le disavventure, il naufragio, il ritorno faticoso a Marsiglia? Certo è che ci ha lavorato di ritorno a Parigi, lo attestano i curatori.

Ma dopo tutto non sono queste le domande che dovremmo porci, a meno che non ci spinga una curiosità un poco insana di voler rintracciare (pretesa vana!) il punto esatto dell’ispirazione. Queste sono chiacchiere, bla bla, direbbe Céline, a ragione.

Mettiamoci a distanza invece e guardiamo il testo.

Si attacchi al testo! Lasci perdere critiche e biografie, si attacchi al testo come il cane all’osso!” Mai dimentico le parole di Giuliano Baioni a proposito di un arduo lavoro che andavo facendo su Rilke. Del resto è mia convinzione che l’opera letteraria sia un universo in sé, autosufficiente.

Cominciamo dall’inizio. Farò riferimento all’edizione dell’aprile 2023 nella collezione Blanche di Gallimard. Bene ha fatto l’editore a riprodurre nella fascetta un particolare della Danza macabra affrescata nella chiesa di Santa Maria delle Lastre a Beram (Croazia). Un re, una regina e in mezzo uno scheletro, con l’indice sollevato, a monito. I due sovrani hanno occhi perplessi, attoniti, per non dire ottusi, è la morte invece che ha proprio in fondo alle orbite vuote quello sguardo “come di coloro che sanno”, che Céline descrisse in Voyage au bout de la nuit.

Il romanzo, dovessi trovare un aggettivo, lo definirei “incantatorio”. Al punto che ci si dimentica che è un manoscritto, non un lavoro pubblicato dall’autore. Quindi passibile ancora di cambiamenti.

Si compone di 13 sequenze. Non è stato messo, in fondo al volume, un indice, bisogna farselo da sé, e questo l’avevamo già fatto per Londres e Guerre.

Non c’è né il glossario né l’elenco dei personaggi, e quest’ultima stavolta è proprio una lacuna grave.

Quanto al lessico medievaleggiante che Céline largamente impiega, anche se non in tutte le sequenze, Régis Tettamanzi, nel rimarcare che non ne è stato fornito un lessico (nell’edizione, molto più annotata, della Pléiade), segnala che per alcuni termini sono state fornite equivalenze difficilmente raggiungibili attraverso l’uso del dizionario. Ma almeno una di queste ci sembra errata o per lo meno imprecisa. (Sequenza VI, nota1)

Entriamo adesso in argomento. Mi propongo qui di raccontare in maniera sintetica le 13 sequenze, segnalando di volta in volta i temi che mi sembrano di maggior interesse. Ripeto, per chi non avesse avuto modo di leggere le mie precedenti note e riflessioni, che non sono un critico ma un lettore, anche se molto attento.

Sequenza I (p.35-42)

Gwendor, il Principe fellone, che ha sobillato la città di Christianie (l’attuale Oslo) contro il Re Krogold, con la cui figlia Wanda si è segretamente fidanzato, è moribondo dopo una sanguinosa battaglia tra i due eserciti. Trafitto da una lancia, che gli entra dal collo e gli esce da un fianco con un’orrenda ferita, piantata poi al suolo, invano scalcia e si dimena per tentare di liberarsi. Intorno a lui “l’immensa agonia di un’armata”… “vincitori e vinti rendono l’anima come possono tra grandi sofferenze”. Tutta la notte dura l’agonia di Gwendor e all’alba la Morte gli si para innanzi. Gwendor la prega di lasciarlo vivere ancora un giorno o due, così potrà vendicarsi e uccidere Krogold. La implora – paradosso tipico céliniano – di soffiargli lo spirito vitale attraverso la ferita che ha sul fianco. Ma non ci sarà niente da fare, alla fine la Morte se lo porta via.

Un tema che compare in questa sequenza, e che ci inseguirà per tutto il romanzo, è quello della magia, della – diremmo noi oggi – superstizione. Perché Gwendor sapeva alcune parole magiche che, se le avesse pronunciate quando stava perdendo la battaglia, unite alla promessa di partire per la crociata, avrebbero mosso in suo aiuto stuoli di arcangeli e la sorte gli sarebbe stata favorevole. Perché le ha dimenticate? Chi lo ha tradito? Chi gli ha fatto il sortilegio?

Torneranno, questi interrogativi… del resto siamo nel Medioevo!

Sequenza II (p.43-53)

Dopo la battaglia, l’esercito di Krogold si accampa in una zona paludosa, che il Re aborre, perché gli ricorda che suo padre, di ritorno da una crociata, fu ucciso a tradimento in una zona simile. La sua tenda viene eretta tuttavia su un rialzo del terreno più asciutto. La tenda, descritta in modo particolareggiato, è sontuosa, gli è stata regalata dal Grand Turk ed è sormontata da una mezzaluna d’oro puro, splendente nella notte.

Tutta la sequenza è incentrata sulla figura di Krogold e sulla sua volontà, che gli fa sopportare in silenzio il dolore acuto e tormentoso a una gamba (è stato ferito all’alluce) perché “Un re che altri vedano soffrire non è più un re. Intorno al trono girano i lupi, girano solo lupi. Una prima ferita al re e il branco lo finisce.”

Così si aggira per l’accampamento, con addosso ancora tutta l’armatura, pesante, zoppicando penosamente nel fango… ma “un Re deve sapere, sapere tutto.” Assiste così, nelle nebbie, a una danza/sfilata di spiriti fantasmi, gente che lui ha fatto uccidere o che è morta in battaglia o per conto suo, come una nipote morta di parto e suo marito… Spiriti dannati, che vengono a soffiargli nelle orecchie, solo le facce prima, poi tutti i corpi, mescolati… con sciabordio di palude o fiammelle che volteggiano in alto nel cielo. Non ne ha paura. Lo fanno persino ridere, lui, lo ripete più volte, non ha paura di niente. E ripensa a Christianie, la città che gli si è ribellata, sobillata da Gwendor, e che adesso aspetta la giusta punizione, e di questa, e della paura che genera senza dubbio nella città, il re sembra godere.

Il racconto ha un’impennata quando Krogold cerca con gli occhi nella nebbia la sua tenda e si accorge che la mezzaluna d’oro è sparita! Una rabbia furiosa lo assale e sempre zoppicando e imprecando continua la sua ispezione e constata che nessuno è di guardia, tutti dormono, tutti. Quando trova che parecchi dormono sulla paglia dei cavalli va a prendere gli animali, nel fango e all’addiaccio e fabbrica per loro un riparo… ma sempre il pensiero della mezzaluna lo perseguita, impreca, bestemmia, ruggisce di rabbia, di dolore fisico e d’impotenza. E alla fine la troverà, accanto a quello che sembra un grosso pacco nel fango e invece è un uomo, il ladro. Krogold lo sgozza col pugnale senza pensarci un attimo e poi infierisce su di lui, gli spacca la cassa toracica a colpi di speroni, lo insulta. Recuperato la mezzaluna la lava nell’acqua e torna nella tenda. Si addormenta di colpo, la mezzaluna tra le braccia. E fa un sogno…

Su questo sogno si chiude la sequenza.

Uno si chiede: è questa la Volontà del re Krogold? che dà il titolo al romanzo? Questo voler sapere tutto, vedere tutto, inflessibile, crudele? Un sovrano assoluto?

La sequenza successiva darà in parte una risposta.

Sequenza III (p. 54-62)

«Che foresta! Così alta, così folta alla sommità, ramaglie così fitte che ci si vedeva appena, a mezzogiorno, il percorso s’insinuava tra una radura e l’altra».

Così inizia la sequenza, con un nuovo panorama, finite le nebbie e il fango dell’accampamento di Krogold, ormai lontano il campo di battaglia dove la Morte, con mille altri, ha portato via Gwendor, ci addentriamo, non da soli ma seguendo un cavaliere a galoppo sfrenato, in una foresta in cui arriva, tuttavia, il rumore forte del mare che s’infrange sugli scogli. Nella foresta, ci viene detto quasi subito, i padroni sono i lupi, che nessuno può permettersi di uccidere. I lupi sono del Re, solo lui può farlo.

«Per venti leghe tutt’intorno i lupi facevano carneficina, di bestiame e di contadini.

Nessuno infine poteva penetrare nella foresta tranne il Re in temibile equipaggiamento o qualche messaggero latore di notizia straordinaria su destrieri più veloci del vento. Così cavalcava questo teso, chino sul collo dell’animale, gli speroni piantati sanguinanti.

– Taga dam! Taga dam!»

Eccola qui la prima onomatopea, i lettori di Céline sanno che verranno utilizzate in gran numero, fino agli ultimi romanzi.

Il cavaliere ci porta fino al castello, descritto prima dall’esterno, in modo minuzioso e poi, una volta passato il ponte levatoio, nel grande cortile, dove il cavallo inciampa, s’impenna, obbligando il cavaliere, e noi con lui, a scendere.

Incontriamo così la Regina con la sua corte, dame e paggi, e, andata via lei, la principessa Wanda. Di lei finora sapevamo solo dalle parole di Gwendor alla Morte, ma adesso lei si prende tutta la scena, subito e per tutta la sequenza. E’ lei la protagonista. E ci imbattiamo nel primo termine sicuramente antico: “banneret”.

Tettamanzi spiega in nota che si tratta di “un cavaliere che ha la possibilità di radunarne altri sotto la sua bandiera”, che è più o meno quello che dice un dizionario, ma che non calza affatto con la nostra situazione. Il nostro banneret non sembra avere nessun potere, se non quello di riferire un messaggio. Messaggero, quindi? Araldo? Nunzio? Forse meglio optare per un termine dell’italiano trecentesco (Boccaccio, Decamerone), banditor, che ha anche il merito di avere l’accento sull’ultima sillaba, come banneret.

La principessa reitera più volte il termine, e anche il nostro così si autonomina. Perché Céline lo ha usato? Sono questi, sofismi? No, se consideriamo il fatto che Céline ha descritto un medioevo cercando di usare in un certo modo le parole, usando termini arcaici facilmente per noi leggibili ma anche, come in questo caso e qualche altro, difficilmente comprensibili appieno. Questi non sono solo problemi di traduzione, sono proprio problemi di comprensione, di riuscire cioè a entrare nel romanzo del tutto, senza lasciare niente indietro… tanto la storia si capisce lo stesso… Céline non accetta un lettore passivo. Con lui bisogna lavorare.

Comunque. La principessa Wanda è un osso duro. Descritta come bellissima, un elfo che vola sui gradini, vezzosa, lieve, una rosa nel sole…Il cavaliere s’inchina e fa per andarsene. Non gli sarà possibile. La principessa vuole sapere. Se il banditor non le dirà quello che lei chiede, lo farà impiccare. Invano il pover’uomo obietta che ha giurato al re, che non può, che non sa… La principessa è irremovibile.

« – Fissami qui cavaliere! Direttamente in viso! Che tu per una volta non dica una menzogna…

Egli osò alzare il capo ma gli occhi della principessa non lo lasciavano..

– Pietà di me! Pietà di me! Vi dirò tutto! Vostro padre mi farà impiccare! Ho giurato!

– Voi giurate ovunque cavaliere! Dite presto prima che mi arrabbi! Gli alberi hanno pianto l’altra notte… Tutti gli arcieri sugli spalti hanno riconosciuto morti… erranti tra le nebbie marine… […]

Il cavaliere allora sbatté la testa per terra, si batté tre volte la fronte, e poi quattro, e messe le braccia larghe in croce, gridò la confessione.

– Per dovere mio! Sul mio onore! Pietà! Pietà! Gwendor è morto! Gwendor è punito!

La principessa si teneva impettita, non mostrava emozioni e persino sorrideva appena.»

Niente lacrime quindi, del resto la promessa che si erano scambiati lei e Gwendor era un segreto. Invece manifesta compiacimento perché i fatti sono andati secondo la volontà del Re.

E su questo insiste, ordinando al banditor di riferire al Re che anche al castello tutto ma proprio tutto andava secondo la sua volontà, dalla pentola che bolle allo spiedo che gira, alla campana che suona, al respiro dell’aria, alla resa dell’anima.. “tutto avviene solo in obbedienza e ossequio ai suoi ordini e fedele alla sua ragione”.

Dubitiamo, noi lettori, che Krogold apprezzerà la sottile perfida ironia delle parole della figlia. Ma ci è chiaro che questa giura in cuor suo di vendicarsi, e in Londres lo scontro fra i due sarà descritto.

Ma adesso congeda il banditor, gli dà un nuovo cavallo, dato che il suo giace lì sulla piazza morto, con la lingua fuori, che sembra cercare di bere sulle pietre, e gli ordina di tornare immediatamente dal Re, senza mai fermarsi… più veloce del vento.

(Continua…)


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Pubblicato da retroguardia

Docente e critico letterario. Dirige la rivista di critica letteraria "RETROGUARDIA". Si è occupato in particolare della narrativa di Guido Morselli e Gesualdo Bufalino. Altri interessi di ricerca riguardano anche la poesia contemporanea, la teoria della letteratura, il romanzo fantastico e comico, la metrica italiana. Suoi interventi critici sono apparsi in rete (Musicaos.it, Retroguardia, La poesia e lo spirito, ecc) e su alcune riviste di letteratura (Tabula rasa, Narrazioni, ecc). Socio fondatore dell’associazione culturale e membro del comitato di lettura di vibrisselibri, redattore de “La poesia e lo spirito” dal 2007.