Riccardo Ferrazzi, “Modus in rebus”

Riccardo Ferrazzi, Modus in rebus, Morellini Editore, 2023, pp.298, € 19,00


di Luigi Preziosi

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Con Modus in rebus (Morellini, 2023), Riccardo Ferrazzi arricchisce di un tassello assai significativo il mosaico già ampiamente sviluppato della sua produzione letteraria. La vastità di respiro della storia e la molteplicità degli spunti tematici offerti differenziano il romanzo dalle precedenti prove dell’autore. Il libro pare segnare una svolta nel suo percorso: di certo, evidenzia un desiderio di dire di sé più impellente di quanto emerge nei suoi romanzi e racconti passati. Di alcune tracce lasciate nel testo si può immaginare la natura di memoria di vita, anche se trasfigurate in un racconto certo non propriamente autobiografico. E sono segni evidenti, come la doppia ambientazione spagnola (Salamanca) e italiana (Milano), ma anche, e soprattutto, segni non distesamente descritti, ma intuibili nel tessuto narrativo, come si addice a stati d’animo legati a condizioni esistenziali.

Vittorio Fabbri, giovane manager trentenne all’inizio della vicenda, si divide per motivi di lavoro tra Milano e la Spagna, che ama anche a prescindere dalle sue attività professionali. Frequenta in particolare Salamanca, la città universitaria, dove lo attende un ristretto giro di amici tra cui Fernando, Javier e Miguel Angel, figlio di un ricco possidente, German Garcia, già allevatore di tori, che poi venderà ad un notabile del luogo suo rivale, Eleuterio Diaz Herrero, gestore della Plaza de Toros. C’è, presenza di gran lunga più significativa, anche Maite, una ragazza di cui tutti, più o meno apertamente, o più o meno consapevolmente, sono innamorati. Anche Vittorio (o Victor, alla spagnola), ed in lui il sentimento si fa più denso a mano a mano che la ragazza si rivela (o appare) ambigua, come il suo sguardo bellissimo e sfuggente: “era imprevedibile. Eppure mi bastava vederla da lontano per provare l’euforia del primo stadio dell’ebbrezza, e in quella condizione era fin troppo facile fraintendere le sue risate o i suoi silenzi… Ci sono giorni in cui il volto di Maite è qui nella mia mente e mi blocca il respiro.”

Ricambia Maite il suo amore? Vittorio ne è convinto, ma solo a tratti: i segnali sono contraddittori e chi li interpreta frastornato.

Una notte, un giovane sacerdote, Don Augustin, molto noto in città per il fascino delle sue omelie e per la brillante attività accademica, viene ucciso: una banderilla nella schiena, e una testa di toro di cartapesta sul volto lasciano pensare ad un omicidio rituale o comunque di difficile decifrazione.

Vittorio è nel frattempo avviluppato in una serie di vicende, menzogne e di incontri che contribuiscono al suo spaesamento, tanto più che Maite poco dopo l’omicidio scompare. Perché? Ha avuto un ruolo nella tragedia di Don Augustin?

Passano vent’anni, e Vittorio, ormai da tempo rientrato a Milano, non riesce a dimenticare. Torna in Spagna, deciso a conoscere la verità su quanto accaduto a Salamanca e, soprattutto, sul mistero che per lui è stata ed è ancora Maite. Ma rientra a Milano senza risposte. Qui, dopo un periodo di abulia, abbandona la sua attività e entra in società con Sergio Viganò, libraio e piccolo editore. Conosce così un ristretto cenacolo letterario: tra i diversi scrittori che lo compongono, una donna dal fascino arcano e dal comportamento imprevedibile, Bianca, lo attrae come Maite tanti anni prima. E quando un giorno un autore del gruppo, Turchetti, viene trovato cadavere, chiuso a chiave dall’interno di casa sua, Vittorio intuisce che il passato non è passato del tutto. Almeno il suo.

Da qui, la vicenda vira con più decisione verso il poliziesco, e per il recensore quindi è d’obbligo astenersi da ogni rivelazione in merito. Ma Modus in rebus ha diverse porte di accesso. La storia si dipana tra le solarità barocche della Spagna, dalle quali germogliano alcuni misteri e sottili crudeltà, evidenti nell’omicidio di don Augustin, nell’ambiguo ondeggiare sentimentale di Maite, ma pure in tutto ciò che a Salamanca ruota intorno al protagonista, e la razionalità milanese, inadeguata ad alleviare ricordi non pacificati e, ancor più, a risolvere snodi esistenziali incompiuti.

Ma anche se inclina verso l’avventuroso e il poliziesco, affiorano ripetutamente reperti che lasciano intuire le intenzioni più riposte di Vittorio (e di Ferrazzi). La sua vicenda, proprio per i suoi non pochi aspetti enigmatici, può leggersi come raffigurazione simbolica di una ricerca di senso. Non riguarda, quindi, il solo protagonista, ma punta ad un coinvolgimento diretto di chi legge. E tentativi di risposte, comunque sempre parziali, si intravedono con una certa frequenza, a cominciare dallIntroduzione, in cui è Maite a parlare: “Quando arrivano a intravedere il traguardo, gli uomini diventano amari, delusi. Il bello della vita – solo a quel punto lo capiscono – è la competizione. Ma quando arriva il momento del congedo, vincere o perdere che differenza fa? Rivivere le emozioni passate non consola, anzi: costringe a ricordare gli errori e le imperdonabili viltà”. E toccherà poi a Vittorio, nell’ultima pagina del libro, cercare di tirare le somme (alcune, almeno): “Ora so che la vita e la morte sono la stessa cosa. Non si vive una vita e poi si muore: si vive e si muore contemporaneamente, ogni giorno”.

Modus in rebus è una storia di amore e morte, padroneggiata da Ferrazzi con scrittura limpida e sorvegliatissima, priva di enfasi e a tratti sanamente ironica. Ma, su queste ascendenze romantiche, si staglia anche un disagio proprio dei nostri anni: la difficoltà di trovare coerenza nelle vicende che ci accadono, la fatica di orientarci in un presente confuso e lacerato da mille diverse suggestioni, l’incertezza nei riferimenti del passato, proprio e collettivo.

“Est modus in rebus; sunt certi denique fines, quos ultra citraque nequit consistere rectum”. Fin dal titolo scelto, Ferrazzi pare suggerire che un equilibrio, anche precario, si mantiene evitando l’oltranza, la pretesa di trovare una spiegazione definitiva agli eventi. Vittorio ha superato i confini, ha sperimentato la dismisura nella ricerca di una verità che contenga tutto della sua vicenda. Ma è difficile chiudere i conti con se stesso in pareggio, e, se non ci si riesce, l’inquietudine non si placa. Meglio allora attenersi al suggerimento di Orazio, ed accontentarsi solo di decifrazioni parziali, dei frammenti di verità che la quotidianità giorno dopo giorno propone.

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Pubblicato da retroguardia

Docente e critico letterario. Dirige la rivista di critica letteraria "RETROGUARDIA". Si è occupato in particolare della narrativa di Guido Morselli e Gesualdo Bufalino. Altri interessi di ricerca riguardano anche la poesia contemporanea, la teoria della letteratura, il romanzo fantastico e comico, la metrica italiana. Suoi interventi critici sono apparsi in rete (Musicaos.it, Retroguardia, La poesia e lo spirito, ecc) e su alcune riviste di letteratura (Tabula rasa, Narrazioni, ecc). Socio fondatore dell’associazione culturale e membro del comitato di lettura di vibrisselibri, redattore de “La poesia e lo spirito” dal 2007.