Ferruccio Masini

Francesco Gurrieri, Ritratto di Ferruccio Masini

Ferruccio Masini


di Stefano Lanuzza

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Era il 10 febbraio del 1990 quando Margherita, moglie di Ferruccio Masini, rispondeva così alla giornalista di “la Repubblica” Mara Amorevoli: “[Ferruccio,] transfuga da una Firenze difficile da amare, quando vi tornò [dopo studi in Germania e l’insegnamento a Potenza, Arezzo, Parma e Siena] scoprì che non era più tanto legato a questa città”.

Sempre su “Repubblica”, il filosofo di formazione fiorentina Giacomo Marramao ricorda Masini in questi termini: “Il mio legame con Ferruccio era tra due fiorentini particolari, dell’altra Firenze, che amavano autori non amati dalla cultura ufficiale […]. Con Giorgio Colli e Mazzino Montinari egli era il polo eccentrico, [a completare] l’imprescindibile triade nietzschiana della cultura italiana ed europea”.

Né Ferruccio temeva – aggiunge il filosofo Bruno Accarino – “di frequentare le zone brumose della cultura tedesca, quelle vene di irrazionalismo infido, tacciate di ombre filonaziste. Lo faceva con attenzione, allora anacronistica, alle categorie marxiste. E la Firenze accademica era lontana da questo tipo di esplorazioni”. Come conferma la germanista Maria Fancelli: “Quando nel ‘68 uscì il libro di Masini su Gottfried Benn e il mito del nichilismo non lo capimmo. Un libro bizzaro, lontano dal nostro modo di fare ricerca storico-formale. C’è voluto tanto tempo per comprendere la sua unicità di investigatore infinito. Prima di altri aveva oltrepassato il limite fra la scrittura critica e quella creativa e poetica. Era seguitissimo dagli allievi proprio per questa sua peculiarità e unicità di metodo. Un trasgressore fecondo in una Firenze abituata a studi formali, lineari”.

Ferruccio Masini” aggiunge lo storico della filosofia Sergio Moravia “è stato una figura intensa e anomala nella cultura italiana (e, tanto più, in quella fiorentina)”. Col germanista Luciano Zagari che l’ha senz’altro definito “un antiaccademico, un anticipatore dell’ondata postmoderna”.

Nato, come Zagari, nel 1928, Masini muore il 7 luglio 1988 a soli 60 anni lasciando un’opera incompiuta e una biblioteca specialistica, oggi detenuta dal fiorentino Archivio Vieusseux.

Tra le dichiarazioni di chi ha frequentato Masini, c’è un ricordo del francesista e critico letterario Antonio Prete: “Chi non lo ha conosciuto” dice “ha, di Ferruccio Masini, soltanto i suoi libri, o i suoi lavori di teatro, o i suoi quadri; ma questo soltanto, nella distanza che la morte frappone, ha la pienezza della vita. Perché tutta l’opera di Masini cerca, sempre nell’esegesi o nella scrittura creativa, quel luogo, forse imprendibile, ma che pure ci appartiene, e ci costituisce, dove la vita mostra insieme il suo gioco di apparenze sull’abisso…” (“il manifesto”, 15 luglio 1988).

Scrive Massimo Cacciari: “Con straordinaria coerenza, lungo tutta la sua opera, Masini ha percorso i meandri della ‘via eccentrica’ (come lui l’ha chiamata in un suo libro di saggi), ha indagato, cioè, sul senso e sulle origini del nichilismo contemporaneo, dalle sue radici romantiche, in Jean Paul, ai grandi autori della decadenza, da Benn […] a Jünger, attraverso l’importantissimo libro su Nietzsche Lo scriba del caos” (“l’Unità”, 8 luglio 1988)… Su questo libro, forse il più noto dell’autore, serve un’osservazione: insomma, non è forse il folgorante Lo scriba del caos. Interpretazione di Nietzsche (1978) la prima lettura di Nietzsche in una chiave per la prima volta illuministica, un ‘rovesciamento’ di opinioni risapute, e opposto, per fare un solo esempio, a certe fuorvianti ebbrezze esegetiche degli studiosi francesi?

Masini/Salins, Nei laghi del crepuscolo, 1981

Capitava di chiedere a Masini cosa pensasse a proposito della sua stessa disciplina, la germanistica… La risposta era affabile e solo apparentemente semplice: “La germanistica è, innanzi tutto, un ‘genere letterario’ che racchiude in sé molti altri generi, anche non strettamente letterari”… Un’apertura interdisciplinare, questa, che può spiegare come il germanista abbia saputo conciliare saggistica e filosofia, poesia e narrativa, psicanalisi e scienza, teatro e musica, traduzione, teologia e mistica Zen… Senza trascurare le arti figurative cui Masini, ricorrendo allo pseudonimo di Salins, si è dedicato con animo tutt’altro che dilettantesco. Vale a tale proposito quanto

nota il critico e storico dell’arte Arturo Carlo Quintavalle: “Dipingere, per Salins/Masini, non vuole dire semplicemente rappresentare una serie di momenti simbolici della propria esistenza, o non solo questo, ma significa anche aderire, forse più sottilmente che attraverso altri media espressivi (la scrittura letteraria, la musica), alla volontà simbolica che la cultura psicoanalitica junghiana suggerisce di esplicitare” (Salins Ferruccio Masini. Mostra di Pittura, Arezzo, Palazzo Pretorio, 13-28 ottobre 1984).

Germanista di fama, il cui campo di studi a lui più congeniale è da identificare nel tema della Krisis interpretato dalle grandi avanguardie novecentesche, Masini attende ancora una giusta attenzione anche per la sua poesia pur distante dalla tradizione italiana.

Il canzoniere di Masini” spiega lo scrittore e, per autodefinizione, ‘germanista senza cattedra’ Italo Alighiero Chiusano “ha la pasta compatta delle cose che nascono da un’interiorità sincera, e il suono schietto della poesia non mediata né volontaristica […]. Certo il segno di una presenza poetica cui d’ora in poi bisognerà dedicare spazio e attenzione” (“La Stampa/Tuttolibri”, 19 gennaio 1980). Continuando: “Fu un poeta con una sofferta forza metaforica di originalissimo timbro” (“la Repubblica”, 8 luglio 1988).

Masini” aggiunge il filosofo Sergio Givone “ha scritto e pubblicato poesie, con il cruccio segreto di non trovare quell’ascolto che sapeva di meritare” (“La Stampa”, 8 luglio 1988)… Queste le opere in versi di Masini: Il sale dell’avventura, 1979; Allegro feroce, 1985; Per le cinque dita, 1986; Sospensione tonale. Poesie 1983-1987, 1989 (postumo).

Ferruccio Masini

Quasi una sorpresa, il primo libro di saggistica di Masini non riguarda la letteratura tedesca, ma reca il titolo di Federico Garcìa Lorca e la Barraca (1966). Seguono Alchimia degli estremi. Studi su Jean Paul e Nietzsche, 1967; Itinerario sperimentale nella letteratura tedesca, 1970; Dialettica dell’avanguardia. Ideologia e utopia nella letteratura tedesca del ‘900, 1973; Nichilismo e religione in Jean Paul, 1974; Lo sguardo della Medusa, 1977; Brecht e Benjamin. Scienza della letteratura e ermeneutica materialista, 1977; Gli schiavi di Efesto. L’avventura degli scrittori tedeschi del Novecento, 1981; Il travaglio del disumano. Per una fenomenologica del nichilismo, 1982; La via eccentrica. Figure e miti dell’anima tedesca da Kleist a Kafka, 1986; Le stanze del labirinto. Saggi teorici e altri scritti, 1990 (postumo); Franz Kafka. La metamorfosi del significato, 2010 (postumo).

Libri di aforismi filosofici di un ‘vivre en poète’ sono La mano tronca, 1975; Il suono di una sola mano. Lemmi critici e metacritici, 1982; Aforismi di Marburgo, 1983; Pensare il Buddha, 1988: che sembra far interagire in un luminoso sigillo il pensiero orientale col presocratico.

La vita estrema (1985) è il suo unico romanzo. Masini è anche autore di due opere teatrali: la farsa L’ozio seduce (1973) e il dramma Miserere (1986)…

Delle “mille vite” di Ferruccio Masini ha scritto su “La Nazione” (21 settembre 1991) il germanista Marianello Marianelli.

 

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Pubblicato da retroguardia

Docente e critico letterario. Dirige la rivista di critica letteraria "RETROGUARDIA". Si è occupato in particolare della narrativa di Guido Morselli e Gesualdo Bufalino. Altri interessi di ricerca riguardano anche la poesia contemporanea, la teoria della letteratura, il romanzo fantastico e comico, la metrica italiana. Suoi interventi critici sono apparsi in rete (Musicaos.it, Retroguardia, La poesia e lo spirito, ecc) e su alcune riviste di letteratura (Tabula rasa, Narrazioni, ecc). Socio fondatore dell’associazione culturale e membro del comitato di lettura di vibrisselibri, redattore de “La poesia e lo spirito” dal 2007.