SUL TAMBURO n.80: Leandro Piantini, “Il poeta non deve tacere”

Leandro Piantini, Il poeta non deve tacere, Fucecchio (Firenze), Edizioni dell’Erba, 2018

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di Giuseppe Panella

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Ma perché poi dovrebbe? Il poeta non lo spiega né desidera farlo e infatti parla, racconta, descrive, rigira il coltello nella piaga. Egli parla di sé e analizza la propria poesia:

«La poesia più bella è sempre l’ultima. Lo dico ad alta voce / quello che mi spinge all’espressione / è forte e se trova ostacoli / non s’arresta / ed ecco arrivano i soccorritori / e domani mi vedrete scalpitante / con le parole che / fanno a gara ad agghindarsi / a dimostrare la loro fedeltà / la loro vocazione ad essere / nei casi estremi il rimedio migliore» (p. 73).

Scrivere poesia è una vocazione irrefrenabile e non si contenere facilmente: le parole urgono e vanno usate per esprimere ciò che si prova e si sente in maniera assoluta. L’ansia di scrivere poesia non si arresta facilmente sulla soglia della pagina bianca. La poesia è qualcosa che non si può né si deve arginare: il poeta non deve tacere perché non può tacere. Ma di cosa parla però? Quali sono gli argomenti che mette sul tavolo quando si cimenta con la scrittura? Il poeta essenzialmente parla della poesia:

«Scrivere per esistere / oggi che tutti pubblicano / io con i miei versicoli / quanto poco scrivo / io con i miei librini / di piccoli editorini // l’arte non si misura a peso / dico per consolarmi / ma non mi consolo // e n ‘ho di materiale / di cose anni emozioni / inganni e autoinganni / fughe e ritorni / vittorie sul destino / nello sperpero iridiscente dei giorni / ne ho di cose // nuovo libro fatti sotto» (p. 31)

e poi di se stesso:

«25. Scrivere senza pensare / con l’umore leggero / poche pause a sincopare / come nel jazz / poche alate parole / solo il respiro a cadenzare / versi azzeccati alla prima / massimo alla seconda ondata / e poi giù / nel pozzo delle foglie marcescenti / delle felci rigogliose»(p. 33).

e infine della sua posizione nella vita:

«65. Vorrei una poesia definitiva

questa è un’idea / che m’insegue e non so perché. / Vorrei una poesia che mi contenesse tutto / mi esprimesse tutto / senza pretendere da me / altre prove / altre approssimazioni. / Mi sento pronto / a smettere di cercare / nuove espressioni di me / che sarebbero solo la ripetizione / di qualcosa che ho già detto / e stradetto» (p. 78).

I temi trattati, come si vede, sono molti e a maglie larghe e ciò che unifica il discorso di Piantini è la sua capacità di utilizzare il verso come uno strumento di ricerca, come un momento conoscitivo, come la compensazione di un ricordo.

Soprattutto come una forma possibile di conoscenza futura, in un’epoca in cui “il poeta” non dovrà più tacere ma avrà la possibilità di dire ciò che la poesia deve necessariamente dire.

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Pubblicato da retroguardia

Docente e critico letterario. Dirige la rivista di critica letteraria "RETROGUARDIA". Si è occupato in particolare della narrativa di Guido Morselli e Gesualdo Bufalino. Altri interessi di ricerca riguardano anche la poesia contemporanea, la teoria della letteratura, il romanzo fantastico e comico, la metrica italiana. Suoi interventi critici sono apparsi in rete (Musicaos.it, Retroguardia, La poesia e lo spirito, ecc) e su alcune riviste di letteratura (Tabula rasa, Narrazioni, ecc). Socio fondatore dell’associazione culturale e membro del comitato di lettura di vibrisselibri, redattore de “La poesia e lo spirito” dal 2007.