SUL TAMBURO n.48: Andrea Fallani, “L’ascesa della Luna”

Andrea Fallani, L’ascesa della Luna, Borgomanero (Novara), Giuliano Ladolfi Editore, 2016

_____________________________

di Giuseppe Panella

.

L’allusione è, quasi naturalmente, a La caduta della luna di Giacomo Leopardi, composto presumibilmente nel 1836, è forse l’ultimo testo poetico scritto dal poeta di Recanati prima di morire (addirittura sul letto di morte, se si deve credere all’aneddotica di Antonio Ranieri, sovente propensa a un suo“mitizzare pallido e assorto” in nome dell’amicizia di un tempo). Ma non è questo il problema, non è questo quello che conta. L’imagery di Fallani, tutta protesa a ridosso della grande tradizione lirica italiana (da Leopardi appunto a Pascoli o a Montale – come con accortezza critica annota Giulio Greco nella sua nota introduttiva titolata Cantore della vita), è intrisa di soluzioni liriche legata al passato ma si impone, con freschezza e impazienza insolite, con il suo desiderio conclamato di un’originalità tutta legata all’esplorazione di un continente che appare anch’esso nuovo e inedito allo sguardo del poeta. Fallani ha le idee chiare sulla poesia e sulla sua funzione espressiva e si prova a risolvere il problema del rapporto tra passato e presente con soluzioni tutt’altro che scontate. Il suo libro si configura, inoltre, come l’inizio di un probabile rapporto futuro e fruttuoso con la poesia e, quindi, allo stesso modo di tutte le opere di un esordiente, contiene tutto il passato prossimo del suo autore e segnala, pur nella sua maturità espressiva, una serie di tracce liriche da analizzare criticamente per comprendere la sostanza profonda della sua operazione poetica. In lui c’è, insomma, per dirla con il titolo di un bellissimo racconto di Stephen Crane, “il passo della giovinezza” e di questo bisogna tenere conto. Lo puntualizza in maniera accorta anche lo stesso prefatore del testo in una delle svolte critiche della sua presentazione:

«[…] Andrea Fallani può essere considerato il vero cantore della giovinezza, di quel periodo che volgarmente e superficialmente viene considerato il più bello, il più spensierato, il più felice dell’esistenza. Il poeta, infatti, documenta come all’interno dell’attuale società “liquida”, caratterizzata dall’assenza di certezze, di prospettive e di valori cui ancorare il progetto del futuro, il giovane preferisca “l’ascesa della luna” al sorgere del sole» (p.8 ).

In che cosa si concretizza l’afflato poetico di Fallani? In una riesplorazione di molti luoghi topici della tradizione lirica italiana – come si è accennato sopra – ma con una marca di impazienza e di volontà poetica di superarla per provare ad andare a vedere la faccia nascosta della Luna, cioè ciò che si nasconde allo sguardo solare della poesia comunemente intesa. Poesia d’occasione talvolta la sua ma supportata da un preciso desiderio di durare nella ricerca espressiva di emozioni e di sogni, di ambizioni sentimentali e durevolmente protese a cercare nella parola giusta anche il giusto correttivo di potenza emotiva:

«Verso dove. Verso dove cavalcava / il peshmerga curdo / mentre la luna illuminava / il sentiero di alberi feriti / delle foreste armene? // Verso dove Alexandros guardava con gli occhi / pieni di amore e eros, / laggiù, oltre i tendami / che vibravano al tramonto, / oltre Isso e Guagamela? // Verso dove calpestavano / la terra bagnata di sangue / gli zoccoli feroci dei cavalli / che falciavano i nemici di Ninive? // Forse proprio là, / tra il Tigri e l’Eufrate, / tra deserti e giardini pensili, / dove tutto è nato, / Caino tornò solo dal campo / fuori di Babilonia» (p. 72).

<L’oltre è la prospettiva che dirige la forza poetica del verso di Fallani – un oltre non giustificato né comprensibile ma impossibile a contrarsi nella pura testimonianza del suo esistere, qualcosa che va portato al suo limite estremo di conoscenza. La Storia è un susseguirsi di morte e di sangue versato, di cavalli che calpestano una terra (“quest’atomo opaco del male” – come dice Pascoli) inzuppata del sangue di uomini innocenti e vittime di un fato disumano di guerra, gli eroi che vengono supposti tali nelle leggende del passato e del presente sono in realtà soltanto emuli di Caino agli albori dell’umanità, la vita è un susseguirsi di “nascita copulazione e morte”, direbbe Eliot eppure la poesia si pone lo scopo di andare oltre questo, in un tentativo di riscattare dolore sofferenza e morte. Troppe responsabilità forse per le spalle ancora giovani e fin troppo sensibili di Fallani? Forse. Eppure il poeta sa che questo è il suo compito.

«E io?. Un vetro m’impedisce / di essere preso dal turbinare / violento delle stagioni. // Cantore della vita, / non partecipo / al sontuoso banchetto in mio onore. // Vale la pena essere lo scriba / che s’infanga le mani / con l’argilla della mia epoca? // Ma nel frattempo, lasciatemi sognare: / non mi svegliate» (p. 70).

Il sonno (e il sogno) del poeta producono e realizzano la sua aspirazione ad una vita ulteriore: mettersi in disparte, tenersi discosto, aspettare tempi migliori gli permettono di descrivere e circoscrivere il suo presente umano come un continente ancora da esplorare e da rivivere, cercando di trasformare le sue emozioni e i suoi desideri in parole stringenti e coinvolgenti. “Essere lo scriba della propria epoca” non rappresenta la missione del poeta e lo svuota di quell’aspirazione alla comunicazione dei propri sentimenti che rende la Luna il luogo della contemplazione e rifiuta la luce troppo forte del Sole del presente. Se la poesia è “lunare”, la sua calma ombra e la sua luminosità soffusa permetteranno a chi la legge e a chi la scrive di sostare nel tempo, non lasciarsi travolgere dall’oggi e capire che ci sono aspirazioni, sospiri, pensieri e gesti vitali che vale ancora la pena di esprimere nonostante la “follia del giorno” (Derrida) che lo rendono inadeguato al sogno in cui consiste poi (quasi) esattamente, la verità profonda e segreta della poesia. Scegliendo di essere dalla parte della Luna, il poeta si schiera per la passione del pensiero e della scrittura e cerca di esprimere e di mettere in gioco la propria assoluta e onnicomprensiva aspirazione ad essere se stesso. Soltanto questo gli permette di essere capito e accettato dai suoi lettori. Il libro di Fallani, allora, coglie questo obiettivo e si conferma opera prima di sicura felicità lirica.

_____________________________

Pubblicato da retroguardia

Docente e critico letterario. Dirige la rivista di critica letteraria "RETROGUARDIA". Si è occupato in particolare della narrativa di Guido Morselli e Gesualdo Bufalino. Altri interessi di ricerca riguardano anche la poesia contemporanea, la teoria della letteratura, il romanzo fantastico e comico, la metrica italiana. Suoi interventi critici sono apparsi in rete (Musicaos.it, Retroguardia, La poesia e lo spirito, ecc) e su alcune riviste di letteratura (Tabula rasa, Narrazioni, ecc). Socio fondatore dell’associazione culturale e membro del comitato di lettura di vibrisselibri, redattore de “La poesia e lo spirito” dal 2007.