SUL TAMBURO n.36: Emmanuel Bove, “Una visita serale e altri racconti”

Emmanuel Bove, Una visita serale e altri racconti, trad. it. e postfazione di Claudio Panella, Saluzzo (Cuneo), Fusta, 2016

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di Giuseppe Panella

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Nella bella collana bassastagione curata da Marino Magliani e Stefano Costa, viene pubblicata una significativa raccolta di racconti di Emmanuel Bove, scrittore maledetto e randagio, autore di un gran numero di testi di narrativa non facilmente qualificabile nel genere e conosciuti per la loro ricerca stilistica singolare e apparentemente spiazzante. Una visita serale e altri racconti contiene sette storie di Emmanuel Bobovnikoff (il suo nome di nascita che però non usò mai per firmare le sue storie mentre condivise con il suo più autorevole nom de plume quelli di Jean Vallois e Pierre Dugast), sette momenti di vita, sette vicende tra il bizzarro e lo straziante che alternano laminuziosa descrizione di stati d’animo a ritratti di personaggi umorali o disturbati o inquietanti descritti in precisi momenti della loro vita. Più noto come romanzi quali I miei amici (trad. it. di Beppe Sebaste, Milano, Feltrinelli, 20152, un romanzo che nel 1921 piacque molto a Colette) o La trappola (trad. it. di Carlo Alberto Bonadies, Genova, Il Melangolo, 1999, rifiutato in prima istanza da Gallimard perché trattava in maniera molto poco conciliatoria di “collaborazionismo” durante la guerra), Bove autore di racconti ha una specificità notevole e caratteristiche singolari che vanno adeguatamente sviscerate per comprenderle.

Nei suoi racconti, apparentemente, non succede niente: i personaggi che vagano al loro interno non cambiano molto e restano spesso a mezza strada, come se fossero perplessi o incerti su cosa fare.

Lo è il figlio (nel racconto Il ritorno del figlio) che, dopo aver deciso di tornare nella casa in cui ha vissuto un’infanzia e un’adolescenza disperate e isolate dal mondo e aver compiuto un lungo viaggio di ritorno in treno e poi a piedi, una volta giunto a destinazione, torna indietro senza farsi vedere. Perché lo fa? Bove non lo dice ma analizza distintamente tutte le tappe del suo viaggio di ritorno e le illustre con meticolosa perspicuità. Il giovane, ricordando ormai pacatamente le vicende che lo hanno condotto a lasciare la casa di famiglia, una volta giunto a destinazione, rinuncia a entrare e si riavvia verso la stazione:

«Lentamente, riguadagnai la strada. Guardavo le mie scarpe polverose affondare nell’erba. Mi sentivo rinascere. Senza voltarmi, mi diressi verso il paese. Il sole calava dietro di me. Se ne andava con la casa dei miei. La mia lunga ombra mi precedeva. Cercavo di evitare che si sovrapponesse a quelle degli alberi, ai mucchi di pietre. Ero calmo. Mi sforzavo di non pensare a nulla. Sulla collina, nel punto in cui mi era apparsa la casa quando ero arrivato, mi voltai. Si stagliava tra due alberi già abbuiati sul fondo del cielo blu. Una finestra era chiusa. Una soltanto riluceva. La giornata terminava pacifica come quella che l’aveva preceduta. Mi sentii in colpa per aver rischiato di turbarla. Mi avvolse una boccata d’aria calda, carica d’insetti. Guardai, un’ultima volta, la campagna immutata attorno alla casa che lasciavo per sempre, e ripresi il mio cammino» (p. 77).

Si tratta di un tipico esempio di prosa di Bove: la moltiplicazione dei particolari annoda la scrittura a se stessa e la ancora ai moti dell’anima, alle oscillaziooni della mente, ai sospetti circa le mosse del personaggio, alla verità delle sue ambizioni e delle sue prospettive. Le frasi brevi e l’articolazione del racconto rimandano a una ben precisa strategia narrativa: dire apparentemente tutto e, nello stesso tempo, lasciare nel mistero tutto quello che è accaduto, non rivelare la verità (sempre fittizia) dell’evento letterario e affidarla all’intuizione finale del lettore. Nel caso di questo racconto, ad esempio, perché il figlio non ritorna alla casa paterna verso la quale sembra che si sia mosso con le migliori intenzioni di ritornarvi precedentemente espresse durante il viaggio?

Il paesaggio, minuziosamente descritto, e la sua immutata presenza così come risulta dalle annotazioni del viaggiatore che ritrova la sua vecchia dimora simile a quella che ha lasciato al momento della sua fuga e ne rimane stupito, è l’unico testimone delle sue decisioni. Nella città da cui proviene ha lasciato una situazione tranquilla (un lavoro d’ufficio, una relazione con la ragazza che ama, un guadagno sicuro o almeno pare), eppure ha deciso di venirne via per tornare alle origini. Ma qui trova una situazione simile a quella che ha lasciato e decide che non vale la pena riprendere in essa quella stessa vita che vi aveva condotto precedentemente ora che aveva dato una svolta alla sua esistenza.

Identica ambiguità e difficoltà si ritrova in un altro racconto, Storia di un pazzo, che è uno dei più apprezzati scritti di Bove. Come in una serie di analoghi testi di Guy de Maupassant (Pazzo?, La pazza del 1882, Un pazzo, Una causa di divorzio e lo stesso celeberrimo Horlà del 1887), è il Narratore a descrivere la propria incombente malattia mentale negando di soffrirne e di essere afflitto da turbe particolari. Eppure le sue azioni (riferire al padre che lo ha allevato a partire dalla morte prematura della madre, esprimere alla sorella e al cognato il suo profondo disprezzo, lasciare in tronco l’amata fidanzata Monique, rompere con l’amico del cuore Léon) sono quelle di chi non sa cosa vuole dalla vita e non riesce ad agire in maniera coerente.

La descrizione degli atti inspiegabili del fou di questo racconto è la conferma di una condizione instabile e priva di centro che si manifesta attraverso una narrazione minuziosamente realistica e definita compiutamente fin nei minimi particolari. Ma, alla fine, i moventi del folle risulteranno oscuri così come il signor Marjanne non saprà mai se la moglie ha trascorso una lunga notte con un amante (E se mentisse? ) o il protagonista di Ciò che ho visto se la sua donna amatissima era in un taxi a baciare un altro uomo.

La narrativa breve di Bove, dunque, conferma tutti i pregi della sua produzione più lunga e permette di raggiungere la consapevolezza della sua originalità di ricerca stilistica che ne hanno fatto un autore di nicchia meritevole di essere conosciuto nella sua interezza da un pubblico più vasto di quello attuale (almeno in Italia).

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Pubblicato da retroguardia

Docente e critico letterario. Dirige la rivista di critica letteraria "RETROGUARDIA". Si è occupato in particolare della narrativa di Guido Morselli e Gesualdo Bufalino. Altri interessi di ricerca riguardano anche la poesia contemporanea, la teoria della letteratura, il romanzo fantastico e comico, la metrica italiana. Suoi interventi critici sono apparsi in rete (Musicaos.it, Retroguardia, La poesia e lo spirito, ecc) e su alcune riviste di letteratura (Tabula rasa, Narrazioni, ecc). Socio fondatore dell’associazione culturale e membro del comitato di lettura di vibrisselibri, redattore de “La poesia e lo spirito” dal 2007.