REGOLE PER SOPRAVVIVERE. Modelli di analisi per una storia della fantascienza italiana (5):”l’intervento di Dorfles” di Giuseppe Panella

 

[Quinta parte del saggio REGOLE PER SOPRAVVIVERE. Modelli di analisi per una storia della fantascienza italiana del prof. Giuseppe Panella, pubblicato sul numero 50 di “Futuro” (casa editrice Elara di Bologna). [QUI] la prima parte. [QUI] la seconda parte. [QUI] la terza parte. [QUI] la quarta parte. f.s. ]

 

di Giuseppe Panella

 

d) l’intervento di Dorfles

 

Con la consueta lucidità che lo contraddistingueva all’epoca, Dorfles ha scritto:

 

«E’ un dato di fatto che la fantascienza, come dice il suo nome, è basata sull’interpretazione fantastica di dati scientifici ; ed è sintomatico il fatto che siano proprio questi dati scientifici ad esercitare un particolare fascino sul pubblico. Naturalmente varia molto il livello a cui sono attinti tali dati e la loro elaborazione e la loro attendibilità ; ma la cosa ha un peso assai scarso sulla natura stessa del romanzo […]. Incide invece profondamente l’antica aristotelica legge della verosimiglianza (31): occorre che l’ eikós si verifichi anche in queste circostanze assurde, e persino del tutto irreali. […] Raggiunto dunque un certo limite di “improbabilità” (tale che non sia fonte di nuova informazione perché il suo quoziente informativo è divenuto negativo), anche la novità, la “inaspettatezza” del messaggio fantascientifico appare inefficiente. Mentre, d’altro canto – e sempre in maniera conseguente con le note leggi informative – l’eccessivo ripetersi di circostanze analoghe  (il “grande viaggio”, il mutante telepatico, lo zombi cadaverico, l’astronauta sempre vittorioso, ecc.) finisce per non raggiungere l’effetto voluto, proprio per il consueto del suo consumo, dell’entropizzarsi della sua efficacia, che in questo preciso campo è quanto mai acuto. Perciò il racconto viene a scostarsi man mano dalle tappe obbligatorie : si abbandonano le descrizioni delle prime colonie marziane, del “primo uomo sulla luna”, le descrizioni di viaggi nelle astronavi a propulsione normale perché ormai non offrono al lettore nessuna nuova “informazione” anche se sono condite d’avventure erotiche o sentimentali. Si assiste, invece, all’immissione di sempre nuovi elementi scientifici : dopo la scienza nucleare, si è passati all’adattamento dell’antropologia, della linguistica, della cibernetica, della semantica generale, della neuropsichiatria, della genetica e via dicendo ; la ragione del successo di queste inserzioni pseudo-scientifiche rientra a mio avviso in un altro fenomeno che è quello dell’adozione dei gerghi specifici» (32).

 

Dorfles sembra essersi accorto della quasi infinita malleabilità delle strutture narrative su cui si fonda la produzione fantascientifica e la possibilità (altrettanto foggiabile) di modificarla in una dimensione o in un’altra. Non esiste genere letterario più facilmente innestabile su tutti gli altri conosciuti e non esiste narrazione fantascientifica che non contenga almeno un aspetto derivato da altri codici narrativi (il romanzo storico, il romanzo d’amore, il western, il poliziesco, lo spionaggio e i loro sottogeneri possono essere tranquillamente sussunti e trasformati in chiave di narrativa d’anticipazione). E’ probabile che questo sia uno dei punti di forza della pratica letteraria della fantascienza ma che possa costituire anche il (o uno dei ) suo “tallone d’Achille”.

Inoltre per Dorfles l’importanza della fantascienza deriva anche dal suo essere la prova ormai provata dell’avvenuto superamento della dimensione “naturale” nell’ambito di una condizione umana divenuta nel tempo del tutto “artificiale”. In uno dei suoi libri migliori, Artificio e natura del 1968, Dorfles scrive a proposito del grande black-out avvenuto a New York nel 1965 e al quale ben altri sarebbero seguiti (non solo quello verificatosi del 1971 (33) ma soprattutto il “grande oscuramento” del 1977 che sarà così sconcertante e sconvolgente per l’immaginario collettivo da ispirare a sua volta tanta letteratura di fantascienza e ovviamente anche la produzione paraletteraria ad essa correlata) :

 

«Che venga a mancare la luce, l’energia elettrica, in un appartamento, in un palazzo, in un rione, ha un effetto del tutto diverso; ma la sensazione di essere comunitariamente nella stessa condizione di disagio toglie alla condizione ogni aspetto spiacevole (salvo naturalmente per gli sciagurati rinchiusi nella metropolitana e negli ascensori). Credo che qualcosa di analogo accadrebbe se davvero, per qualche intervento fantascientifico, venisse a mancare improvvisamente e in tutto il mondo qualcuna delle grandi possibilità tecnologiche di cui costantemente ci serviamo o da cui siamo serviti. L’uomo, cioè, è ormai troppo abituato a dipendere interamente da quello che la civiltà gli mette a disposizione per accorgersene e perde in questo modo anche ogni spinta a creare, a inventare quegli accorgimenti che altrimenti potrebbero stuzzicarlo ad agire. D’altro canto l’improvviso ristabilirsi di condizioni che possiamo, nonostante tutto, definire “naturali” (“innaturali” nel senso di inconsuete, ma naturali in quanto riflettono una condizione quale sarebbe normale secondo le “leggi di natura”) non può non condurre con sé una sensazione di intima gioia: il riconquistato colloquio con le forze primordiali del mondo; il porsi a contatto con una situazione dove non esiste più la possente e annichilente presenza mediatrice della macchina  (o, domani, del computer) ; la presa di contatto immediata e non – come oggi – sempre mediata tra uomo e mondo, tra uomo e uomo, tra uomo e natura. Eppure, questo rapporto intimo dell’uomo con la natura, spesso, oggi viene ad essere suscitato proprio là dove si insinuano più subdoli i germi dell’artificio» (34).

 

Questa dimensione di accettazione e di scontro con il dominio indiscutibile dell’artificialità (le macchine, le intelligenze artificiali, le creature da esse costruite a propria immagine e somiglianza come i cyborg o i terminator) sulla natura sono tanta parte della elaborazione concettuale e narrativa presente nella fantascienza da sempre e, come tale, ne costituiscono un elemento indispensabile nella costruzione delle vicende da essa prodotte e presentate come frutto del confronto e della differenza sostanziale tra il presente vissuto e il futuro a venire.

La qualità (e la quantità) dell'”informazione”  contenuta nella letteratura d’anticipazione si basa anche sulla sua capacità di analizzare e verificare gli sviluppi futuri della dicotomia tra artificio e natura, tra vita “naturale” e condizione “innaturale”(ma non più considerata tale) sulla quale si basa la vita dell’uomo contemporaneo e la nostra struttura antropologica presente.

 (fine quinta parte)

(Continua a leggere la sesta parte [QUI])

Note

 

(31) Qui Dorfles si rifà palesemente alla ripresa neo-aristotelica ad opera di Galvano Della Volpe, non a caso autore di una raccolta di saggi dal titolo Il verosimile filmico e altri saggi (Roma, Samonà e Savelli, 1971).

 

 (32) Dorfles, “La fantascienza e i suoi miti”, in Nuovi riti nuovi miti, Torino, Einaudi, 1965 (poi ristampato nel 1977), pp. 226-227.

 

(33) A questo episodio della storia della città di New York si ispirò Roberto Vacca nel suo La morte di Megalopoli (Milano, Mondadori, 1974).

 

(34) Gillo Dorfles, Artificio e natura, Torino, Einaudi, 19793, pp. 29-30

Pubblicato da retroguardia

Docente e critico letterario. Dirige la rivista di critica letteraria "RETROGUARDIA". Si è occupato in particolare della narrativa di Guido Morselli e Gesualdo Bufalino. Altri interessi di ricerca riguardano anche la poesia contemporanea, la teoria della letteratura, il romanzo fantastico e comico, la metrica italiana. Suoi interventi critici sono apparsi in rete (Musicaos.it, Retroguardia, La poesia e lo spirito, ecc) e su alcune riviste di letteratura (Tabula rasa, Narrazioni, ecc). Socio fondatore dell’associazione culturale e membro del comitato di lettura di vibrisselibri, redattore de “La poesia e lo spirito” dal 2007.