REGOLE PER SOPRAVVIVERE. Modelli di analisi per una storia della fantascienza italiana (3):”la prospettiva (mancata) di Franco Ferrini” di Giuseppe Panella

[Terza parte del saggio REGOLE PER SOPRAVVIVERE. Modelli di analisi per una storia della fantascienza italiana del prof. Giuseppe Panella, pubblicato sul numero 50 di “Futuro” (casa editrice Elara di Bologna). [QUI] la prima parte. [QUI] la seconda partef.s. ]

 

di Giuseppe Panella

 

b) la prospettiva (mancata) di Franco Ferrini

 

Dopo questa necessaria riflessione sulla proposta ermeneutica di Aldani (una delle prime di tale ampiezza ad essere stata prodotta in Italia), il cammino successivo potrà (fortunatamente per i miei “venticinque lettori ” di manzoniana memoria e ascendenza!) essere assai più rapido e spiccio.

Nel suo libro su Le frontiere dell’ignoto, Curtoni  concede un certo spazio – come si è già detto – alle riflessioni generali sull’argomento-fantascienza a Franco Ferrini, allora giovane critico cinematografico rampante. Nel suo libro di sintesi, quest’ultimo, polemizzando con le troppo frequenti soluzioni escapiste (o mistico-trascendenti), adottate dalla fantascienza (di solito) anglosassone, scrive che in casi del genere (a suo avviso sempre più frequenti):

 

«Viene meno, allora, ogni possibilità di autorealizzazione e di sviluppo autonomo del soggetto umano e della società […] La meccanicità del processo, visto come un sistema chiuso e strutturato deterministicamente, priva il soggetto umano di qualsiasi possibilità di intervento e di modificazione della realtà e delle proprie condizioni materiali di esistenza ; lo sottomette ad un sistema di leggi rigidissime, di dati, di fattori incontrovertibili, che egli non può nemmeno intaccare […] Il soggetto umano diventa mero spettatore. […] L’uomo è ormai una cosa tra le cose. La dialettica è stata ribaltata nelle cose. Ma quando si afferma l’esistenza di un corso oggettivo e l’ineluttabilità di un certo processo di sviluppo, si esclude anche ogni possibilità concreta di critica e di contestazione. La dialettica è una falsa dialettica. […] L’insistenza su un ordine immutabile dell’universo, in cui è implicita una visione statica della storia, relega il soggetto umano nella condizione di un’eterna infanzia così nella comunità come nella natura» (20).

 

Ferrini, di conseguenza, accusa la fantascienza di attuare un vero e proprio “spossessamento della storia” in nome di un’operazione di copertura e di nascondimento delle reali contraddizioni esistenti in seno alla società e in nome dei privilegi dei veri detentori del potere politico e sociale.

Tutto qui? Un’accusa di questo tipo (nello stesso tempo così fragorosa e proprio per questo così innocua) potrebbe valere per tutta l’arte la letteratura e l’industria dell’entertainment.

Il fatto è che “lo spossessamento della storia” è conseguenza dell’alienazione umana dalle sue “radici vitali” (e, quindi, dai suoi mezzi di produzione della propria vita stessa – direbbe Marx) e compito della letteratura è quello di mostrarla in atto nel momento in cui le sue contraddizioni agiscono e sono agite dai soggetti in campo. Il determinismo di cui Ferrini accusa la fantascienza (probabilmente più il cinema d’evasione ad essa ispirato che la letteratura – che conosceva sicuramente assai meno) è quello delle leggi di funzionamento della società che appaiono (come scrive sempre Marx nell’Introduzione al Libro I del Capitale) divenire nella coscienza di chi le subisce simili a “leggi naturali”. Lo “spossessamento della storia” è, in realtà,  quello che accade ai soggetti storici che, invece, dovrebbero guidarla o, almeno, esserne parte integrante e attiva. Di conseguenza, mostrarla in atto nella descrizione letteraria è proprio quanto ci si aspetta da uno scrittore consapevole del proprio ruolo di autore capace di cogliere le contraddizioni del proprio tempo. D’altra parte, poi, scrivere che:

 

«Il processo tecnologico, di pari passo con l’affermazione del modo di produzione capitalistico, ha investito con la sua propria logica e la sua propria verità anche le funzioni tipiche dell’immaginario, riducendo in gran parte ogni possibilità libera della mente […] La fantascienza, in virtù della sua assimilazione controllata e tendenziosa, volge le spalle alla dialettica storica e astutamente realizza il più avvilente degli assestamenti dell’arte nell’epoca della tecnica, finendo col degradare entrambi i termini di questa stessa dialettica […]. Così, da una parte, abbiamo le scienze che si prestano ad abdicare a un maggior rigore metodologico, e dall’altra, per via surrettizia e concomitante, un’arte che si allontana sempre più dai problemi della sua sfera di pertinenza…» (21).

 

E’ probabile che Ferrini abbia generalizzato troppo i propri assunti riconducendoli sotto un profilo sociologico esasperato e scambiato per accettazione totale dell’esistente ciò che vorrebbe esserne soltanto una descrizione in termini spesso critici e mai direttamente apologetici (eccettuati casi specifici anch’essi mai sufficientemente vituperati ma alquanto rari).

Ma quello che non può essere considerato affatto accettabile nella proposta di Ferrini è l’idea che di una corrente o di un genere letterario si possa dare un giudizio solo sulla base del loro contenuto. Egli ha probabilmente dimenticato quello che Lucien Goldmann, il padre della sociologia della letteratura su base strutturalistico-genetica, ha scritto delle opere d’arte contemporanee (e soprattutto dei romanzi e dei film di quell’Alain Robbe-Grillet tanto caro allo stesso Ferrini che al suo modello di  nouveau roman ha dedicato una monografia per La Nuova Italia):

 

«[…] lo strutturalismo genetico (e più precisamente l’opera di György Lukács) rappresenta una vera svolta nella sociologia della letteratura. Tutte le altre scuole di sociologia letteraria, vecchie o contemporanee, cercano infatti di istituire relazioni tra i contenuti delle opere letterarie e quelli della coscienza collettiva. Questo procedimento, che può qualche volta dar luogo a dei risultati nella misura in cui simili transfert esistono realmente, dà luogo però a due gravi inconvenienti:

a) la ripresa da parte dello scrittore degli elementi di contenuto della coscienza collettiva o, semplicemente, dell’aspetto empirico immediato della realtà sociale che lo circonda non è quasi mai sistematica o generale e si trova solo in ceri punti della sua opera. Vale a dire che nella misura in cui lo studio sociologico si indirizza esclusivamente o principalmente alla ricerca di corrispondenze di contenuto, si lascia sfuggire l’unità dell’opera, e ciò significa il suo carattere specificamente letterario;

b) la riproduzione nell’opera dell’aspetto immediato della realtà sociale e della coscienza collettiva è, in genere, tanto più frequente quanto meno lo scrittore ha forza creativa e si accontenta di descrivere o di raccontare senza trasposizioni la sua esperienza personale. Per questo, la sociologia letteraria orientata al contenuto ha spesso un carattere aneddotico e si rivela operativa ed efficace soprattutto quando studia opere di livello medio e movimenti letterari, ma perde progressivamente interesse via via che accosta le grandi creazioni. […] E’ evidente la differenza notevole che separa la sociologia dei contenuti dalla sociologia strutturalista. La prima scorge nell’opera un riflesso della coscienza collettiva, la seconda vi scorge invece uno degli elementi costitutivi più importanti della coscienza collettiva, quello che permette ai membri del gruppo di prender coscienza di ciò che pensavano, sentivano e facevano senza conoscerne obiettivamente il significato. Si capisce perché la sociologia dei contenuti si dimostri più efficace quando è applicata ad opere di livello medio, mentre la sociologa letteraria e strutturalista genetica si dimostra tale quando si tratta di studiare i capolavori della letteratura mondiale» (22).

 

Certamente non moltissime delle opere appartenenti alla narrativa d’anticipazione possono essere considerate come rilevanti sotto il profilo della creatività assoluta e dell’originalità formale ma va anche detto che di esse esistono un qual certo numero (anche in ambito direttamente italiano) e che esse possono tranquillamente essere giudicate alla stessa stregua della scrittura mainstream.  Dopo aver ribadito con una certa forza questo assunto di base, è possibile continuare l’indagine per riuscire a cogliere (se esiste) la differenza del livello formale esistente in opere tanto diverse quanto quelle presenti nella dimensione letteraria della fantascienza (e inevitabilmente riprese e adattate linguisticamente anche in quella di lingua italiana).

 (fine terza parte)

(continua a leggere la quarta parte [QUI])

Note

 

(20) Franco Ferrini, Che coa è la fantascienza cit. , pp. 54 -59.

 

(21) Franco Ferrini, Che cosa è la fantascienza cit. , pp. 23-25.

 

(22) Lucien Goldmann, Per una sociologia del romanzo, trad. it.  Milano, Bompiani, 19672, pp. 215-217.

Pubblicato da retroguardia

Docente e critico letterario. Dirige la rivista di critica letteraria "RETROGUARDIA". Si è occupato in particolare della narrativa di Guido Morselli e Gesualdo Bufalino. Altri interessi di ricerca riguardano anche la poesia contemporanea, la teoria della letteratura, il romanzo fantastico e comico, la metrica italiana. Suoi interventi critici sono apparsi in rete (Musicaos.it, Retroguardia, La poesia e lo spirito, ecc) e su alcune riviste di letteratura (Tabula rasa, Narrazioni, ecc). Socio fondatore dell’associazione culturale e membro del comitato di lettura di vibrisselibri, redattore de “La poesia e lo spirito” dal 2007.