Per una sovrana utopia, la rivoluzione

Per una sovrana utopia, la rivoluzione

Siamo forti e abbiamo sconfitto molti popoli / e costruito

grandi città / aspettiamo che questo male muoia /

restiamo nelle case / e tutti insieme vinciamo. 

Eracleonte da Gela (233 a.c.)

Perché ogni epoca sogna la successiva,

ma sognando urge al risveglio.

Walter Benjamin

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di Antonino Contiliano

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La rivoluzione politica di classe, per una società universale senza classi, non è meno astrazione e sovrana utopia della corrispondente universalità scientifica e sperimentalità; ed è tale che insieme richiede anche capacità di astrazione dalle proprie identità. L’astrazione è potenza complessa, azione e forma organizzativa che attiene sia alla conoscenza che alla pratica, e non meno all’immaginazione produttiva che l’alimenta in vista di mondi umani possibili ugualitari. L’utopia è facoltà che appartiene ai domini del vivere umano, ma nel prospettare le trasformazioni di cui si fa carico implica, comunque, il rapportarsi con le cose, gli altri e le esigenze soggettive e collettive che coesistono e si intrecciano in qualunque contesto storico dato. Non manca di dover fare i conti con le stesse relative stratificazioni sociali (e d’altro genere) che connotano individui e collettività, nonché con le stesse possibili coerenze o incoerenze che incontra nel suo cammino. La realtà, cioè, in cui i soggetti generano istituzioni atte a realizzare le istanze etico-politiche comuni quanto quelle individuali entro modelli via via messi in pratica, e non senza attriti di atteggiamenti disparati fra posizioni impersonali e personali, legittimi e illegittimi, neutrali e imparziali.

A nessuno (singolo, o collettività) dovrebbe venire in mente di chiudere in soffitta l’utopia come istanza che, in un mondo stracolmo di diseguaglianze insopportabili, spinge verso l’uguaglianza sociale, le cose e le azioni necessarie al suo divenire-realizzazione. Ed è certo che il mondo delle diseguaglianze del modello neoliberista e ordoliberista non naviga nella direzione di una comunità umana d’uguali e liberi possibile, che, pur diversi nel pensiero e nelle idee, liberamente associati, all’unanimità decidano di inventare e sperimentare istituzioni a ciò necessarie (quali possono essere quelle di un divenire-mondo-comunista). Perché a fronte del potere sovrano delle altre logiche etiche, sociali, politiche che da tempo, già istituzionalizzate e in servizio, impongono discipline e controlli antidemocratici e classisti, la ratio dell’utopia rivoluzionaria non ha meno coerenza e possibilità di realizzazione.

La ratio della società umana comunista (senza classi sociali, o dell’uguaglianza sociale dei suoi componenti per un mondo senza confini chiusi, e guerre di vario tipo), intramontabile lascito etico-politico del pensiero marxista rivoluzionario, è forse meno coerente e meno auspicabile del modello liberal-democratico tradizionale e formalizzato? Oppure è meno credibile delle sue varianti neoliberistiche/ordoliberiste di guerra – guerre militari e non militari) –, dell’ordine delle stratificazioni sociali ossificate e colonizzazioni geografiche a vasto raggio? (Per inciso, meraviglia e ridicolo a parte!, amano tanto la guerra di classe che, nonostante le tante dichiarazioni nazionali e internazionali, e principi a fondamento, dichiarano “guerra” persino all’invisibile e inafferrabile “Idra” CoVid-19).

Ma non è piuttosto ora di cominciare a creare delle condizioni di assoluto inizio universalizzabile partendo dal “divenire minore” (G. Deleuze/F. Guattari) dentro la maggioranza dei numeri dell’attuale sistema liberal-liberistico trasformista e irrigidito? Il modello, cioè, capitalistico dominante (il mondo sussunto alla logica della valorizzazione capitalistica e alle sue crisi di riconversione e di depoliticizzazione di ogni conflitto e dissenso etico-politico)!

E le condizioni per iniziare a costruire un mondo alternativo (la nostra preferenza va al comunismo, il “sogno” come ebbe a chiamarlo K. Marx in una lettera del 1843 ad Arnold Ruge) di certo non mancano, se persino la pandemia “CoVid-19” globale (2020), in tal senso, è un’occasione da non perdere. Un divenire cioè società comunista di uguali, liberi e senza sfruttatori (questi pur presenti vanno immunizzati; e non è augurabile che abbino spazi di manovra), il mondo in cui il connubio tra lavoratori e intellettuali, individui e comunità umana lavora per la vita e la sua qualità come valore in sé.

Così si deve cominciare ad abolire, approfittando delle circostanze storiche in atto – quelle della pandemia “CoVid-19” globale (2020) –, le industrie non essenziali e dello sfruttamento distruttivo e inquinante, come quelle di guerra e istituti antidemocratici o di classe (sfruttamento di individui, comunità e popoli) delle “politiche del debito”! Ma si può abolire pure convertendo (senza ulteriori indugi) le industrie di guerra (e non essenziali) in produzione benefica generale, compresa la salute del pianeta che ci ospita!

Perché non convertire questo modello di sfruttamento di classe e di divisioni aggressive (dentro e fuori ogni territorio del pianeta)! Perché non privilegiare in maniera assoluta (e sui vari fronti) la vita umana e la qualità di vita come valore in sé, per ognuno e tutti (dentro e fuori ogni ambiente di nascita)!

Forse è astrazione irrazionale, irragionevole, follia da manicomio? È follia utopica mettere al bando tutto quanto non sia condizione utile per una società comunista o senza l’articolazione di classi subordinate e soggetti al comando e al dominio delle rappresentanze che – dentro e fuori gli istituti di rappresentanza delegittimata, rapporti di maggioranza e minoranza numeriche – gestiscono il potere e i poteri decidendo (direttamente e indirettamente) sulla forma e i modi di vita di tutti? Ognuno non ha diritto, seppure paradossalmente, di vivere la propria vita senza danneggiare gli altri?

Mancano possibilità e circostanze? Non pare!

Possibilità

Perché, per esempio, non ri-sostanzializzare (quale condizione – non la sola – per avviare la sovranità dell’utopia comunista in divenire), per esempio, quanto Henry Kissinger ebbe a sostenere nel 1989 a proposito dei cosiddetti piani capitalistici di “aggiustamento strutturale” e dei debiti/crediti imposti ai paesi latinoamericani dal neoliberismo americano e dall’ordo-liberismo euro-tedesco? E cioè: «Nessun governo democratico può sostenere l’austerità prolungata e le compressioni di bilancio dei servizi sociali richieste dalle istituzioni internazionali. […]» (Damien Millet ed Eric Toussaint, Aria di rifondazione in Europa. Bisogna pagare il debito?, in Le monde diplomatique/il manifesto, XVIII, Luglio 2011, n. 7).

E Kissinger fu uomo tutt’altro che pacifista. Segretario di Stato americano, fu sostenitore del dittatore Pinochet contro il socialismo di Salvador Allende in Cile; e poi, ironia della sorte, premio Nobel per la pace!

Fra l’altro, come è noto, il debito dei paesi esposti, non solo continuava a crescere nonostante i rimborsi, addirittura si moltiplicava. Nel 2009, i paesi in via di sviluppo, nonostante avessero rim­borsato l’equivalente di novantotto volte quanto dovevano nel 1970, lo vedevano moltiplicato per trentadue volte; e ciò a scapito dei servizi essenziali e vitali (salute, alimentazione, istruzione, sviluppo…). Tale fenomeno si registrava anche in Europa (noto è il caso della Grecia e dei paesi in graduatoria, come l’Irlanda o l’Italia).

Ma a proposito della guerra dei debiti e della loro onorabilità, esaminando la situazione del debito degli Stati satelliti delle diverse alleanze (in questo frangente della razzia finanziaria-liberal-capitalistica e della strage della pandemia “CoVid-19”), è pure vero che non vige nessun obbligo di restituzione ai prestatori pubblici e privati (il principio non è assoluto).

Il dettato della Carta dell’Organizzazione delle Nazioni Unite (Onu) è piuttosto chiaro in tal senso: «in caso di conflitto tra gli obblighi dei membri delle Nazioni unite in virtù della presente Carta e i loro obblighi in virtù di ogni altro accordo internazionale, i pri­mi prevarranno» (art. 103); art. 55: i “piani di aiuto” concessi dalla Commissione eu­ropea, dalla Bce e dal Fmi ai paesi in difficoltà (per permettere loro di rimborsare i creditori) debbono rispondere alle seguenti esigenze: «L’aumento dei livelli di vita, il pieno impiego e delle condizioni di progresso e di sviluppo nell’ordine economico e sociale».

Inoltre, fin dal 1980, la Commissione del diritto internazionale delle Nazioni Unite stabili­sce che «Uno stato non potrà, ad esempio, chiudere le scuole, le università e i tribunali, abolire la polizia e trascurare i servizi pubblici al punto da esporre la popolazione al disordine e all’anarchia, al solo fine di disporre dei fondi necessari a far fronte ai suoi obblighi nei confronti dei creditori esteri» (Damien Millet ed Eric Toussaint, Aria di rifondazione in Europa. Bisogna pagare il debito?, cit.).

Ora, tornando al sogno sovrano dell’utopia di una società alternativa e comunista, tenendo presenti le risorse a ciò funzionali, non è impossibile agire per mettere in pratica la disponibilità delle somme ricavabili dalla conversione dell’industria di guerra, o dall’espropriazione delle ricchezze della finanza sporca (quella speculativa, quella dei paradisi fiscali, quella mafiosa). Le somme parlano da sole per essere commentate con spiegazioni ad hoc. Basta esprimerle.

Spese militari:

Secondo i dati resi pubblici dall’Istituto di ricerca per la Pace di Stoccolma (SIPRI), nel 2018 (rispetto al 2017), le spese militari (a livello mondiale) sono aumentate del 2.6%, segno ineludibile di una situazione internazionale sempre più conflittuale della competizione e della concorrenza dei diversi capitalismi tra loro. Non conta più di tanto la “modesta” spesa (corrispondente all’1,3% del PIL nazionale) dell’Italia con i suoi 27,8 miliardi di dollari (pari al Brasile). Il fatto che conta è che né la qualità della vita né la vita stessa contano granché rispetto alla valorizzazione dei capitali e degli interessi privatistici sottesi ma espliciti. In totale, nel 2018 (mentre di sicuro per gli anni a venire non ci sarà diminuzione o arresto o riconversione delle industrie e della tecnologia di guerra), «si è registrato una spesa mondiale di 1.8 trilioni di dollari, il 74,7% della quale rappresentata dai primi 10 paesi della suddetta classifica. La NATO, con i suoi 29 membri, costituisce invece il 53% confermandosi ancora una volta l’alleanza militare più forte al mondo in termini di spesa militare (https://www.difesaonline.it/mondo-militare/nuovo-record-storico-le-spese-militari-mondiali). Le spese di guerra (militare e non militare), impiegate dalla colonizzazione capitalistica, sono però in continuo aumento (non subiscono tagli come i bilanci del welfare state: questo è degradato e messo in soffitta).

 

Finanza sporca:

E per un passato non molto lontano, sul versante della finanza e delle sue crisi legittime e illegittime (e scapito del bene comune e pubblico), come non ricordare, anche per gli effetti che ancora si risentono, i dati della guerra dei titoli ‘asset’, ‘swap’ o ‘subprime’. Tutti dati che danno la misura della quantità enorme di risorse che potrebbero essere messe a disposizione per ottimizzate la qualità di vita dell’intero pianeta. Gli espedienti cioè con i quali – documenta Saskia Sassen – è stato creato «un mercato il cui valore dei titoli è arrivato all’incredibile somma di 600 trilioni di dollari o equivalente a 1000 miliardi o a 10 volte il PIL interno lordo mondiale. […] La crisi dei titoli swap sui crediti, del valore di 62 trilioni di dollari (più del Pil globale di 54 trilioni di dollari […] quindi insolventi; per sostenerli ci sarebbero dovuti 60 trilioni di dollari, più del Pil mondiale […]. (Saskia Sassen, La finanza divora l’economia, in Carta/Cantieri sociali, XII, n. 1, 15/21 gennaio 2010).

Da canto suo, l’Unione Europea – scrivono Costas Duozinas e Slavoj Žižek – ben lungi dalle promesse di solidarietà e giustizia sociale nel momento delle crisi economico-sociali, è un fossato di disoccupazione, povertà, austerità e discriminazione in cui affogare la classe lavoratrice e la popolazione civile. Nel 2008, il salvataggio delle banche è pari alla bellezza di «un trilione di dollari ha socializzato le perdite del casinò del capitalismo neoliberista, chiedendo alla moltitudine di pagare per le speculazioni degli hedge funds, per la vendita dei derivati e per un sistema economico basato sul consumo e sul debito. Il socialismo per le banche e il capitalismo per i poveri è diventato il modus vivendi degli anni Duemila. […] ma, diversamente, il comunismo (corsivo nostro) aspira a portare libertà e uguaglianza. La libertà non può nascere senza uguaglianza e non esiste uguaglianza senza libertà». (Costas Duozinas e Slavoj Žižek– a cura di, Introduzione, L’idea di comunismo, DeriveApprodi, Roma 2011).

Nel 2012, secondo una serie di dati (elaborati da Tonino Perna, Ugo Biggieri e Tonio Dell’Olio, e riportati dal giornale “Alfabeta2”), il quadro dell’economia finanziaria illegale è così presentato: il traffico illegale (complessivo) oscilla tra il 3 e l’8 % del Pil mondiale (Tonino Perna); il volume del capitale mafioso è pari a 15 volte in più il Pil mondiale (Ugo Biggieri);

Tonio Dell’Olio (Contrastare le nuove mafie globali- Le esperienze dell’Associazione Libera, in Alfabeta2, aprile 2012) riporta: secondo un rapporto di Giuseppe Pisanu (Presidente della Commissione Antimafia), il fatturato delle mafie (2010) è dell’ordine di 120-140 miliardi di €; 1/3 del ricavato dei traffici illeciti viene reinvestito nel malaffare e 2/3 riciclato in affari leciti; secondo l’Interpol, in Europa, le sigle criminali ammontano a circa 4.000; secondo Moisès Naìm (massimo studioso dei traffici illeciti internazionali), e secondo i dati forniti dal Fmi, il riciclaggio di denaro sporco rappresenta tra il 2 il 5 % del Pil mondiale (secondo altre stime potrebbe pure essere il 10%), ovvero tra 800 miliardi di dollari e i 2 trilioni di dollari.

Zona grigia

I costi delle crisi così continuano ad aggravarsi a sfavore della massa dei soggetti, mentre gli espedienti legali e illegali sono appannaggio riservato solamente agli stessi protagonisti del collasso. Sul piano della finanza internazionale c’è una “zona grigia” (e concomitante con il giro d’affari della mafia e della criminalità organizzata) dove, grazie a una certa franchigia sugli spostamenti della liquidità, scorrono fiumi di denaro sottratti ai dovuti controlli. Il suo volume annuo è “pari ad almeno quindici volte il Prodotto interno lordo mondiale”. Anche i soggetti che operano con l’economia e la finanza non illegale, tuttavia, ne approfittano per sfuggire alle pressioni fiscali, per falsificare i bilanci o accantonare somme destinate anche alla corruzione e ai “fondi neri”, per godere della depenalizzazione del falso in bilancio, del gioco delle ‘scatole cinesi’, degli scudi fiscali. Le risorse che gli Stati di tutto il mondo hanno impegnato in un solo anno per salvare questo modello finanziario perverso sono pari – si registra – a circa 200 volte superiori a quello che gli stessi singoli Stati avrebbero dovuto impiegare per dieci anni per poter raggiungere gli obiettivi del «Millennio dell’Onu».

A differenza di queste forze conservatrici e reazionarie (oggi variamente dislocate in latitudine e longitudine), l’utopia comunista invece metterebbe in strada la sovranità “illegittima” della rivoluzione del divenire-uguali-e-liberi associati.

 Forse che la classe politica al potere garantisce dal conflitto dei grandi interessi privati e di classe? RICONVERTE LA POLITICA AL BENE COMUNE? Si prodiga per “L’aumento dei livelli di vita, del pieno impiego e delle condizioni di progresso e di sviluppo nell’ordine economico e sociale”?

Non pagare i debiti

Non pagare i debiti o bloccare quelli viziati non potrebbe essere allora anche una prima scelta radicale e rivoluzionaria nella politica e nella cultura italiana?

E, ancora, non sarebbe un segnale forte contro la rinascita della “controriforma cattolica” nei tempi tristi della santa alleanza trono/altare e contro il vezzo delle “rivoluzioni passive” in giro per le piazze del riformismo trasformistico?

Sa di comunismo? Di comunismo della molteplicità, di democrazia dei “senza parte”, di una nuova pratica democratica collettiva che coniuga idee e prassi politica plurale ideologico-materiale, produzione di soggetti, soggettivazioni e procedure di verità concrete e collettive? Bon! Allora… proviamo?

Non crediamo assolutamente che gli eventi storici, e le verità politiche particolari che li hanno messo in vista, abbiano dimostrato che la “produzione dell’uomo” (essere “insieme di relazioni”) mediante gli uomini e i rapporti di interdipendenza reciproca, siano appannaggio intoccabile ed esclusivo del solo capitale, della sua ideologia proprietaria, dei codici e della sua cultura, quella volta alla mercificazione e al mercimonio generalizzato.

Eventi epocali, prevedibili o meno – che fanno discutere la collettività intorno alla corrispondenza o meno dell’identità tra le cose e i nomi che le dicono –, quando si verificano generano delle fratture, spingono a decisioni di identità alternative; impongono scelte e azioni che nessun automatismo o deresponsabilizzazione può rimpiazzare per presunte necessità presenti irrevocabili e destinali, specie se calano dall’alto dei cieli dei tribunali dei padroni.

Oppressi e sfruttati di tutto il mondo ingiusto, allora, non illudiamoci che la “guerra” di “regime” ordoliberista, dichiarata al “pandemico/CoVid-19”, cambi i vettori della sua marcia, specie se sappiamo che ha sottratto e depotenziato le strutture sociali della sanità pubblica (e degli altri servizi essenziali a salvaguardia della vita di ognuno!); e ciò per incrementare profitti e rendite privatistiche, diseguaglianze di classe, investimenti per guerre colonizzanti o di dominio, e politiche di indebitamento per servitù (individuali e popolari) permanenti!

Senza divinizzare l’immagine di un mondo comunista in divenire, quello grottesco – quello che Christian Marazzi ha denominato “comunismo del capitale” –, il capitalismo monetario e quello delle guerre finanziarie (BRIC: Brasile, Russia, India, Cina; il Giappone, anche lui, cerca un posto al sole), va (senz’altro!) abbattuto.

È intollerabile che il sistema, che ha messo e mette sotto sequestro il destino di vita collettivo generale, e quello della forza lavoro e del lavoro (produzione cognitiva e non cognitiva) in particolare, continui a programmare le sorti di chi deve godere o soffrire, vivere o morire; è intollerabile che continui ancora a permanere e a decidere dell’intero destino di vita di tutti, mentre, ulteriormente e globalmente, generando catastrofi epocali, persevera nel dividere l’umanità in classi e gerarchie sociali stratificate.

Marsala, 31 marzo 2020

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Pubblicato da retroguardia

Docente e critico letterario. Dirige la rivista di critica letteraria "RETROGUARDIA". Si è occupato in particolare della narrativa di Guido Morselli e Gesualdo Bufalino. Altri interessi di ricerca riguardano anche la poesia contemporanea, la teoria della letteratura, il romanzo fantastico e comico, la metrica italiana. Suoi interventi critici sono apparsi in rete (Musicaos.it, Retroguardia, La poesia e lo spirito, ecc) e su alcune riviste di letteratura (Tabula rasa, Narrazioni, ecc). Socio fondatore dell’associazione culturale e membro del comitato di lettura di vibrisselibri, redattore de “La poesia e lo spirito” dal 2007.