Neuropa di Gianluca Gigliozzi. L’antiromanzo carnevalesco

neuropa

di Francesco Sasso

“IO VORREI VEDERE L’INVISIBILE, MAI VEDUTO O MAL VEDUTO. VEDENDO IL MURO IO NON VEDE CHE IL MURO DEL Già VEDUTO, STRAVEDUTO, MALVEDUTO […] e già vede che fingeva di essere altri IO è un po’ come avere tanti corpi morti in cui frugare a caccia dell’ESSERE “.

Mi attirava l’idea d’iniziare il mio articolo con una frase/insegna estrapolata dal corpo/mondo narrativo di NEUROPA, poema epicomico di Gianluca Gigliozzi, pubblicato dalla casa editrice leccese Luca Pensa Editore e da alcune settimane nelle librerie italiane.
Scritto dal 1996 al 2001- con le varie revisioni del caso, il poema/romanzo di Gigliozzi narra le vicende (reali o trasfigurate dalla lente della fantasia?!) delle più importanti personalità dell’Europa tra il 1671 e la Rivoluzione Francese, periodo fondamentale per la nascita delle moderne società europee.
Il romanzo/poema immediatamente s’impone in prima lettura per la complessità della sua struttura. Esso si fonda sull’intreccio di svariati strati narrativi. Volendo generalizzare, possiamo affermare che in Neuropa c’è un livello filosofico, un livello romanzesco, un livello poetico e un livello storico (quest’ultimo facilmente inglobabile con quello filosofico). Non tratterò del livello filosofico-storico, peraltro già toccato da Luciano Pagano su Musicaos.it, ma mi soffermerò sui restanti livelli tematico-formali a me cari.

Livello poetico e formale.

La lingua di Gigliozzi è una lingua “alta”, equilibrata, mai banale o sciatta. La scelta dei verbi e degli aggettivi è raffinata. In alcuni punti la prosa del nostro è retta dalle regole della prosodia e della retorica. Le sue frasi più riuscite sono un continuo succedersi di sequenze melodiche e cellule ritmiche separate dal trattino (in sostituzione del punto), scandite da assonanze, consonanze o rime interne: “urla, strepiti, spari e fremiti- vibrazioni di fuochi celesti che irrompono nell’aria gialla- sembra che stiano tirando giù il cielo con un sistema di funi, alzaie, cordate, tutte in tensione concertata- s’incrina, si squassa, si ripetono schianti, raschi e frane- raspare di metalli, tonfi di corpi- e ancora rulli, urli, urti e canti-“. (Avrei potuto riportare altri esempi più calzanti per ogni aspetto retorico, ma ho la necessità di citare un pezzo in cui sono presenti i vari aspetti da me evidenziati).
L’utilizzo delle assonanze, che nella poesia popolareggiante è diffusa in luogo della rima, viene qui adoperata all’interno della frase per accrescere la musicalità del testo. Per questo è giusto definire Neuropa un poema in prosa. E la prosa del nostro scrittore è infarcita di tali sequenze melodiche e di figure retoriche.
Riprendendo l’estratto di sopra, vorrei farvi notare la presenza della figura di pensiero detta accumulazione, con un maggior effetto dovuto all’asindeto, cioè mancanza di particelle congiuntive o disgiuntive. ( “ Fior, fronti, erbe, ombre, antri, onde, aure soavi “, Petrarca, Canzoniere CCCIII). Spesso in Neuropa l’utilizzo dell’accumulazione ha intenti comici come nella migliore tradizione della Nencia di Lorenzo. Ma- c’è un piccolo ma- la prosa poetica di Gigliozzi cede nella parte finale del romanzo/poema. Sembra perdere la lucentezza e la freschezza iniziale. Scivola nella pura prosa, anche se lo stile resta elegante e raffinato. Questo è dovuto, probabilmente, alla lunga gestazione o ad una precisa strategia narrativa (ma su quest’ultima ipotesi dovremmo sentire l’autore).

Altro elemento stilistico-formale che vorrei mettere in luce in questa mia recensione, è l’utilizzo che Gigliozzi fa del dialogo.
I dialoghi sono strutturati come brevi opere teatrali. Il testo non si limita ad indicare la parte verbale del messaggio, i discorsi dei personaggi, ma comprende anche le didascalie, vale a dire gli elementi informativi utili per capire le battute, a mo d’indicazione della regia. Questa peculiarità costitutiva la inserirei nel più ampio discorso del mondo carnevalesco/teatrale (argomento che nelle righe successive svolgerò con più agio).
A conferma dell’aspetto teatrale/carnevalesco dell’opera, il nostro puntella la narrazione con “l’anaforistica” frase: “A questo punto facciamo entrare in scena…).
Un’altra considerazione la spendo sulla bravura del nostro nelle parti dialogiche: spesso essenziali, poco ridondanti e piene di brio.
CONTADINO: Ah, siete voi quello che se ne va in giro spargendo confratelli per via!
IO: chi diavolo state seppellendo?
CONTADINO: Se vi sforzate un attimo, ci arrivate!
IO: Ma non è possibile!
CONTADINO: Oh, invece sì che è possibile. State sicuro che, se avessi saputo che tornavate, ve l’avrei fatto seppellire con le vostre mani! Ma siccome non lo sapevo, ho dovuto far pulizia da me. Non è mica un cimitero, questo. Con questa terra ci vivo.
[…]
IO: Certamente vi sbagliate!
CONTADINO: Me ne frego, perché non lo tiro fuori da qui! Né ve lo faccio tirar fuori! Dovevate pensarci prima, per dio!Dovreste ringraziarmi per questo lavoraccio! Ma adesso andate a scocciare qualcun altro, via!
Chiaramente, siamo di fronte allo scontro di due registri linguistici. Il registro “alto” e melodico della voce narrante, e il registro “basso” della maggior parte dei dialoghi e delle immagini grottesche rappresentate. Da qui nasce l’effetto di straniamento.

Altro aspetto formale dell’opera è la presenza, anch’essa retorica, della digressione. Attraverso questo marchingegno narrativo, il lettore tralascia la materia appena proposta per emigrare in una diversa. Essa viene utilizzata dal nostro autore per mantenere alta l’attenzione del lettore e per poter manipolare e riorganizzare con facilità e duttilità l’immensa mole di vite, storie e pensieri, e distribuirli su più piani narrativi. È una sorta di gioco di specchi. Uno dei momenti più riusciti è quel pezzo narrativo che va sotto il titolo TANGENZA TRA MONDI POSSIBILI, dove l’autore ricostruisce l’incontro possibile tra alcuni personaggi dei romanzi del marchese de Sade (e qui mi fermo per non rovinarvi la lettura). Oppure i vari slittamenti di IO (immediatamente percepiti dal lettore) da un piano temporale ad un altro. Spesso le digressioni danno il ritmo alla narrazione, scandendo le emigrazioni da una personalità/personaggio ad un’altra.
Ma, come per l’aspetto stilistico, anche qui avvertiamo un eccessivo appesantimento del corpo narrativo verso i tre quarti dell’opera, dovuto ad alcune digressioni a nostro parere troppo accostate l’una all’altra.

Strato romanzesco e tematico

Entro subito nel merito. La guida di quest’analisi è il trattato su L’opera di Rabelais e la cultura popolare di Michail Bachtin.
L’autore di Neuropa ci dice di ispirarsi alla linea Swift/Sterne (autori da me poco frequentati). In più in copertina si accenna a “materia psicotica, da indossare nella sua schizofrenia mille maschere da Newton a Marat”.
La mia ipotesi di lavoro vuole ampliare e non annullare le coordinate che l’autore e l’editore ci forniscono.
Per me Neuropa rintraccia e s’inserisce nella tradizione comica alternativa, che ha le radici nella cultura comica popolare, operante sotterraneamente per tutto il Medio Evo e che, con il Rinascimento, si affaccia alla ribalta della grande letteratura, attraverso autori come Boccaccio, Shakespeare, Cervantes e soprattutto Rabelais. Non a caso il nostro riporta intere citazioni Shakespeariane, narra vicende alla Don Chisciotte (vedi il monaco errante Io-Sancio Panza e Torres De Aguilar-Don Chisciotte).
Naturalmente non è mia intenzione entrare troppo nello specifico della materia, ma mi soffermerò speditamente (ossimoro del critico) su alcune caratteristiche del comico carnevalesco presenti in Neuropa.
Il tempo e il divenire sono al centro di tutta la visione del mondo carnevalesca e del romanzo di Gigliozzi, nel quale si scopre ogni volta “ il fenomeno in stato di cambiamento, di metamorfosi ancora incompiuta, allo stadio della morte e della nascita, della crescita e del divenire “ (la citazione è tratta dal saggio di Bachtin).
E ancora, il canone carnevalesco è tutto dalla parte dell’incompiuto, vede vivere il corpo negli atti materiali della nascita, morte, del parto, dell’evacuazione, del rapporto sessuale. Il corpo è sempre in comunione con l’esterno. In Neuropa il canone “basso” è presente, e il corpo umano viene descritto attraverso i suoi elementi costitutivi: “hanno tutti la pelle butterata, facce viola, fegati presumibilmente distrutti, occhi bianchi come ossa”, o come quando, al principio del romanzo/poema, IO rimescola le interiora di un cadavere aperto al mondo.
Altro elemento ricorrente in Neuropa sono gli odori. Sono gli odori a identificare l’uomo e i luoghi nel romanzo/poema: “odore, di stoffa, muco, sudore, legno marcio, ruggine, brodo”, e questo in tutta l’opera.
Bachtin ci avverte che il riso del carnevale è legato alla morte, alla sottrazione del corpo individuale, alla gaia relatività del morire per rinascere. E IO in tutta Neuropa non fa altro che morire per rinascere e tentare nuove possibili vie.
Altro motivo fondamentale del mondo carnevalesco è la maschera, il travestimento. La maschera carnevalesca permette sempre un ri-impegno, uno stravolgimento e un rinnovo del personaggio sociale. E’ il superamento collettivo della morte. E in Neuropa il personaggio/non personaggio IO non fa altro che cambiare maschera, travestirsi, saltare da una personalità all’altra, schivare la morte: si rinnova nella storia. In poche parole, il gioco delle voci e dei linguaggi è un gioco di maschere dialoganti (e qui, caro lettore, ricorda l’elemento formale dei dialoghi teatrali poco sopra trattato). Chiaramente questo mio discorso andrebbe completato con il piano filosofico presente in Neuropa.

Un’ulteriore conferma che l’opera Neuropa è inserita a pieno diritto nel filone (antiromanzesco) carnevalesco Sei/Settecento ce la fornisce Lukacs: “Il romanzo nel settecento (La Sage, Voltaire) conosceva appena la descrizione, che vi esercitava una funzione minima più che secondaria. La situazione cambia soltanto col romanticismo […] Il rapporto tra l’individuo e la classe è divenuto più complesso di quel che non fosse nel Seicento o Settecento. L’ambiente, l’aspetto esteriore e le abitudini dell’individuo potevano (per esempio in Le Sage) essere indicati molto sommariamente, e tuttavia costituire, ad onta di questa semplicità, una chiara e completa caratterizzazione sociale” (Tratto da G. Lukacs , Narrare o descrivere? Da “Il marxismo e la critica letteraria”). In effetti in Neuropa non c’è una sola descrizione dell’ambiente e dei personaggi “classico” da romanzo borghese.
Un’ulteriore spia del rifiuto della struttura romantica (Ottocento) e sperimentale (Novecento) del romanzo è la scomparsa del punto. Fino ad oggi abbiamo assistito a romanzi senza virgole, ma mai a testi senza il punto. E qui mi piace ipotizzare che il trattino sia comparabile alla sbarra obliqua usata nelle stesure delle liriche in sostituzione dell’andare a capo. Sarebbe un’ulteriore conferma della struttura a poema dell’opera da noi vivisezionata.

Altro punto di congiunzione tra Neuropa e il mondo carnevalesco è il “rapporto con la morte”.” L‘immagine della morte, nel fissare il corpo agonizzante (individuale), ingloba nello stesso tempo una piccola parte di un altro corpo che nasce, giovane che, anche se non è mostrato e designato per nome, è incluso implicitamente nell’immagine della morte.” (Bachtin)
E ancora Bachtin : “ Sulla piazza pubblica del carnevale, il corpo del popolo sente, innanzi tutto, la sua unità nel tempo, la sua durata ininterrotta entro di esso, la sua relativa immortalità storica”, provate a leggere l’intera opera di Gigliozzi in quest’ottica e percepirete il pensiero che è alla base della costruzione narrativa del nostro. Ovviamente potrei continuare nei rimandi, ma preferisco rimanere in superficie.

Il romanzo/poema Neuropa è un organismo complesso che merita una seconda o terza lettura da parte del sottoscritto, tale è la piena d’immagini e di “combinazioni” strutturali.
Avrei desiderato trattare anche del rapporto IO(uomo nella storia)-LUI(Divinità sfuggente), oppure il tema della giustizia/ingiustizia.

Per concludere, non possiamo che apprezzare l’opera d’esordio di Gianluca/Gillonza(un personaggio di Neuropa) Gigliozzi. Testo che merita l’attenzione della società letteraria italiana. E vorrei chiudere con un suggerimento di lettura e un augurio.
Suggerisco al lettore di Neuropa di non farsi intimorire dalle prime trenta pagine. Per entrare nel “mondo/logica” di Neuropa c’è bisogno di una piccola camera di decompressione, un adattamento al clima e alla pressione del romanzo/poema, ecco la funzione delle prime trenta pagine.
E l’augurio che voglio formulare e quello di non dover attendere altri otto anni per riascoltare la voce narrativa di Gigliozzi.

f.s.

 

[Gianluca Gingliozzi, Neuropa, Pensa editore, 2005, 236 p., € 10,00]

Pubblicato da retroguardia

Docente e critico letterario. Dirige la rivista di critica letteraria "RETROGUARDIA". Si è occupato in particolare della narrativa di Guido Morselli e Gesualdo Bufalino. Altri interessi di ricerca riguardano anche la poesia contemporanea, la teoria della letteratura, il romanzo fantastico e comico, la metrica italiana. Suoi interventi critici sono apparsi in rete (Musicaos.it, Retroguardia, La poesia e lo spirito, ecc) e su alcune riviste di letteratura (Tabula rasa, Narrazioni, ecc). Socio fondatore dell’associazione culturale e membro del comitato di lettura di vibrisselibri, redattore de “La poesia e lo spirito” dal 2007.