Come atteggiamento o come orientamento mentale, la tolleranza può essere descritta in molti modi. […] Se è mio desiderio che gli altri vivano accanto a me all’interno della mia società, io in realtà non li tollero, li sostengo. Ciò non significa, però, che io necessariamente sottoscriva questa o quella versione dell’alterità. Posso benissimo preferirne un’altra, culturalmente o religiosamente più vicina alle mie pratiche e alle mie credenze (ma anche, perché no?, una più lontana ed esotica e quindi meno concorrenziale e minacciosa). In ogni società pluralistica, peraltro, ci saranno sempre persone che, per quanto assolutamente convinte del pluralismo che professano, troveranno alquanto difficile convivere con qualche differenza particolare, sia essa una forma di culto, un ordinamento dell’istituzione familiare, una regola dietetica, una pratica sessuale o un tipo di abbigliamento. Pur sostenendo l’idea della differenza in astratto, tali persone, poste di fronte a precise differenze concrete, si limitano a tollerarle. Tuttavia vengono giustamente considerate tolleranti anche persone che non incontrano tale difficoltà; esse fanno posto sen-za alcuna fatica a uomini e donne di cui non accettano le credenze né intendono imitare le pratiche; convivono con un’alterità di cui approvano la presenza nel mondo, ma che resta nondimeno un elemento estraneo alla loro esperienza, qualcosa di alieno e stravagante. Tutte le persone che riescono a comportarsi così, indipendentemente dalla loro collocazione sul continuum formato da rassegnazione, indifferenza, accettazione stoica, curiosità ed entusiasmo, io dirò che possiedono la virtù della tolleranza.
[Michael Walzer, Sulla tolleranza]