Manolo Morlacchi, “La linea del fuoco. L’Argentina da Perón alla lotta armata”. Racconto di una rivoluzione

Manolo Morlacchi, La linea del fuoco. L’Argentina da Perón alla lotta armata, Milano, Mimesis, 2019, pp. 226, € 18,00

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di Stefano Lanuzza
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Come un racconto-verità scritto dopo un viaggio nel Paese più ‘italiano’ del Sudamerica – l’Argentina che, tra la seconda metà dei novecenteschi anni Settanta e la prima metà degli Ottanta, è scenario di rivolte e di un genocidio perpetrato dai militari governativi e da squadre della morte contro quarantamila oppositori, uccisi e fatti sparire –, è La linea del fuoco. L’Argentina da Perón alla lotta armata (Milano, Mimesis, 2019, pp. 226, € 18,00) di Manolo Morlacchi (Milano, 1970), storico politicamente orientato.

Sul ‘filo rosso’ di una “linea del fuoco” che marca il dissenso e la guerra di liberazione nell’Argentina delle dittature, l’autore inizia il suo percorso nel 2017, visitando in Plaza del Congreso a Buenos Aires la sede dell’associazione delle Madres de Plaza de Mayo, le madri dei desaparecidos assassinati dalla polizia dopo il golpe del 24 marzo 1976 e la presa del potere del generale Jorge Rafael Videla che sospende i diritti civili, ferma i sindacati e le organizzazioni degli studenti, dichiara illegali i partiti d’opposizione, perseguita i giornalisti contrari al suo regime.

Appena entrato nella sede delle Madres, l’autore è sorpreso nel vedere le pareti “ricoperte di scritte, fotografie, disegni, quadri e ritratti” dedicati al generale Juan Domingo Perón con la prima moglie Evita, a testimonianza del ricordo ancora vivo di un peronismo divenuto acritico mito e della filantropica Evita assurta a “icona laica, un’eroina venerata quasi fosse una santa”.

Dinanzi a tanto consensuale fideismo, può apparire addirittura vano – spiega Morlacchi – voler obiettare “sulla reale natura storica del peronismo”, ovvero su un Perón che, già vicino ai nazifascismi europei al tempo della Seconda guerra mondiale, nel 1943, con un colpo di Stato, prende il potere in Argentina. Eletto presidente nel 1945, governa fino al 1955 quando viene esautorato da una parte delle Forze Armate capeggiate dal generale Aramburu, il fucilatore, nel 1956, di una quarantina di avversari politici (tempo dopo, allorché il 29 maggio 1970 Aramburu viene rapito e presto giustiziato da guerriglieri Montoneros, si parla di un’esecuzione “corretta”).

Esiliato per molti anni, dopo innumerevoli attentati che sconvolgono l’Argentina e il nuovo golpe nel 1966 del generale dell’esercito Juan Carlo Onganía, persecutore di lavoratori, studenti, intellettuali e vero servo degli interessi statunitensi come delle caste privilegiate, Perón, accompagnato dal suo sodale Licio Gelli della Loggia massonica P2, torna in patria nel 1972 facendosi mallevadore, nel 1973, della Tripla A (l’illegale, criminaloide Alleanza Anticomunista Argentina) diretta dal proprio segretario López Rega e finanziata dal governo americano con fondi occulti.

Allora, non è forse Perón che favorì col suo segretario il caporale di polizia Rega, massone e bizarro esoterista, lo “stregone” (“el brujo”) ossequiato da Isabelita, seconda moglie del caudillo, “la nascita della Tripla A e coprì le stragi anticomuniste? Che giustificò il massacro di Ezeiza il 20 giugno 1973 [anno dell’inizio della dittatura militare in Cile del generale Pinochet, che destituisce il presidente socialista Allende democraticamente eletto]?”. Altresì, non è l’ineffabile populista Perón, antisocialista anzichenò e compromesso con le conservatrici oligarchie politico-economiche anche internazionali, con le diverse giunte militari e le alte sfere clericali, a permettere la repressione dei gruppi rivoluzionari fino all’avvento della Giunta golpista di Videla, possibilmente più efferata di quella del generale cileno Pinochet?

A fronte di ciò, com’è possibile che una figura come quella di Perón, così ambigua, personalistica quanto contraddittoria, spregiudicata e in definitiva opportunistica, non trovi ancora oggi una precisa definizione storica? Certo non c’è risposta possibile se alla perplessa domanda si oppone il dogmatico principio secondo cui non si può capire la storia moderna dell’Argentina se non si capisce il peronismo, fenomeno politico pseudoriformista che anche molti “peronisti di sinistra”, paramarxisti o tiepidi militanti del Partito Comunista Argentino, accettano in nome d’un “patto” fra capitale e sindacati, una sorta di sincretismo politico per mistificare e contrastare la lotta di classe. È un patto, preteso liberista, teorizzato dallo stesso Perón in un discorso del 24 agosto 1944 alla Camera di Commercio in cui si rivela la circospezione di convenienza del caudillo. “Se noi non facciamo la rivoluzione pacifica, il popolo farà la rivoluzione violenta” dice. Sorgerebbero da tali basi il sindacalismo statale della Confederacion Genral del Trabajo (CGT), come il Partito justicialista e il movimento non marxista ma soltanto filoperonista di settori dei Montoneros.

L’accordo ricercato da Perón non impedisce la guerriglia permanente in cui viene mantenuta la situazione argentina: che se non può essere capita senza interpretare il peronismo, allo stesso modo, non si può capire il peronismo senza rilevare i condizionamenti da esso svolti per il controllo dei sindacati e della stessa società. Contro ciò, a partire del 1969 reagiscono le organizzazioni rivoluzionarie armate del marxista-leninista PRT-ERP (Partido revolucionario de los trabajadores – Ejercito revolucionario del pueblo). Mentre si comincia forse a intendere che non esistono un “Primo” e un “Secondo” Perón, prima sociale poi liberale, bensì un unico e più credibile soggetto politico alfine autoritario, capace di mettere sincreticamente insieme proletariato e oligarchie allo scopo di mantenere un proprio personale dominio (?).

La costituzione del proletariato come classe nazionale avvenne in condizioni di chiara subordinazione ideologica, politica e organizzativa al progetto nazionalista borghese di Perón” osserva nell’Introduzione al libro Julio Santucho, fratello del fondatore dell’ERP-PRT Mario Roberto (“Roby”), caduto in uno scontro coi militari di Videla nel luglio 1976; cui segue, dopo alcuni mesi, lo scioglimento dell’Ejercito Revolucionario ispiratosi alla Guerra di Algeria, allo studio della Scuola francofortese, al Libretto rosso di Mao, alla Rivoluzione castrista, alle Pantere Nere americane, al Maggio francese sessantottesco, ai modelli della guerriglia organizzata introdotti dal guevarismo nonché alle lotte operaie e studentesche italiane. Ed è proprio in Italia che, tra il 1977 e il 1978, nasce il solidale Comitato Antifascista contro la Repressione in Argentina (CAFRA).

Rilevante, nella documentata ricognizione di Morlacchi – dove si registrano le numerose attività rivoluzionarie, le guerriglie rurali, le azioni repressive, le imboscate della Tripla A e della destra peronista-nazionalista (“veri e propri fascisti”) contro i peronisti non allineati, il frenetico succedersi dei governi militari –, resta il tentativo di sintetizzare la complessa funzione della “struttura guerrigliera”. Una struttura di gruppi armati errabondi e, alla fine, mai coesi, vittime di arresti e torture, rapimenti e deportazioni, uccisioni sommarie doppiate da bagni di sangue tra la popolazione civile, tutte realtà che non smascherano abbastanza l’invalso doppio gioco della demagogia peronista intrisa di massoneria deviata: di un retaggio che pesa sulla cultura politica argentina e pervicacemente punta ora a ‘cambiare tutto per non cambiare niente’, ora a reprimere ogni vero tentativo di mutare lo stato di cose.

Inequivocabile al pari di un testamento rimane la dichiarazione di Perón dopo il massacro, con oltre cinquanta morti, “all’aeroporto internazionale di Ezeiza, a Buenos Aires”: a suo avviso, era giunto il tempo di finirla coi “rossi” infiltrati nel movimento peronista (!). Né i peronisti ‘di sinistra’, col Partito comunista e coi Montoneros che pubblicamente stanno con Perón mentre in privato lo criticano senza pensare d’attaccarlo, riescono ad accettare l’idea che il loro capo li abbia traditi consentendo rigurgiti fascisti sempre rinnovati. Certo, era “mal consigliato” (!).

Così il caudillo vince le elezioni del settembre 1973: scontate, il 25 settembre, con l’uccisione, probabilmente da parte dei Montoneros rivoluzionari, del suo alleato, il sindacalista José Rucci, “tra i responsabili dei fatti di Ezeiza”. È crisi nei rapporti tra Perón e i Montoneros, mentre in tutto il Paese s’intensifica la lotta armata e il I maggio del 1974 , durante la Festa del lavoro in Plaza de Mayo, si consuma “una volta per tutte la rottura tra i Montoneros e il caudillo”, che muore per un attacco cardiaco il I luglio dello stesso anno.

In siffatto contesto temporale caratterizzato dal ricorso in varie parti del mondo alla lotta armata, “l’Argentina rappresentò senza dubbio un unicum a livello internazionale”, un progetto che, pure richiamandosi “apertamente agli insegnamenti della rivoluzione cubana”, non ottenne i risultati voluti… Fu per il PRT/ERP una sconfitta o non, piuttosto, un’esperienza generosa di cui, nel Sudamerica, “si sono avvalse anche molte altre organizzazioni di altri paesi”?

Si deve giungere al 24 marzo 2004 perché – dopo i presidenti Alfonsin, radicale democratico giunto alla presidenza nel 1983, il peronista Carlos Menem, il radicale Fernando de la Rúa –, il presidente socialdemocratico Néstor Kirchner inauguri l’ESMA, l’Espacio Memoria y de derechos humanos (“Spazio della memoria e dei diritti umani”), un museo dedicato ai tanti desaparecidos.

A Kirchner, per la presidenza dell’Argentina seguono nel 2015 il neoliberista Mauricio Macri, originario di una famiglia calabrese, amico dei golpisti brasiliani, nemico del Venezuela bolivariano e infine più noto per tenere in carcere alcuni avversari; con la kirkhnerista Milagro Sala, leader del Movimento Túpac Amaru a favore delle province povere del Paese, accusata dal governatore Morales di San Salvador de Jujuy di “associazione illecita” e agli arresti dal 2016… Ora, con l’avvento del giustizialista socialdemocratico Alberto Férnandez alla presidenza dell’Argentina, si attende la liberazione di tutti i prigionieri politici.

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Pubblicato da retroguardia

Docente e critico letterario. Dirige la rivista di critica letteraria "RETROGUARDIA". Si è occupato in particolare della narrativa di Guido Morselli e Gesualdo Bufalino. Altri interessi di ricerca riguardano anche la poesia contemporanea, la teoria della letteratura, il romanzo fantastico e comico, la metrica italiana. Suoi interventi critici sono apparsi in rete (Musicaos.it, Retroguardia, La poesia e lo spirito, ecc) e su alcune riviste di letteratura (Tabula rasa, Narrazioni, ecc). Socio fondatore dell’associazione culturale e membro del comitato di lettura di vibrisselibri, redattore de “La poesia e lo spirito” dal 2007.