L’infinita solitudine, Leopardi inconsapevole funambolo dell’infinito

Giacomo Leopardi, , a curata da Sonia Caporossi, Marco Saya Editore, Milano 2020, pp. 148, € 15,00

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di Sara Alicandro

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«[…] Ma tu che mi conosci, almeno tu che sai, diglielo tu che il mondo io non l’ho odiato mai! E se mi sono perso a vagar l’infinito, punivo l’universo di un amore tradito».

(L’Infinito, Roberto Vecchioni)

Ho sempre avuto a cuore tutto ciò che riguarda la questione Leopardi, in particolare il suo famigerato pessimismo, idea da me mai condivisa, neppure in una fase pre-universitaria della mia formazione, in cui è facile cedere alla natura schematica di certi manuali, credere a quello che ci viene raccontato senza alcuna applicazione di personale senso critico. Quando ho sentito questa canzone dell’ultimo album del professor Vecchioni, che è una più o meno libera riscrittura delle lettere napoletane di Leopardi al suo “Totonno”, Antonio Ranieri, mi sono detta che magari stava iniziando a diffondersi più largamente l’idea che colui che è forse l’anima e figura autoriale più complessa di tutta la letteratura nostrana non possa in alcun modo essere incasellato in categorie, né tantomeno essere schiavo di etichette. Perciò è facile intuire che con lo stesso spirito mi sono avventurata nella lettura dell’antologia ragionata dal titolo L’infinita solitudine (Marco Saya Editore, Milano 2020, pp. 148, € 15,00), curata da Sonia Caporossi – che ne scrive anche l’introduzione – e con il prezioso contributo saggistico di Antonino Contiliano a chiudere il cerchio. Quello che mi sono ritrovata davanti non era lontanamente quello che immaginavo o che mi ero prefigurata di scovare, tuttavia si è incredibilmente rivelato ciò che avevo assoluto bisogno di leggere.

I due elaborati che fanno da cornice ai componimenti sono – a mio avviso – necessari per intraprendere la lettura dell’antologia con la giusta ottica che, qualsiasi sia quella di partenza, cambierà certamente la visione d’insieme del lettore. Tali testi sono le due facce speculari di uno stesso Leopardi, un Leopardi che dalla sua “infinita solitudine” costruisce un viaggio nell’animo umano che gli permette non solo di raccontare se stesso e la propria interiorità, ma anche – come un nuovo Dante – di decifrare il sentire comune di tutto l’universo esistente e non solo, in dimensioni spazio-temporali che a volte possiamo riconoscere come nostre e a volte meno, con parole che hanno ragione di abitare sia nel linguaggio sia al di fuori di esso.

Sonia Caporossi si muove magistralmente tra i temi riguardanti il poeta recanatese e, raccontandone la complessità emotiva, filosofica e linguistica, rende lampante ai nostri occhi di lettori quanto sia impossibile, oltre che inopportuno, tentare di ingabbiarlo in termini e definizioni che non gli apparterranno mai. Ne emerge che Leopardi ha lo straordinario potere di essere qualcosa e allo stesso tempo esserne il completo opposto, il poeta del nulla e il poeta del tutto, in contrasto con se stesso ma mai in contraddizione. È nietzschiano e non schopenhaueriano il più delle volte, poi si reinventa e ancora ritorna all’origine di se stesso. Finge sulle “sudate carte” un rapporto conflittuale con la vita solo per nascondere l’immenso amore che prova per la stessa, non ricambiato eppure disperatamente agognato fino all’ultimo respiro della sua breve ma intensissima esistenza. Per non parlare delle continue, iconiche apostrofi alla luna, che – citando Sonia Caporossi – non mirano ad ottenere una risposta, ma alla dimostrazione che già nell’atto del porre la domanda si incarna l’assenza assoluta di tale risposta. Altrimenti quale sarebbe il senso del continuo, infinito interrogatorio del poeta alla luna? Non sono vere domande, ma grida disperate di un cuore che più si spezza, più si innamora del soggetto del suo amore, che tanto lo fa soffrire. Ancora, l’autrice affronta il tema problematico dell’aldilà e quello delle illusioni, entrambe cose che un materialistico Leopardi vorrebbe inesistenti e che tuttavia prendono vita in componimenti come Il sogno, dove la dimensione onirica è per il poeta ancora vivente il portale d’accesso per incontrare la donna amata che non c’è più fisicamente.

Ma c’è una ragione in particolare per la quale è impossibile costringere Leopardi in una gabbia di definizioni tutte rigorosamente inadatte: oltre che essere un poeta variopinto dei colori tra loro più diversi ed estremamente enigmatico, è anche un uomo, e come tale è soggetto alla coesistenza – dentro di sé – di forze in conflitto tra loro.

Non c’è da stupirsi che nella sua modernissima poesia “ancella del vero” si alternino momenti di idillico fantasticare e “caro immaginar” ad altri scanditi da ritmi faticosi e a-musicali nella fase della poesia “forma non forma”, quando Leopardi si ritroverà disarmato davanti alla caduta dell’ultima dolce illusione, l’amore. Ma ci basta pensare al suo meraviglioso testamento spirituale, La ginestra, con la social catena e la presa di coscienza del comune destino umano per spazzare via ogni parvenza di pessimismo, che dir si voglia.

Veniamo ora al secondo scritto dell’antologia, il saggio di Antonino Contiliano dal titolo Con “0 = ∞” fra le pieghe temporali dell’infinito leopardiano.

A partire dal titolo intrigante scelto dall’autore, il quale riassume perfettamente il nucleo della questione affrontata, ci immergiamo in un breve e bellissimo viaggio nella mente del poeta di Recanati che è sì letterario, ma che soprattutto tenta di spiegare con la scienza ciò che avviene quando le parole dalla mente di Leopardi passano alla mano, alla penna e poi fioriscono sulla carta. Non mi permetterei mai di parafrasare parole che appartengono ad un linguaggio a me quasi totalmente estraneo – anche perché sarebbe un peccato guastare ciò che Contiliano spiega benissimo da sé – ma posso qui restituire ciò che sono riuscita a fare mio e che ho trovato particolarmente innovativo ed originale.

Nel saggio, Antonino Contiliano mette in contrapposizione le due massime unità possibili nel mondo matematico, il nulla e l’infinito. Nell’immaginario comune, si crede che queste siano l’una l’esatto opposto dell’altra, quindi come potrebbe essere possibile che non entrino in contrasto? L’autore ci porta in un universo dove esiste un’ottica diversa, che va più in là sia del mondo reale, contingente e metafisico dove Leopardi credeva di essere confinato (scriveva così nello Zibaldone), sia oltre quello che si trova “al di là della siepe” e che Leopardi credeva di poter pallidamente imitare con il linguaggio delle immagini e della parola e che invece non sapeva di attraversare, conoscere e manovrare. Con questa logica, la poesia e la matematica non sono così diverse; se è vero, poi, che “ciò che è rigoroso è insignificante”, perché la matematica (una scienza fatta di norme) può dare un nome a ciò che è astratto e la poesia non avrebbe il diritto di farlo?

Ne L’Infinito, Leopardi riesce a far coesistere il regno dell’indeterminato e dell’inconsistente (dal punto di vista materico) e ciò che è contemplabile e, quindi, determinato e descrivibile. E dunque, superata questa barriera, non è più che legittimo affermare che il nulla e l’infinito sono due parti di uno stesso sentire?

Questo sentire, Leopardi lo attraversa su una corda da funambolo, equilibrato e imperterrito; afferra caratteristiche di entrambe le sfere, le maneggia e rimescola più volte, facendo sì che i nomi e le sensazioni si confondano in un’unica sinfonia poetica che rende “dolce” il “naufragar in questo mare”.

Per concludere, vorrei sinceramente ringraziare entrambi gli autori per aver confermato quanto sia tutto più bello in letteratura se invece che cercare risposte che non esistono tentassimo di porci infinite domande che aiutano a decostruire le nostre certezze e a reinventarci ogni volta. Solo così continueremo a meravigliarci.

Pubblicato da retroguardia

Docente e critico letterario. Dirige la rivista di critica letteraria "RETROGUARDIA". Si è occupato in particolare della narrativa di Guido Morselli e Gesualdo Bufalino. Altri interessi di ricerca riguardano anche la poesia contemporanea, la teoria della letteratura, il romanzo fantastico e comico, la metrica italiana. Suoi interventi critici sono apparsi in rete (Musicaos.it, Retroguardia, La poesia e lo spirito, ecc) e su alcune riviste di letteratura (Tabula rasa, Narrazioni, ecc). Socio fondatore dell’associazione culturale e membro del comitato di lettura di vibrisselibri, redattore de “La poesia e lo spirito” dal 2007.