La vicenda delle spoglie di Dante

di Siro A. Chimenz 

[…] Le ossa, poi, non ebbero sorte migliore del sacello: una vicenda romanzesca, non del tutto chiara. Più volte (1396, 1428, 1476) Firenze le aveva richieste a Ravenna; invano. E quando finalmente, essendo Ravenna tornata sotto il governo pontificio, i Fiorentini ottennero dal papa loro concittadino, Leone X, nel 1519, il consenso alla traslazione di esse (e nella supplica al papa, Michelangelo, oltre a sottoscriversi, si offerse “al divin poeta fare sepoltura sua chondecente e in locho onorevole” in Firenze), i messi inviati a rilevarle trovarono il sepolcro vuoto.

E vuoto fu trovato anche nella verifica fatta nella solenne inaugurazione del mausoleo dopo i lavori del 7780, come risulta da testimonianze certe, sebbene la relazione ufficiale allora redatta si esprimesse ambiguamente in modo da nascondere al pubblico la verità. Finalmente, nel 1865, nell’abbattere un tratto di muro prossimo alla cappella detta di Braccioforte, fu trovata una cassetta dì legno, sul cui coperchio era scritto “Dantis ossa a me Fra Antonio Santi hic posita anno 1677 die 18 octobris”, e sul fondo “Dantis ossa a me denuper revisa die 3 junii 1677”. Fu allora aperta ufficialmente l’arca, nella quale non furono trovate se non “tre piccole falangi, che si riscontrarono appartenere allo scheletro della cassetta”; e nel lato postico superiore dell’arca fu scoperto un foro attraverso il quale si conchiuse “che benissimo si erano potute estrarre le ossa racchiuse, compreso il cranio” (Sulla scoperta delle ossa di Dante, Relazione con documenti, per cura del municipio di Ravenna, Ravenna 1870). Il foro, come più tardi si poté determinare esattamente, era stato praticato rompendo la parete a ponente, alla quale, come si è detto, era dapprima appoggiata l’arca, dopo aver rotto il muro del chiostro del convento, al quale quella parete era addossata mediante un’intercapedine, come tuttora si vede. Sicché non si può dubitare che un trafugamento delle ossa da parte dei frati francescani ci sia stato; e verosimilmente esso avvenne sotto la minaccia della loro traslazione a Firenze nel 1519. Resta inspiegato come i messi fiorentini allora inviati non si accorgessero del foro dell’arca, o, accortisene, non si procedesse a un’indagine per far luce sul trafugamento. I frati dovettero diligentemente custodirle, forse in attesa di un’occasione propizia per ricollocarle nell’arca, senza incorrere in punizioni. Si può supporre che, di quando in quando, forse nel trapasso di consegna del prezioso possesso dall’uno all’altro frate responsabile della sua custodia, si facesse la ricognizione delle ossa: così potrebbe spiegarsi quella fatta dal padre Santi nel 1677. Quando e perché la cassetta sia stata murata nel luogo ove è stata scoperta, e che oggi è indicato da una lapide, non sappiamo con certezza; ma per varie buone ragioni si suppone che ciò sia avvenuto soltanto all’epoca napoleonica. Pensare a una mistificazione, e dubitare anche dell’accertamento che le tre falangi rimaste nell’arca appartengano allo scheletro della cassetta, sarebbe scetticismo del tutto ingiustificato. Le ossa sono quasi complete (Ricognizione delle ossa di Dante fatta nei giorni 2831 ottobre 1921, Memoria, in Atti d. R. Acc. dei Lincei, XVII, 1923). […]

Fonte: – Dizionario Biografico degli Italiani – Volume 2 (1960)

Pubblicato da retroguardia

Docente e critico letterario. Dirige la rivista di critica letteraria "RETROGUARDIA". Si è occupato in particolare della narrativa di Guido Morselli e Gesualdo Bufalino. Altri interessi di ricerca riguardano anche la poesia contemporanea, la teoria della letteratura, il romanzo fantastico e comico, la metrica italiana. Suoi interventi critici sono apparsi in rete (Musicaos.it, Retroguardia, La poesia e lo spirito, ecc) e su alcune riviste di letteratura (Tabula rasa, Narrazioni, ecc). Socio fondatore dell’associazione culturale e membro del comitato di lettura di vibrisselibri, redattore de “La poesia e lo spirito” dal 2007.