“La macinatrice” di Massimiliano Parente

Recensione/schizzo #6

Prima o poi dovrò decidermi a rileggere La macinatrice di Massimiliano Parente. Lessi il libro due anni fa e non mi piacque, affogato com’era fra sottigliezze e freddure, con espressioni che nella voluminosa forma del romanzo spiccavano più, e sono reminiscenze, per sfoggio di potenza intellettuale che per proprietà narrativa.

In generale, il romanzo è apprezzabile in alcune parti (poche), stancante in altre (molte). Il linguaggio di Massimiliano Parente è barocco, la costruzione fantastica mima la poetica di Moresco. La sua musa è una ninfetta di sobborgo, pallida e melanconica. Nel complesso il libro è noioso.

Dinnanzi alla realtà del libro, inquinato dalla delusione, la mia critica, tralasciando ogni analisi seria del testo, è caduta nel vuoto.

f.s.

Pubblicato da retroguardia

Docente e critico letterario. Dirige la rivista di critica letteraria "RETROGUARDIA". Si è occupato in particolare della narrativa di Guido Morselli e Gesualdo Bufalino. Altri interessi di ricerca riguardano anche la poesia contemporanea, la teoria della letteratura, il romanzo fantastico e comico, la metrica italiana. Suoi interventi critici sono apparsi in rete (Musicaos.it, Retroguardia, La poesia e lo spirito, ecc) e su alcune riviste di letteratura (Tabula rasa, Narrazioni, ecc). Socio fondatore dell’associazione culturale e membro del comitato di lettura di vibrisselibri, redattore de “La poesia e lo spirito” dal 2007.