Ju.M. Lotman, la modellizzazione

 di Eleonora Ruzza

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Quale funzione semiotica hanno l’incipit e l’explicit nel romanzo? Una risposta si trova nella «modellizzazione» che la Struttura del testo poetico (1970) di Lotman attribuisce alla lingua artistica, e in particolare alla cornice dell’opera.

Atto comunicativo e mezzo di trasmissione dell’informazione artistica, l’opera d’arte è per Lotman un testo scritto in una «lingua di modellizzazione secondaria», che si costruisce con il «materiale della lingua naturale», ed è nella sua essenza una simulazione del mondo (1). Essa si configura come una «struttura complessa» – in grado di comunicare «un volume di informazioni che sarebbe assolutamente impossibile trasmettere con i mezzi della struttura linguistica normale» – all’interno della quale il piano dell’espressione e quello del significato istituiscono una relazione tale che gli elementi del primo risultano semantizzati, mentre quelli del secondo subiscono un’inevitabile «formalizzazione» (2). Nel paragonare la struttura dell’opera artistica ad un edificio il cui progetto (l’idea dell’autore) coincide con l’organizzazione sistematica delle parti costruttive, Lotman sottolinea la centralità del concetto di delimitazione, da cui dipende il valore metalinguistico delle frontiere testuali: per il loro statuto liminare esse richiamano alla «coscienza» del mittente e del destinatario l’intero repertorio dei segni e delle regole sintattiche che reggono i loro rapporti – e rappresentano quindi una zona di passaggio tra la langue e la parole, tra la dimensione sovraindividuale del sistema e quella individuale del prodotto artistico.

Ma l’operazione di delimitazione risulta fondamentale anche in rapporto alla modellizzazione. Poiché la lingua artistica con la sua struttura simula «il mondo nelle sue categorie più generali», il testo offre, infatti, la riproduzione di «un qualsiasi fenomeno concreto» all’interno di un modello universale (3). A rendere possibile l’inclusione dell’infinito del reale nel finito del testo è la cornice, strumento di transcodificazione (4) con cui si costruiscono equivalenze tra diverse dimensioni spazio-temporali. Così come nella geometria di Lobačevskij la superficie circoscritta da una circonferenza assume le proprietà dello spazio euclideo, in modo tale che due corde che non si intersecano diventano rette parallele, la cornice artistica assume rispetto all’interno del testo l’infinitezza dell’orizzonte, e lo spazio da essa delimitato viene ad includere non solo una parte della vita da rappresentare, bensì tutta questa vita nel suo insieme. Ed è per tale motivo che ogni oggetto tende ad un allargamento senza limiti e l’esistenza di un individuo rinvia ad un numero infinito di destini (5).

Nell’opera letteraria il processo di transcodificazione avviene per mezzo di una struttura bipolare che assegna ad incipit ed explicit due distinti «ruoli di simulazione», in virtù dei quali i confini testuali esercitano una forza attrattiva sull’interno, contribuendo in maniera determinante alla definizione del modello costruito. Così, lo spostamento del baricentro diegetico verso l’inizio si spiega con il prevalere della categoria eziologica, ovvero della necessità di spiegare le origini per tracciare il confine tra «l’esistente come creato e l’inesistente come non creato» (6). È questa la struttura che secondo Lotman caratterizza i testi con una fine poco accentuata o assente, come le cronache medievali, le narrazioni sull’origine di una terra e più in generale le opere fondate su modelli culturali di tipo genetico-evolutivo. Dalla presenza di un orientamento teleologico dipende invece il raggiungimento del massimo grado di «modellizzazione» e di chiusura. Al rafforzamento dell’explicit corrisponde infatti quello della funzione mitologizzante, che la fine della storia esplica segnando al contempo il termine del corso degli eventi particolari – di questo o quell’intreccio – e il concludersi della costruzione di un universum con la fissazione del tempo diegetico nell’eternità. L’interesse per il finale dipenderebbe dunque dalla capacità del confine estremo del testo di escludere ogni azione futura – in modo tale che «colui che ha ottenuto l’amore non lo potrà più perdere, e il vittorioso non verrà mai sconfitto» (7)–, e di presentare la visione di un mondo completo, in cui sembrano aver domicilio i lettori stessi, oltre che i personaggi delle vicende.

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NOTE

 

(1) Ju.M. Lotman, La struttura del testo poetico, trad. it., Milano, Mursia, 1980, p. 16.

(2) Ibid., pp. 17-25.

(3) Ibid., p. 25.

(4) Ibid., pp. 19 ss. Secondo Lotman i significati dei sistemi secondari di simulazione si formano tramite transcodificazioni, ovvero in base a relazioni di equivalenza che si instaurano tra diverse catene-strutture (serie di relazioni esistenti all’interno di un sistema di segni).

(5) Ibid., pp. 252-254.

(6) Ibid., p. 258.

(7) Ibid., p. 260.

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Pubblicato da retroguardia

Docente e critico letterario. Dirige la rivista di critica letteraria "RETROGUARDIA". Si è occupato in particolare della narrativa di Guido Morselli e Gesualdo Bufalino. Altri interessi di ricerca riguardano anche la poesia contemporanea, la teoria della letteratura, il romanzo fantastico e comico, la metrica italiana. Suoi interventi critici sono apparsi in rete (Musicaos.it, Retroguardia, La poesia e lo spirito, ecc) e su alcune riviste di letteratura (Tabula rasa, Narrazioni, ecc). Socio fondatore dell’associazione culturale e membro del comitato di lettura di vibrisselibri, redattore de “La poesia e lo spirito” dal 2007.